2020-2100, le previsioni di Arthur Clarke

Chi passa da questo blog probabilmente conosce Arthur C. Clarke (1917-2008). Lo scienziato e scrittore si divertì fra l’altro a scrivere le sue «3 leggi», con tanto di battuta: «se 3 leggi sono sufficienti per 2 Isaac, Newton e Asimov, anche io posso fermarmi qui».

Eccole: «1 – Quando uno scienziato famoso ma anziano dice che qualcosa è possibile quasi certamente ha ragione; quando dice che qualcosa è impossibile molto probabilmente ha torto. 2 – L’unico modo per scoprire i limiti del possibile è avventurarsi un poco oltre, nell’impossibile. 3 – Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia».

Interessante vero? In questa rubrica (cfr nota finale) ci interessa soprattutto la seconda, anche perchè nel da noi assai lontano 1962 Clarke scrisse «Le nuove frontiere del possibile» (3 anni dopo tradotto in italiano) che si conclude nientepopòdimenoche e pure paraponziponzipò con una «tavola del futuro». Prima si riassume cos’è accaduto fra il 1800 e il 1960 in 5 campi (trasporti, comunicazioni, materiali prodotti, biologia-chimica e fisica) poi Clarke ipotizza cosa potrebbe succedere fra il 1970 e il 2100. A rileggerlo dopo mezzo secolo, ci possiamo divertire a vedere cosa lo scienziato-scrittore ha azzeccato (atterraggio sulla Luna, biblioteca globale) e cosa ha “toppato” (decifrare il linguaggio dei cetacei). Ma spingiamoci più in là e vediamo qualcosa di ciò che ipotizza per i nostri prossimi 90 anni.

Già sul 2030 Clarke prevede «animali intelligenti», poco dopo (nel decennio 2040-2050) «stimolazione della memoria», «istruttore meccanico» e «sospensione della vita» (riferendosi probabilmente alla criogenesi ma anche all’ibernazione). Dando un po’ torto a Einstein, colloca intorno al 2070 la scoperta di una «velocità vicina a quella della luce» con conseguente «volo interstellare». Da interpretare invece il senso di altre previsioni: «l’intelligenza meccanica supera quella umana» (intorno al 2080) e ancor più «cervello mondiale» e «immortalità» che lui piazza subito dopo, dalle parti del 2090-2100. Ovviamente ognuna di queste definizioni dovrebbe essere chiarita: parlando di immortalità Clarke probabilmente si riferisce alla reincarnazione o meglio riproduzione, duplicazione di una struttura molecolare e dell’annessa biblioteca-memoria mentale.

Fare profezie è un mestiere difficile come i due Clarke, l’astrofisico e lo scrittore, ben sapevano. Sarebbe diventato l’uomo più ricco della Terra se, come scienziato, avesse “brevettato” la sua intuizione dei satelliti spaziali ricetrasmittenti. Come narratore non previde i transistor e dunque immaginò computer sempre più ingombranti.

A rileggere queste affascinanti previsioni di 50 anni fa però assale un dubbio. Le ipotesi di Clarke si basavano ovviamente sul trend del ‘900 cioè riferite a una società mondiale che (pur con tutte le sue contraddizioni e pazzie, in testa la guerra) investiva in scienza e sapere. Ma dal 1962 a oggi – e sempre più negli ultimi anni – i fondi per sostenere formazione e ricerca sono in calo o deviati solamente su questioni di immediato profitto. Come dire che potremmo già parlare con i delfini o volare su Marte… se si fosse investito. Invece l’Italia, tanto per dire un Paese a caso, preferisce dar soldi ai cacciabombardieri F-35 che alla ricerca. Se qualche “clarkiano” è in ascolto per favore può spiegarci questa faccenda dell’intelligenza umana: ipotesi o dato di fatto?

DOVEROSA NOTA

Questo pezzullo è uscito sulla rivista «Cem mondialità» dove mi impegno ogni mese a cercare «scor-date»… del futuro. Sono favorito in questa difficile impresa da due fattori: la faccia tosta (da culo, se proprio volete esser volgari) e un’ottima conoscenza della fantascienza (letteraria, quella filmica mi appassiona meno). Insomma cerco di scoprire in che anno – o addirittura mese e giorno – le città finiranno; quando lo sciopero mondiale nonviolento costringerà le multinazionali alla resa; magari la cronaca dello sbarco su Marte o il resoconto del dibattito parlamentare sulla pubblicità (uno spot può essere proiettato sul volante mentre guidate? Chi vuole impedirlo congiura contro la santa libertà d’impresa?).

Il senso di questo gioco, soprattutto in una rivista rivolta a insegnanti e formatori-formatrici, è in primo luogo ricordare a tutte/i noi che c’è un futuro, anzi molti e diversi; dipende (anche) da ognuna/o di noi se quel domani arriva. Dopo le speranze e gli incubi che hanno invaso il ‘900, una sorta di ossessione del domani, già sul finire del secolo il presente occupava tutto lo spazio (anche quello del futuro) e diventava pigro, immobile per incatenarci, per impedirci sogni troppo sovversivi. L’unico domani che ci viene concesso è la continuazione dell’oggi con altri mezzi: lo si sente ripetere – con insensatezza logica oltre che sintattica – dai leader, esperti (spesso di nulla), opinionisti e bla-bla. Per questo la science fiction è sovversiva; spesso suo malgrado o senza accorgersene. Come molte volte spiegato in questo blog, la fantascienza, per statuto, deve darci mille altri mondi – migliori o peggiori – e non solo riclonare un oggi (per altro censurato) e/o uno ieri (riscritto in continuazione, come aveva intuito Orwell). «E se invece facessimo così?» è una frase che i poteri non amano sentir dire da poche/i intellettuali, fiiiiigurarsi se a farla è un numero crescente di persone. Sotto la testata di questo blog (che animo con altre/i) non a caso si legge: «Per conquistare un futuro bisogna prima sognarlo»: un’idea ripresa da «Sul filo del tempo» di Marge Piercy, un romanzo di fantascienza appunto,

Certo filosofia e politica non hanno smesso di sognare. Ma a me piace raccontare possibili “date del futuro” usando per grimaldello una letteratura. In quanto popolare, anzi pulp – dunque disprezzata – la fantascienza spesso ha potuto dire l’indicibile, trasformarsi in un luogo con il minimo di censure e auto-censure (filosofico-politiche ecc). Non a caso, Leo Szilard, padre “pentito” della Bomba, scelse la science fiction per raggiungere un pubblico più vasto. E lì, fra una storia e l’altra, buttava frasi del tipo: «Il quesito è: gli americani sono liberi di dire tutto quel che pensano, visto che non pensano quel che non sono liberi di dire?». Noi oggi potremmo ripetere la stessa domanda con due varianti: sostituendo «umani» ad «americani» e modificando quel «non pensano» con «neppure sognano». Oppure … possiamo conservare la speranza cioè immaginare e costruire quei futuri che vogliamo, come rendere chiaro l’incubo di qualche domani che dobbiamo evitare. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *