27 gennaio, per le vittime degli orrori nazifascisti

I numeri e la memoria (con le testimonianze di 4 siciliani sopravvissuti)

un dossier preparato da Domenico Stimolo

Mauthausen – la scala della morte

Scrisse Claudio Sommaruga (sopravvissuto IMI, 1920-2012) in un testo pubblicato da “Rassegna ANRP n°1/2 – gennaio/febbraio 2001, dal titolo “1943-1945 Schiavi di Hitler gli italiani in cifre”:

le cifre che qui si riportano sono solo orientative, valgono come ordini di grandezza

per ancorare una storia che la memoria labile ed emotiva può fuorviare. Sono cifre

che sembrano meno sbagliate e più accettabili, nella ridda dei numeri ricorrenti,

ufficiali o a spanne e sono state vagliate e mediate tra varie fonti e ricercatori italiani

e tedeschi. Tra questi si menzionano: Luigi Cajani, Carmine Lops, Gabriele

Kammermann, Lutz Klinkhammer, Brunello Mantelli, Gustavo Ottolenghi,, Giorgio

Rochat, Gerhard Schreiber, Claudio Sommaruga e altri e gli archivi ministeriali militari

e civili italiani ( repubblichini e regio-repubblicani) e tedeschi.

La galassia concentrazionaria nazista sfruttò, di fatto, dal 1933 circa 25.000.000 di

schiavi di 28 nazioni, dei quali 9.250.000 prigionieri militari (di cui 5.300.000 schiavi

russi e 700.000 italiani –IMI-); 4.350.000 deportati politici (di cui 2.300.000

tedeschi); 7.900.000 deportati razziali e “diversi” (ebrei, zingari, omosessuali,

alienati, criminali….); 3.850.000 lavoratori sedicenti liberi, emigrati o rastrellati, dalla

Francia, italia ed Europa Orientale.

I Lager di detenzione furono: 24 di sterminio diretto o col lavoro duro sottoalimentato

(KL, KZ) con 1.700 dipendenze e 9.950 siti; 850 Lager militari e dipendenze (St.,

Of., etc.,, di cui 142 principali; 2000 Battaglioni di lavoratori militarizzati ( Bau-Btl); alcune decine di migliaia di Arbeits Kommando di fabbrica (AK).

Tutto il Grande Reich coi Governatorati (G.G.) e i territori occupati erano un immane

Lager di sopraffazione dei diritti della persona umana, quest’ultima catalogata in

Obermenschen, i superuomini (ariani, dolicocefalo-biondi nordici e prussiani;

brachicefalo-bruni alpini), Mensche, scarsamente uomini (ariani mediterranei

dolicocefalo-bruni e poco alti) e Untermenschen, i subumani o cose (asiatici, euro orientali, siberiani, semiti, tarati, etc.).

I morti, in prevalenza ebrei e russi, furono 16.000.000 (per inedia, tifo, tbc,

bombardamenti, gas, pallottole) dei quali:

4.600.000 militari,

4.700.000 civili e

6.700.000 “diversi” ( razziali, etc.).

I superstiti furono solo 9.000.000.

DEPORTAZIONE IN ITALIA

I cittadini italiani, uomini, donne, ragazzi, deportati nei Lager nazisti a partire dall’8 settembre 1943, sono stati circa 44.500. Di questi: 8900 ebrei e zingari – 6.750 ebrei italiani, 1900 ebrei del Dodecaneso e alcune centinaia di stranieri catturati in Italia -. All’inizio della guerra, giugno 1940, in Italia si trovavano circa 57.000 ebrei; altri 10.000 erano fuggiti dalla Germania cercando di trovare rifugio in Italia. Alla fine del 1941 23.000 ebrei erano andati via, rimasero in 44.000.

La parte più consistente dei deportati fu costituita dagli “oppositori”. Così venivano classificati i partigiani e i resistenti in genere catturati in Italia, circa 30.000. Poi:

alcune centinaia di ufficiali antifascisti rastrellati, 2200 carcerati militari a Peschiera,

3000 coatti IMI transitati nei KZ e Straflager – lager per deportati politici e razziali –

(con oltre 900 ufficiali, di cui 374 nello Straflager di Colonia, accusati di atti di

resistenza ideologica, sabotaggi, tentata evasione, infrazioni gravi) –.

