2 agosto 1980: una storia (che si vuole) infinita e…

… un’analisi politica che pochi osano fare.

Articoli di Saverio Ferrari e di Franco Astengo

Bologna, i dollari della P2 ai fascisti per la strage

di Saverio Ferrari (*)

A quarant’anni dai fatti le conclusioni della nuova inchiesta su mandanti e altri esecutori. Molte e rilevanti sono state le novità di questi ultimi mesi sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980, la più grave e sanguinosa nella storia della Repubblica: 85 morti e 200 feriti. Prima, il 9 gennaio scorso, è arrivata, dopo 52 udienze e due anni di dibattimento, la sentenza in primo grado emessa dalla Corte d’assise di Bologna di condanna all’ergastolo per l’ex Nar Gilberto Cavallini, per concorso in strage con Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già sentenziati in via definitiva. Poi, il 10 febbraio, l’avviso di conclusione delle indagini da parte della Procura generale di Bologna per la nuova inchiesta apertasi sui possibili mandanti; seguito, il 19 maggio, dalla richiesta di rinvio a giudizio per Paolo Bellini, ex Avanguardia nazionale, quale ulteriore esecutore, per l’ex capitano dei carabiniere Piergiorgio Segatel e l’ex capo del Sisde (il servizio segreto interno) di Padova Quintino Spella, accusati entrambi di aver ostacolato le indagini. In questo ambito sono stati individuati come mandanti e finanziatori della strage: Licio Gelli, Umberto Ortolani, Umberto Federico D’Amato (per 20 anni al vertice dell’Ufficio affari riservati) e Mario Tedeschi (ex senatore missino e direttore de Il Borghese), tutti iscritti alla P2, non più perseguibili in quanto ormai defunti.

GIÀ NEL PROCESSO a Gilberto Cavallini erano stati riscontrati alcuni fatti di notevole importanza. Fra questi, i rapporti intercorsi tra le nuove leve del terrorismo nero, segnatamente i Nar, e i vecchi dirigenti di Ordine nuovo (fra loro Carlo Maria Maggi, condannato per la strage di Brescia del 1974) e quelli di Avanguardia nazionale, ma soprattutto il possesso da parte dei Nar di decine di tesserini ufficiali dei carabinieri forniti dal colonnello Giuseppe Montanaro appartenente alla P2, nonché la disponibilità da parte di Cavallini di numeri telefonici in uso all’ufficio Nato presso la sede della Sip di Milano. Ora, da ciò che è trapelato dalla documentazione raccolta dalla Procura generale di Bologna, si sarebbe arrivati alle prove dell’avvenuta regia da parte della P2 nell’organizzare la strage e gli innumerevoli successivi depistaggi, architettando false piste soprattutto internazionali per proteggere i Nar. In questo ambito sono stati acquisiti i riscontri dei finanziamenti dell’intera operazione, prima e dopo il 2 agosto, elargiti a più riprese a partire dal febbraio 1979. Milioni di dollari (quasi 15) che, scandagliando gli atti del processo per il crac del Banco Ambrosiano, la Guardia di finanza ha accertato essere provenienti da conti correnti svizzeri di Gelli. Solo da uno di questi, presso la Banca Ubs di Ginevra, rintracciato grazie a un manoscritto sequestrato allo stesso Gelli al momento del suo arresto in Svizzera nel 1982, e significativamente denominato «Bologna», sarebbero usciti 5 milioni di dollari. Uno di questi sarebbe stato addirittura consegnato in contanti dallo stesso Gelli, pochi giorni prima della strage, ai neofascisti.

I SOLDI SONO QUELLI del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, la «cassa» della P2, che sarebbero dunque serviti a finanziare anche i fascisti che eseguirono la strage, un commando più numeroso del solo gruppo di Fioravanti e Mambro, composto da elementi provenienti anche da Terza posizione e Avanguardia nazionale; tra loro Paolo Bellini, sicario della ’ndrangheta, nonché collaboratore di giustizia e reo confesso dell’assassinio, il 12 giugno 1975, del militante di Lotta continua Alceste Campanile. Il volto di Bellini è impresso in un filmato in Super 8 girato da un turista svizzero pochi istanti dopo l’esplosione della bomba. Un filmato in possesso fin dal 1985 dell’ufficio istruzione di Bologna. A riconoscerlo nelle immagini anche la ex moglie. La nuova inchiesta e le conclusioni del processo a Cavallini dimostrerebbero che i Nar furono tutt’altro che un gruppo spontaneista, come solitamente descritti, ma letteralmente il braccio armato della P2, interni a quell’intreccio eversivo rappresentato dalla loggia segreta di Gelli, dai vertici dei servizi e di alcuni apparati, con coperture nell’ambito della Nato. A riprova della loro natura, il rinvio a giudizio, per «false dichiarazioni al fine di ostacolare le indagini», anche di Domenico Catracchia, l’amministratore per conto del Sisde delle palazzine di via Gradoli, dove al civico 96 si trovava il covo Br affittato dall’ingegner Borghi, alias Mario Moretti, dove Aldo Moro fu inizialmente tenuto prigioniero. Si è appurato che tra il settembre e il novembre del 1981, esattamente in quella palazzina, a quel civico, si fosse installata una base segreta dei Nar. Catracchia avrebbe detto il falso negando di aver dato l’appartamento in affitto a un prestanome degli stessi Nar.

