21 ricette pratiche di morte violenta: ovvero…

divagazioni su un (geniale) libretto di Vercors, passando per i gufi ma con la g maiuscola

Io amo molto i Gufi. Quelli maiuscoli; dunque non sto pensando agli animali che ossessionano Renzi (o chi gli scrive le sceneggiature) che pure mi sono simpatici. Mi riferisco a un gruppo cabarettistico di quand’ero piccolo e magari ve ne parlo un’altra volta.

Ci sono in particolare due canzoni dei Gufi che canto spesso, con maggior diletto quando so che vicino a me ci sono persone di poco spirito o che detestano sentir parlare di morte.

Ecco il primo testo (ma se la trovate in rete ascoltatela perché ci sono interessanti variazioni di ritmo).

Quando sarò morto e chiuso in una bara
dopo i funerali mi diranno le orazioni
il solito corteo tra pianti e veli neri
fin dentro al cimiter mi seguiran.

Non voglio parenti ed amici
non voglio corone di fiori
nessuno per me s’addolori
ma voglio soltanto un codazzo di tram.
Il lutto si deve abolire
i morti non voglion lamenti
nessuno mi deve seguire,
ma voglio soltanto dei tram.
Un bel ventinove un sette barrato
un cinque, un diciotto, nessun trentatré
provvisti di troller con fari e bandiere
dei validi tram che fanno den, den.

Io voglio un concerto di den-den-den.
io voglio un codazzo di tram
io voglio i tranvier di Milano
che suonano sempre den den-den-den-den,
den-den-den.

Non voglio vetture in rimessa
non voglio fermate soppresse
non voglio carrozze staccate
ma voglio soltanto dei tram,
ma voglio soltanto dei tram,
dei validi tram che fanno den-den-den-den

Si intitola ovviamente «Quando sarò morto». La seconda è in sintonia ma più vicina al tema che fra poco, siore e siori, andrò a trattare dopo questa divagazione (ma non troppo) canora. Si intitola «Vorrei tanto suicidarmi». Eccola.

Sono nato con la camicia
la fortuna è sempre con me
con le donne sono stato felice
e la noia non so che cos’è.
Non lavoro e guadagno lo stesso
ma una voglia ogni tanto mi assal.

Vorrei tanto suicidarmi
ad un albero impiccarmi
di stricnina rimpinzarmi
la carotide tagliarmi
o dal ciel precipitarmi.
Vorrei tanto suicidarmi
dentro il ghiaccio congelarmi
ma son timido e non oso
e perciò domani mi sposo
l’emozione è quasi egual.

Apro quel becco di gas
mi butto sotto a un tassì
mi lego al collo un bel sas
ma son già rassegnato a scampar.

Vorrei tanto suicidarmi
e dal mondo congedarmi.
Vorrei togliermi la vita
e così farla finita.
Non so più che mezzo usar
forse con l’alta tension
o tra le ruote di un tram.
Se fortuna attorno avrò
suicidarmi alfin potrò
e un cadavere sarò.

Un cadavere sarò
un cadavere sarò.

Solo la presenza di alcuni amici “sofferenti di cuore” mi ha impedito di intonare questa canzone alla festa del mio matrimonio (civile, lo preciso ma non dovete dedurne che gli altri siano incivili).

Volendo siamo dalle parti di «Tanto vale vivere» (avete presente la breve poesia che comincia «i rasoi fanno male»?) di Dorothy Parker.

Scherzare con il suicidio – proprio perché si tratta di una serissima questione filosofica diceva Vsbc (voi sapete bene chi) – è un vecchio gioco che mi gusta e dunque potrei andare avanti per un po’.

Ma siore o siori oggi non son qui per parlarvi di me ma di un prezioso libretto che consiglio a chiunque sia arrivato sin qui e anche ai parenti stretti di quelle/i che dopo le prime righe di codesto post hanno frainteso e si sono suicidate/i.

Come accennavo 7 giorni fa – allora era quasi certamente un martedì, oggi intellettualmente non so – da moltissimi anni io amo molto Vercors (così si firmava ma il suo vero nome era Jean Bruller) per «Il silenzio del mare» e ho scoperto solo da poco che nell’autore di pensieri così profondi… coesisteva un pazzarellone. Ed ecco a voi «21 ricette pratiche di morte violenta» (128 pagine illustrate dall’autore per 18,50 euri, tradizione e cura di Flavia Conti) tradotto nel 2011 da Portaparole, recuperando un testo pubblicato una prima volta, quasi per scherzo, nel 1926 per essere poi ristampato e un poco riveduto nel 1977. Il sottotitolo spiega: «Ad uso delle persone scoraggiate o disgustate dalla vita per motivi che, tutto sommato, non ci riguardano».

Poco altro vi dirò siore e siori perché spero seguirete il mio consiglio di godervi queste 21 istruzioni: si va dal «suicidio per esplosione delle cervella» al meraviglioso «suicidio per eccesso di longevità» passando per l’antico (ma ora tornato di moda, grazie alla Cia che però lo usa per fini collaterali quanto ambigui) «suicidio per eccesso idraulico». Non poteva mancare il – ne dubitavate care e cari che leggete Poe? – «suicidio per sepoltura da vivi».

Nel risvolto di copertina (a esser pignoli della “terza di copertina”) c’è anche un test per verificare se siete adatti a questo libro o viceversa.

Sottolineo in particolare alcuni punti: dove si parla di zanzare e Mitridate; la vicenda così incredibile da esser più vera del falso alle pagine 18 e 19; la dolorosa profezia che «l’intero globo terrestre finirà per somigliare al metrò nell’ora di punta». Quanto al «suicidio per laminazione»… ovviamente è «di taglio impeccabile». Chiarisco ai frequentatori di campeggi che «laminazione» non è un refuso per «l’animazione». In effetti Vercors si è dimenticato un paio di cosucce e una di queste era la tendenza suicida di chi si reca in campeggi (o simili) dove sono previsti animatori e animatrici che neanche (oooooh) Raifininvest vorrebbe. Riposino in pace.

 

Redazione
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