Complessivamente solo 4000 persone classificate “ oppositori” sopravvissero agli orrori dei campi di sterminio (“politici” ed ex IMI). Ai vivi si aggiungono 840 ebrei italiani e 179 dell’Egeo.

Anche in Italia, fra il 1943 -1945, furono installati alcuni campi di internamento.

Essenzialmente vennero svolte attività di accentramento e smistamento di deportazione verso i Lager nazisti dei prigionieri perseguiti per motivazioni politiche e razziali. I campi allestiti, gestiti da nazisti e dai fascisti di Salò, furono quattro: Borgo San Dalmazzo Cuneo, Fossoli Carpi -Modena, Bolzano Gries, Risiera di San Sabba a Trieste.

La Risiera era uno stabilimento per la pilatura del riso. Dopo l’armistizio dell’8 settembre da parte dei tedeschi fu utilizzato come campo di prigionia per lo smistamento in Germania e Polonia e per l’eliminazione diretta di partigiani ed ebrei. Il 4 aprile 1944 fu messo in opera un forno crematoio. Fu un vero e proprio campo di sterminio, con l’uso delle fucilazioni e della camera a gas appositamente allestita.

Unico esempio in tutta l’Europa occidentale. La Risiera di San Sabba operò la sua nefasta azione in un contesto territoriale che era mutato. Il 13 settembre 1943 Trieste di fatto era stata incorporata al Reich tedesco insieme Udine, Gorizia, Pola, Fiume (le province tutte) costituendo il “Litorale Adriatico”. Inoltre, il Trentino fu unificato al Tirolo. Non è stato facile dare un volto e un nome agli assassinati nel Lager. Si stima tra 3000 e 5000. Persone, uomini, donne e bambini. Dopo la liberazione del 25 aprile migliaia di carte di identità furono trovate in una cella.

Il campo di Fossoli nacque nel 1942 come luogo di concentramento per prigionieri inglesi. Dopo l’8 settembre il campo fu occupato dai tedeschi e dato alla RSI diventando un posto per la reclusione e lo smistamento di antifascisti ed ebrei. Dal febbraio 1944 una parte del campo fu direttamente gestito dalle SS. La parte del campo utilizzata come sito di detenzione fu gestita dai militi della RSI. L’altra zona gestita dalle SS, destinata alle deportazioni, nella fase più alta dell’orrida utilizzazione, registrò la presenza di 3000 prigionieri ( 1000 ebrei e 2000 politici”). Ogni baracca, delle sette destinate alla detenzione, conteneva fino a 256 persone, arrivate da tanti luoghi: uomini, donne, vecchi e bambini. Molti prigionieri provenivano dalle carceri del nord Italia: San Vittore Milano, Marassi Genova, Carceri Nuove Torino, etc., dalle aree territoriali della più pressanti e feroci azioni di repressione nazifascista.

Il 12 luglio 1944, per ritorsione ad un attentato avvenuto a Genova, 69 prigionieri furono prelevati dal campo e fucilati presso il Poligono del Cibeno. Il 2 agosto, essendo molto vicine le truppe Alleate, il campo fu evacuato, e traslocato a Bolzano Gries.

Il campo di Bolzano Gries entrò in funzione nel mese di giugno del 1944. Ad esso erano direttamente collegati una serie di sottocampi dislocati a Merano, Maia Massa, Vipiteno, Certosa Isarco, Val Sarentino. Nell’area iniziale del campo si trovava il blocco celle, costituito da 50 locali, utilizzati per gli interrogatori e per le punizioni.

Diversi erano i blocchi degli alloggiamenti, rigidamente separati in ragione dellacaratteristica” dei detenuti. La struttura F era dedicata a donne e bambini, in L c’erano gli ebrei, in D e E erano destinati ai politici e ai partigiani (in gran parte appartenenti alle Brigate Garibaldi e a Giustizia e Libertà). Tra le donne, molte erano le ebree destinate tutte alla deportazione nei Lager di sterminio, le altre erano sudtirolesi appartenenti, in maniera diretta o meno, alla Resistenza. La gran parte degli imprigionati erano sottoposti allo svolgimento di pesanti azioni lavorative, specie all’esterno del campo. Venivano fatti uscire incolonnati, e sotto il controllo rigido delle sentinelle trasportati nei luoghi preposte alle attività. Il vitto era pessimo e totalmente insufficiente.