INAPPUNTABILE il manifesto preparato per il 40esimo dall’Associazione dei familiari delle vittime: «La strage è stata organizzata dai vertici della loggia massonica P2, protetta dai vertici dei servizi segreti italiani eseguita da terroristi fascisti». (*) articolo pubblicato due giorni fa sul quotidiano “il manifesto”

RETROSPETTIVA

di Franco Astengo

In questi giorni del quarantennale dall’efferata strage di Bologna del 2 agosto 1980 abbiamo letto interessanti ricostruzioni storiche alimentate anche da nuove rivelazioni recentemente apparse sulla stampa.

Ci troviamo però davanti a molte ricostruzioni e a poca analisi politica.

In una visione del tutto personale e sicuramente opinabile provo allora a riassumere alcuni punti di analisi sull’intreccio verificatosi fra movimenti, dinamiche politiche, terrorismo e/o lotta armata relativi fra gli anni ‘60 e quelli ‘80.

1) L’unico episodio di terrorismo / lotta armata che ha inciso davvero sul quadro politico è stato l’affaire Moro. Fornisco molto credito all’ipotesi che la soluzione finale sia stata concordata tra Mosca e Washington ai fini “status quo”. Da aggiungere che la faglia “fermezza versus trattativa” è risultata frattura di fondo nel sistema politico italiano, quasi a livello di quellaintervento / non intervento” nella prima guerra mondiale. L’obiettivo non era tanto arrestare la “terza fase” morotea esistita solo nella fantasia di qualcuno e comunque priva di corrispondenza con una disponibilità del PCI. Lo scopo dell’affaire Moro era invece bloccare il consolidarsi del sistema a “bipartitismo imperfetto” uscito dalle elezioni del 1976. “Bipartitismo imperfetto” che data la natura interclassista ormai assunta dal PCI (inevitabile con 12 milioni di voti) avrebbe subìto spinte forti a trasformarsi in “bipartitismo perfetto” (l’esempio dell’esito delle amministrative 1975 era lì sotto gli occhi) nonostante i ritardi del PCI ad assumere una posizione alternativista nel quadro della visione «compromesso storico» del Fronte popolare. Era fondamentale, per quella strategia, che il PCI rimanesse confinato volontariamente nella riserva indiana della “conventio ad excludendum”. Quindi occorreva rompere il quadro del bipolarismo e l’affaire Moro sarebbe servito ad aprire una dinamica diversa nel sistema politico poi realizzata con l’assunzione da parte del PSI di una posizione di distacco dal quadro della solidarietà nazionale. Distacco avvenuto all’interno di una ricerca (teoricamente giusta) di un proprio spazio di autonomia. Così i 35 giorni alla FIAT e la vicenda della scala mobile ebbero soltanto una valenza di testimonianza difensiva. E così non poteva non essere non disponendo, quel movimento, di un corrispettivo di alternativa sul piano politico e di governo.

2) Questo primo punto indicava già che – almeno per conto mio – non è esistita una strategia terroristica ma diverse fasi del fenomeno, tutte assai complesse da analizzare. Per un certo periodo, da Vallarino Gancia in poi credo che le BR abbiano fatto le BR seguendo il fraintendimento leniniano del provocare la reazione dello Stato e della borghesia per suscitare la rivoluzione popolare. Non si comprende diversamente l’affastellamento di bersagli l’uno diverso dall’altro, per alcuni dei quali la scelta rimane francamente incomprensibile. Da ricordare, inoltre, la pluralità di sigle (NAP, Prima Linea, Unità Comuniste Combattenti): lo schema però era lo stesso, fraintendere che le avanguardie fossero davanti al popolo e che davanti alla reazione borghese ci fosse lo spazio per la rivoluzione proletaria. Era tutta un’illusione (nemmeno troppo manovrata, anzi quasi per niente, dai servizi) ma per un certo periodo fu inteso così.

