25 aprile (il mio) a Roma

di Maria Paola Saci

Non sono una partigiana né una storica della Resistenza, non sono neppure iscritta all’ANPI. Non ho nessuna scusa per parlare del 25 aprile. Il Barbieri farebbe bene a non pubblicare questo scritto e, se lo pubblicasse, non c’è motivo che voi lo leggiate. Però lo voglio scrivere lo stesso.

Sono circa quarant’anni che, ogni 25 aprile, vado alla manifestazione. E’ l’unica manifestazione alla quale ho sempre partecipato e portato i miei figli, anche piccolissimi. Nientemeno? Direte voi, eroico la sua parte! Beh, un po’ – poco poco – sì. Sono romana, vivo a Roma. Le celebrazioni del 25 aprile qui son sempre state modeste. Quattro gatti, una passeggiata fra Piazzale dei Partigiani (la Piramide e il Cimitero acattolico, dove è sepolto Gramsci, lo dico per i non romani) e il Campidoglio. Sempre sotto un sole giaguaro. Il 25 aprile fa sempre un ca ldo agostano. Siamo lì, noi quattro, una ex-collega che incontro ogni anno, qualche amico dei figli guadagnato alla causa, un gruppetto con la bandiera palestinese che fischia le Brigate ebraiche (e viceversa) …e LORO.  Le partigiane e i partigiani. Sempre più vicini ai novant’anni, mentre noi – i quattro gatti – stiamo per svenire per il caldo, LORO, freschi come rose, raccontano, ricordano. Parlano di un gruppo di giovani, fra cui LORO (ma questo non lo dicono mai) che hanno rinunciato alla vita o alla giovinezza, all’amore, allo studio, al lavoro, a tutto, per guadagnarci la libertà, la democrazia, la pace, l’uguaglianza. Sono sopravvissuti e credono che questo si sia avverato. Io sono lì, sotto il sole, sto per svenire e piango. Non sono una piagnucolona, lo giuro, non piango mai, tranne il 25 aprile. I figli mi vengono accanto:” Dai, mamma, ma tutti gli anni? Lo sai che porti sfiga? LORO stanno una favola”.Ma io non tiro su col naso solo perché ho il terrore che muoiano. Li affido a un dio, ci dev’essere un dio per Partigiani/e, uno speciale, lo prego intensamente. Piango di vergogna. Piango perché il sindaco è (stato) persino Alemanno, e non possiamo neanche andare in Campidoglio quegli anni là, perché la solidarietà, la pace, l’uguaglianza, tutta quella roba per cui LORO hanno rischiato tutto e hanno perso amici, fratelli, fidanzati e fidanzate, possibilità di lavoro, famiglia, ricchezza, cultura è scomparsa, non solo in mezzo ai sindaci, ai governi, ai politici ma fra noi, nella “società civile”. Ho il terrore che quelle donne forti, anziane, dagli occhi fermi, si accorgano di quello che abbiamo fatto. Ci urlino in faccia che siamo traditori, imbecilli, indegni del loro sacrificio. Peggio, si accorgano che ogni sacrificio è stato vano.

Qualcuno canta e suona, malissimo, Bella ciao. Qualche volta invece c’è Giovanna Marini e la musica è salva.

Ci avviamo verso il Campidoglio. Lì c’è, anzi c’era, un inglese che aveva combattuto con i partigiani; racconta, con immutato entusiasmo, quei giorni, le stragi, il coraggio, la collaborazione internazionale. Se il sindaco è “di sinistra” sta lì e li abbraccia. Sarà formale ma è meglio che niente. Ci sciogliamo.

Ora, la natura fa il suo corso, sono quasi tutti morti. Più che novantenni ma sono morti.

Stamattina andrò a Piazza dei Partigiani e forse non ci sarà nessuno di quei for ever joung. Spero di incontrare la mia ex collega. Spero che la Raggi non abbia quell’espressione da marziana cui hanno appena sommariamente raccontato che significa Resistenza dieci minuti prima che si catapultasse sul piazzale, come l’anno scorso. Spero di piangere ancora e che i miei figli mi consolino. Spero che ci sia Giovanna Marini e almeno un centinaio di cani randagi come me. Spero che abbiate capito perché lo dovevo raccontare e perché mi considero, poco poco, indegnamente, eroica. E perché ho paura.

NELLA FOTO (scelta dalla “bottega”): la targa commemorativa della battaglia di Porta San Paolo posta, nel 1970, dal Comune di Roma.

Redazione
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Un commento

  • Giuseppe Lodoli

    Bellissimo ricordo di tempi lontani che si allontanano sempre più…

    Grazie a Maria Paola e a Daniele

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