Nel campo l’azione di trasporto dei detenuti verso i Lager di sterminio fu molto intensa. Non esistono registri ufficiali poiché prima della liberazione i tedeschi distrussero tutta la documentazione. Dalle varie ricostruzioni effettuate, basate essenzialmente sulle testimonianza dirette, emerge che mediamente ogni mese avveniva la deportazione di circa 600-800 politici; tra le 150-200 di rastrellati nel periodo giugno-ottobre del 44; parecchi i trasporti effettuati con ebrei, la massima concentrazione avvenne nel periodo ottobre-dicembre 44. Gli ultimi treni della morte partirono il 1° febbraio e il 22 marzo del 45. I Lager di riferimento in particolare furono: Mauthausen, Auschwitz, Flossemburg.

Si stima che a Bolzano Gries siano transitate 11.116 persone. All’atto della liberazione, fine aprile 1945, nel campo si trovavano ancora 3500 persone. Almeno 50 persone sono morte a cause delle violenze subite e per fucilazioni.

Il campo di Borgo san Dalmazzo fu strettamente connesso agli aspetti bellici che si svilupparono nell’area del sud della Franci, ai confini con l’Italia. Le vicende iniziarono con le fasi belliche iniziate dall’Italia contro la Francia nel giugno del 1940.

Poi, a partire dall’11 novembre 1942, le zone chiamate del nizzardo (Nizza) furono occupate dall’esercito italiano. Risiedevano parecchi cittadini di religione ebraica. In questi territori le strutture militari italiane imposero agli ebrei il domicilio coatto.

Furono portati in un apposito gruppo di località. Non potevano svolgere attività produttive, era vietato allontanarsi, due volte al giorno dovevano presentarsi nelle stazioni di polizia.

All’8 settembre iniziarono i rastrellamenti degli ebrei da parte della Gestapo a Nizza e in tutte le zone circostanti. Per sottrarsi alla cattura, molti ebrei – circa 1200 – nelle giornate dell’8 e 9 settembre, seguendo i sentieri di montagna, iniziarono a trasferirsi in territorio italiano (fino al 13 settembre). Il 18 settembre il Comando tedesco intimò agli ebrei l’immediata presentazione presso la caserma di Borgo San Dalmazio, pena la fucilazione. Più di 300 ebrei si arresero. Con l’internamento di 349 ebrei di varie nazionalità, molti i bambini, la caserma diventò di conseguenza un campo di detenzione. Il resto dei provenienti dalla Francia sfuggì alla cattura, trovando aiuto e rifugio. Via, via nel campi si aggiunsero altri nuovi rastrellati ebrei arrestati nella provincia di Cuneo. Il 21 novembre 1943 tutti gli internati furono trasferiti a Nizza e poi nel Lager di Auswchitz. Dei più 300 deportati dopo la liberazione ne ritornarono circa 25. Dal 9 dicembre 1943 fu utilizzato come campo di internamento per gli ebrei arrestati nella provincia di Cuneo. Il campo fu chiuso il 15 febbraio del 1944, i detenuti furono trasferiti nel campo di Fossoli.

Testimonianza di quattro sopravvissuti siciliani

………..e poi si aprirono i cancelli del lager di Mauthausen 5 maggio 1945

… Gran parte dei Kapò e dei sorveglianti nel campo di lavoro erano spariti. Alcuni gruppi e squadre al campo di lavoro restavamo sorvegliati da civili austriaci.

Le SS cominciavano ad eliminare quasi tutti i documenti: schede, registri, corrispondenza, e quant’altro avrebbe potuto ritorcersi contro di loro.

Le artiglierie si udivano anche di giorno; gli aerei militari Alleati volavano sicuri perché non c’era più la contraerea.

Anche negli ultimi giorni di aprile vedevamo fumare le ciminiere dei forni crematori. Sapevamo già che le ceneri dei corpi umani venivano trasformate in concimi, mentre dai grassi ricavati dai deportati massacrati appena arrivati nei lager facevano del sapone.

Fornivano anche cavie umane alle loro università per le ricerche scientifiche.