3) Non è neppure così sicuro che piazza Fontana abbia arrestato il movimento. Il movimento era già in forte declino, firmato il contratto dei meccanici, arrestato il processo di unità sindacale, incombente Reggio Calabria (anche in questo caso clamorosamente equivocato dalla solita Lotta Continua: capace di scambiare perfino la rivoluzione iraniana fatta da bigotti ayatollah per l’anticamera del socialismo; Lotta Continua è stata l’organizzazione madre di molti dei nostri mali). In quel periodo si stavano formando i gruppi nel segno delle storiche divisioni del movimento comunista anni’20-30 e sulla base di una dinamica da “spirito di scissione” aperta, fin dal 1966, con il Pcd’I linea rossa e linea nera. Lo smarrimento era tale che il Manifesto tentò addirittura un’avventura con Potere Operaio e ci si stava dirigendo verso la deriva elettoralistica del 1972 che coinvolse una buona quota di gruppi, dai maoisti a Stella Rossa. Piazza Fontana rimane, almeno per conto mio, un tassello della strategia golpista degli anni’60. Più «Piano Solo» insomma che attacco al movimento. Strategia golpista che si innescava in una forte tensione “legge e ordine” che albergava nel sistema soprattutto all’interno del PSDI e del PRI (La Malfa per la pena di morte, poi le leggi Reale, il Saragat del “mostro”) non tanto nella DC.

4) Bologna ‘80: non stento a credere all’idea della P2 e al milione di Gelli ai NAR, che perseguivano una strategia similare alle BR limitandosi al capitolo “reazione”. La P2 non intendeva muoversi su una strategia “golpista”, piuttosto come scritto nel documento di Rinascita Nazionale creare le condizioni di un «restringimento della democrazia» che poi si sarebbe gradualmente avviato come in effetti accadde anche se nel quadro, per lo più imprevisto (e imprevedibile) dei primi anni’90. In ogni caso nell’estate del 1980 il sistema era già in crisi verticale, come in crisi verticale era il bipolarismo a livello internazionale con il declino evidente dell’URSS. Quindi una strage terribile quasi “a babbo morto” con il sistema alla deriva e che con chi, all’interno del sistema, avrebbe potuto provocare uno sconquasso con una dirompente proposta di alternativa già seduto attorno al tavolo della spartizione. La dimostrazione di tutto questo si verificò con le elezioni del 1983 dall’incontro delle Frattocchie (e dall’intervento di Craxi al congresso di Milano del PCI, se non ricordo male il XVI) sino alla formazione del governo da parte dello stesso segretario socialista. Parturiunt montes

Tutto questo tentativo di ragionamento che ho fin qui sviluppato è stato malamente misurato attorno al tema degli esiti di quella fase sulle dinamiche politiche e non sul piano della ricostruzione storica.

Da quella stagione – culminata poi nella caduta del Muro, in Tangentopoli, nel trattato di Maastricht, nella dismissione dell’intervento pubblico in economia, nel divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia, nella crescita del peso dei mezzi di comunicazione di massa – si determinò il crollo del sistema dei partiti e la compressione progressiva del sistema politico fino all’inasprirsi della personalizzazione, dell’imporsi del conflitto d’interessi, dell’esaltazione della governabilità nel nome del populismo di destra e ai danni della rappresentanza con la mortificazione delle assemblee elettive, della trasformazione nell’uso dell’autonomia del politico fino alla situazione attuale nella quale la stessa «democrazia del pubblico» si è trasformata in «democrazia recitativa». Democrazia recitativa attraverso il cui metodo si è addirittura gestita la più grave emergenza sanitaria della storia d’Italia e d’Europa degli ultimi 200 anni e che sta sostituendosi a quella «rappresentativa» enucleando così i punti strategici per un mutamento complessivo della forma di governo e della democrazia parlamentare che potrebbe risultare ancor più pericoloso.

 

Nella seconda foto la testa del corteo che ha sfilato (con le dovute precauzioni) il 2 agosto a Bologna, nonostante… non si dovesse fare. Assurda l’idea che si possano e debbano assumere precauzioni in spiaggia come nei posti di lavoro ma nei cortei non ci sia possibilità di garanzie; si accompagna all’altra balla delle movide pericolose mentre i campeggi, la logistica, le stazioni ecc sono al di fuori di ogni controllo, salvo poi stupirsi che i contagi crescano. Come spesso accade in “bottega” la pensiamo all’opposto di chi ci s/governa (ieri e oggi; a Bologna e in tutt’Italia). Sì ai cortei dunque, ovviamente con le precauzioni del buon senso.

 

 

 

 

Redazione
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