Il primo maggio del 1945, fu una giornata di festa in tutto il mondo, ma non per noi: eravamo ancora dietro i reticolati del lager.

L’ebreo milanese mi impose di non alzarmi più dalla branda nemmeno per fare pipì; mi portava quel poco di brodaglia quotidiana che prima era proibito dare a chi non poteva alzarsi; anziché mangiare si veniva divorati dai forni.

Quando sentimmo tuonare le artiglierie dalla parte di Linz, a pochi chilometri dai campi di sterminio, la nostra era, ormai una lotta contro il tempo. Il due maggio, di notte, le SS scomparvero; al loro posto misero dei vecchi militari ultracinquantenni.

Il terrore nazista era ormai al suo epilogo, eppure i deportati continuavano a morire di stenti e i corpi rimanevano sul luogo dove spiravano.

Il tre e il quattro maggio si moriva per fame, per esaurimento di tutte le energie vitali dell’organismo. La sera del quattro maggio, alcuni compagni riferirono di avere visto passare i carri armati alleati.

Sembrava tutto finito; i militari tedeschi abbandonavano il lager, così pure i kapò. Mi raccontavano che alla baracca n.5 un deportato aveva colpito il suo kapò alla testa, questi gli era, poi, saltato addosso, gridando come un pazzo e cercando di succhiargli il sangue dalla ferita.

Le mie energie erano pressoché esaurite e non mi alzavo dal mio pagliericcio, poiché non mi reggevo in piedi e cadendo sarei finito per sempre, dubitavo di non vedere mai il giorno della liberazione.

Aspettavo minuto per minuto che i liberatori mi raccogliessero e mi aiutassero a sopravvivere. Alcuni compagni, ultimi arrivati, avevano più riserve di energie e gironzolavano per il lager e mi raccontavano altri episodi credibili ed incredibili allo stesso tempo; eravamo, ormai, all’ultimo atto di quella immane tragedia. Nella notte tra il 4 e il 5 maggio, veniva assaltata dai deportati superstiti la cucina del alger, però ciò causava altre vittime, per avere mangiato troppo dopo un lungo prolungato digiuno.

La mattina del 5 maggio arrivò finalmente la libertà. Venivo aiutato da un deportato milanese ad uscire dal lager per raggiungere il posto di soccorso più vicino. A dire il vero ci aspettavamo un tempestivo intervento dei reparti di sanità Alleati e della Croce Rossa. Ci mettemmo comunque in cammino, a piccoli passi, appoggiandoci gli uni con gli altri. A un chilometro circa da campo, stavo per crollare, una signora di quel piccolo centro abitato “S. Giorgio” mi diede una tazza di latte tiepido con due patate bollite; dovetti fare uno sforzo considerevole per ingoiarlo. Mi trascinavo ancora per alcune centinaia di metri più avanti raggiungendo il ponte del Danubio; sul ponte c’erano di guardia i militari americani. Il mio compagno milanese ebreo che, tar l’altro conosceva e parlava molte lingue straniere, cercò di fargli capire che avevamo bisogno, ma quelli gli rispondevano che non potevano abbandonare il posto di guardia.

Nel corso dell’insistente dialogo sbucarono finalmente fuori altri due soldati americani che con una jeep mi portarono in un vicino campo liberato, ora occupato da militari italiani internati.

Appena arrivato, essi cercarono di darmi del buon cibo per saziarmi, ma mi sentii subito male e stavo nuovamente per crollare. Un ufficiale medico del campo mi visitò e mi spedì subito al pronto soccorso dell’ospedale “ S. Vincenzo de Paoli” di Linz. Oltre al vomito e all’ostinata dissenteria avevo una pleurite secca bilaterale, il cuore in difficoltà, il setto nasale rotto e una serie di ferite infette, croste, screpolature, ecc. Pesavo solo 30 chili, meno della metà del mio peso, normale, ed avevo un aspetto mostruoso.”

  • Da il Costo della Libertà (pag. 118 -119) Bonanno Editori di Nunzio Di Francesco: nato a Linguaglossa (Catania) il 3 febbraio 1924, deceduto il 21 luglio 2011.

……..Dal lager di Gusen II sottocampo di Mauthausen T

………” era il primo maggio.

Capimmo che ormai non arrivavano i rifornimenti e che la guerra era a due passi. Ma la fame era diventata paurosa e il numero dei morti aumentava spaventosamente. Io stentavo a camminare ed ero costretto ad appoggiarmi a qualche cosa per non cadere.

Con un mestolo di brodaglia non si poteva tirare avanti, anche se non si lavorava.

C’era, ad una delle estremità del campo, un gran mucchio di ossa, la cui carne era servita a fare il brodo per i soldati di guardia al campo. Era troppo grande la fame per non rischiare le fucilate delle SS. Fu così che molte di quelle ossa finirono nelle nostre mani. Era uno spettacolo inumano! Chi riusciva ad avere un osso si appartava in un angolo, si sistemava come meglio poteva ed iniziava l’operazione di rosicchiare come meglio poteva e incominciava l’operazione di rosicchiamento con tenacia, con pazienza, con rabbia canina. Nessun’altra scena avrebbe potuto rivelare meglio la vera natura umana, quando ormai lo spirito è distrutto e il corpo è costretto a lottare con ogni mezzo per la propria salvezza.

La mattina del 3 maggio qualcuno notò che sulle torri di guardia non c’erano più i nazisti, ma uomini della polizia civile. In un baleno la notizia si sparse per i blocchi e, in meno che non si dica, migliaia di corpi disfatti uscirono, girando per il campo, quasi per accertarsi che la notizia non fosse falsa.

L’incubo di un assassinio di massa che tutti avevano temuto, era cessato definitivamente. Tutto quel giorno e il giorno seguente qualcuno tentò di uscire dal campo, ma gli agenti della polizia civile lo invitarono con parole persuasive di desistere.

La prigionia era di fatto cessata. Molti chiedevano agli uomini di guardia cibo, giacché da due giorni non si mangiava più nulla. Un ufficiale, dall’alto di una delle torri ci esortò a pazientare ancora per qualche ora perché gli americani erano a pochi chilometri, né, d’altra parte, potevano farci uscire dal campo prima che giungessero i liberatori. Le sue parole furono salutate da moltissime grida di gioia. Turri ed io ci abbracciammo piangendo di gioia; ma quell’abbraccio mi diede la prova concreta della terribile magrezza del mio compagno e penso che la stesa sensazione abbia avuto lui.

Come Dio volle, spuntò l’alba del 5 maggio. Il sole era sorto da poco, il freddo non era più intenso, anzi spirava un venticello dolce e piacevole e già il campo brulicava di gente affamata e ansiosa di buone notizie. Quel gigantesco mucchio di ossa era calato sensibilmente e costituiva l’unico mezzo di sostentamento.

Durante la mattinata l’attenzione di tutti si rivolse a qualcosa che era sorto, quasi per incanto, lassù, in cima alle collina, a circa cinquecento metri; era apparso un carro armato e poi un altro, un altro ancora, erano dieci, venti…Tutti incominciammo ad agitare i berretti in segno di saluto.

Poi, all’improvviso, si udì una voce: “panzer”. Nacque un fuggi fuggi generale verso le baracche. Erano certamente i carri armati tedeschi che si ritiravano.

Nessuno osava uscire verso le baracche. Un silenzio di morte gravava sul campo. Cosa avremmo potuto fare se quei mostri d’acciaio fossero penetrati nel campo e avessero aperto il fuoco contro tanti esseri indifesi?. Passammo minuti di terrore e di angoscia. Poi un’altra voce, forse quella di un agente di polizia, si udì: Americani, americani.

Qualcuno, più coraggioso degli altri, uscì fuori dal blocco, seguito da pochi altri… alcuni altri li seguirono, prima timidamente, poi apertamente, velocemente, tra grida festose di giubilo; in breve, migliaia di uomini avevano abbandonati i blocchi e correvano verso le uscite. Il campo era un formicaio umano: Berretti che volavano per aria, corpi scheletriti che si stringevano uno con l’altro e un frastuono, un gridare, un cantare a squarciagola in cento lingue diverse. Era il maggio 1945. Quello sarebbe stato il giorno della seconda nascita”.

  • Da “La tragica avventura – un siciliano dall’altopiano di Asiago a Gusen II” (pagg. 120-121) Istrevi Cierre Editori di Domenico Aronica: nato a Canicattì (Agrigento) il 19 gennaio 1923, deceduto il 28/09/2006.

……dal Lager di Buchenwald

Era giunto nella nostra stube un altro giovanissimo Romeno aveva diciotto anni era appena giunto a Bunchenwald. L’avevano nascosto fra noi. Abbia (aveva) trovato un suo connazionale agli uffici scrivani, aveva in mano un bel pezzo di margherina “ me la data un mio paesano”. Aveva (avevo) passato due giorni senza toccare cibo. Non mi rendevo conto mi avevano dato una maglietta ciascuno c’era stampata l’acquila tedesca me la avevo nascosta tra la paglia me lanno rubata (me l’hanno rubata). Non lo messo come gli altri perché non avevo la forza di mettermela. Pregai il Romento (Rumeno) “ dammene un tantino quando la passo sul labro”.

non te ne dò a nessuno debbo mangiarmela solo io”, lo pregai tante volte li cerono degli ungheresi “ lascialo perdere e bambino non sa niente di quello che noi abbiamo sofferto”. Replicai al romeno “tu non vuoi macari pressarmi (prestarmi) solo quando mi umiliarmi (solo quanto basta per inumidirmi) il labro ma tu questa notte morirai. L’indomani lo vidi morto accanto al mio giaciglio mi pentì per quello che gli avevo detto.

Quando un mattino sento gridare vociare sento rumore di confusione gridano “siamo liberi!” Uno degli ungheresi mi abbraccia. Non mi rendo conto che succede però cerco di guardare. Non c’è nessuno massimo silenzio ricordo le baracche che bruciano, sono predo di paura non ho la forza di alzarmi. Muovendomi vocando (vagando) riesco a cadere sul pavimento muovo solo le braccia. Le unche (unghie) delle mani sono lunghi le addento (le incastro facendo forza) alle quadrature delle mattonelle del pavimento e tiro il mio corpo in avanti e così via. Rugiungo la saletta circa in due ore. Ce freddo fuori e bianco di neve. Tremo del freddo debbo tornare indietro malgrado chiamo aiuto nessuno mi sentì.

Ritorno sono desolato piango, a mettà di stanza qualcuno ha toccato il mio sudore. Giro il capo era stato un piede si scarpa, mi dice “ non aver paura siamo americani”. “ Tu american Inglisci Italì” non so cosa debbo dire, guardo ha occhiali stralucenti (luccicanti). Mi gira la baracca (vedo girarmi intorno la baracca, per vertigini) compreso lui lo sento vociare. Dopo un’istante mi giungano in cinque. Vengo fotografato col flesce (flash) e un giornalista. I quattro soldati mi prendono per mano. Vengo nuovamente fotografato assieme ai 4 soldati americani. Qualcuno prende un sacco lo stende mi posano di sopra. Grido “ho delle ferite”. Vengo fotografato i soldati scendano (portano giù) la barella. Sistemano del cotone mi prendano caricandomi sulla barella, mi alzano sull’autoambulanza, vengo ancora fotografato. Sistemano la barella, l’ultimo piano a destra ormai è pieno carico, l’autoambulanza parte immediata a grande velocità l’autista, due soldati dell’a cro Rossa americana ci dicano “state contenti dobbiamo percorrere 25 Km. In mezz’ora giungeremo l’ospedale avete tutto quello che desiderate presto andate a casa”.

  • Da “ Diario di un deportato – da Dachau a Buchenwald comando Ohrdruf ( pag. 123-124 ) Editori Gelka di Antonino Garufi : nato a Giarre (Catania) il 30 ottobre 1918, deceduto nel 1997.

NOTA: nel libro il testo originario è stato trascritto fedelmente, con tutti gli errori di ortografia, grammatica, sintassi.

** Le forze americane liberarono il campo di concentramento di Buchenwald, vicino a Weimar, in Germania, l’11 aprile 1945

.ancora dal Lager di Mauthausen

Io non so come ho fatto a resistere, si vede che mi ha aiutato il fatto di aver passato tante peripezie fin da quando ero bambino. Non so, ma penso proprio di esser stato fortunato a sopravvivere fino all’arrivo degli americani, il 5 maggio del ’45.

Eravamo proprio pochi sopravvissuti e siamo stati portati dagli americani a Linz in un ospedale delle suore di San Vincenzo, dove ci hanno dato anzitutto da bere moltissimo, per riabituare pian piano lo stomaco, e poi una torta, da mangiare molto lentamente.

Sono rimasto in quell’ospedale quasi un mese e mezzo e poi sono stato rimpatriato con un treno partito da Sankt Polen, una stazione di smistamento vicina a Melk.

Quando sono arrivato a Roma, verso il 10 luglio, mi sono presentato al Comando Militare in viale Giulio Cesare; ho fatto il foglio matricolare e tutte le altre pratiche burocratiche e, dopo avermi guardato bene, mi hanno detto:

Va bene, adesso ti diamo la convalescenza.”

Mi hanno pure dato settemila lire. Con questi soldarelli volevo tornare a casa, in Sicilia, e perciò mi sono recato alla stazione Ostiense, dove pareva ci fosse un treno in partenza. Invece, là, alla stazione, mi sono sentito male, non riuscivo a respirare, stavo proprio malissimo e il capotreno ha chiamato un’ambulanza, che mi ha portato all’ospedale del Celio. Era il 25 luglio del 1945 e sono uscito dall’ospedale il 5 marzo del 1947.

Avevo un’infiltrazione polmonare e a quel tempo non c’erano le medicine giuste per curare questa malattia; inoltre, mancava spesso la corrente, anche per due giorni di seguito; le cure si prolungavano, ma, infine, dopo quasi due anni, mi sono rimesso e adesso sono arrivato quasi a ottant’anni!”.

Tratto da “Da Piazza Armerina a Mauthausen” (a cura di Paolo Caruso, Upter–Università Popolare di Roma, Anno Accademico 2004-2005) di Rosario Militello: nato a Piazza Armerina (Enna) il 14/04/1925, deceduto il 23 maggio 2014.

Il “Giuramento di Mauthausen”

Il 16 maggio 1945, in occasione del rimpatrio del primo contingente di deportati, quello sovietico, si tenne sul piazzale dell’appello una grande manifestazione antinazista, al termine della quale fu approvato il testo di questo appello, noto come il “Giuramento di Mauthausen”

 «Si aprono le porte di uno dei campi peggiori e più insanguinati: quello di Mauthausen. Stiamo per ritornare nei nostri paesi liberati dal fascismo, sparsi in tutte le direzioni. I detenuti liberi, ancora ieri minacciati di morte dalle mani dei boia della bestia nazista, ringraziano dal più profondo del loro cuore per l’avvenuta liberazione le vittoriose nazioni alleate, e saluta no tutti i popoli con il grido della libertà riconquistata. La pluriennale permanenza nel campo ha rafforzato in noi la consapevolezza del valore della fratellanza tra i popoli.

«Fedeli a questi ideali giuriamo di continuare a combattere, solidali e uniti, contro l’imperialismo e contro l’istigazione tra i popoli. Così come con gli sforzi comuni di tutti i popoli il mondo ha saputo liberarsi dalla minaccia della prepotenza hitleriana, dobbiamo considerare la libertà conseguita con la lotta come un bene comune di tutti i popoli. La pace e la libertà sono garanti della felicità dei popoli, e la ricostruzione del mondo su nuove basi di giustizia sociale e nazionale è la sola via per la collaborazione pacifica tra stati e popoli. Dopo aver conseguito l’agognata nostra libertà e dopo che i nostri paesi sono riusciti a liberarsi con la lotta, vogliamo:

  • conservare nella nostra memoria la solidarietà internazionale del campo e trarne i dovuti insegnamenti;

  • percorrere una strada comune: quella della libertà indispensabile di tutti i popoli, del rispetto reciproco, della collaborazione nella grande opera di costruzione di un mondo nuovo, libero, giusto per tutti;
    «ricorderemo sempre quanti cruenti sacrifici la conquista di questo nuovo mondo è costata a tutte le nazioni.

«Nel ricordo del sangue versato da tutti i popoli, nel ricordo dei milioni di fratelli assassinati dal nazifascismo, giuriamo di non abbandonare mai questa strada. Vogliamo erigere il più bel monumento che si possa dedicare ai soldati caduti per la libertà sulle basi sicure della comunità internazionale: il mondo degli uomini liberi!

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MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega


Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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