La storia di attivismo e resistenza di Hernando Calvo Ospina

di David Lifodi

Conoscevo Hernando Calvo Ospina come un ottimo giornalista di Le Monde Diplomatique: fino ad ora ne avevo apprezzato la sua lucidità di analisi critica sul continente latinoamericano, ma grazie a Stai zitto e respira a fondo (Zambon Editore, 2014), una sorta di autobiografia del suo percorso politico, ho scoperto la sua storia, drammatica e sempre in bilico, quella di un giovane studente di giornalismo all’Università di Quito sequestrato e torturato dagli sgherri del Servizio di Investigazioni Criminali (Sic) agli ordini del presidente ecuadoriano León Febres Cordero.

Hernando viene rapito il 24 settembre 1985 nel clima di caccia alle streghe dovuto al rapimento, da parte della guerriglia colombiana, di un facoltoso uomo di affari ecuadoriano, per cui i servizi di sicurezza di Colombia ed Ecuador avevano dato vita ad un’operazione congiunta nei confronti di tutti i residenti colombiani a Quito ritenuti di sinistra. Come molti altri oppositori politici colombiani, Calvo Ospina si era trasferito in Colombia per mettersi al riparo dal clima di violenza che imperversava nel paese contro i militanti di sinistra e per denunciare le ingiustizie delle istituzioni dal confinante Ecuador. Presidente dal 10 agosto 1984, León Febres Cordero si era circondato da una serie di personaggi che hanno occupato pagine su pagine del rapporto presentato nel 2010 dalla Commissione per la Verità dell’Ecuador, che li ha identificati come responsabili delle violazioni dei diritti umani avvenute tra il 1984 e il 1988: tra loro, Mario Pazmiño, direttore dei servizi segreti dell’esercito ecuadoriano, incarico mantenuto fino al marzo 2008, quando il presidente Rafael Correa lo cacciò dopo aver scoperto che era pagato dalla Cia per destabilizzare il paese. Il lavoro della Commissione, creata dallo stesso Rafael Correa e trasformatasi poi nel rapporto “Senza verità non c’è giustizia”, indica tutti i torturatori di Hernando, che a questo proposito ha scritto: “Anni dopo seppi che quegli aguzzini facevano parte di un gruppo speciale chiamato Sic-10, creato in quello stesso anno, nel 1985. Era stato creato su ordine presidenziale e secondo lo stile dei paramilitari israeliani. Gli uomini che ne facevano parte vennero addestrati nelle tecniche di tortura che mi stavano applicando da ex ufficiali dei servizi segreti di quel paese, il Mossad, con l’appoggio della Cia statunitense”. In realtà, i servizi segreti ecuadoriani erano da tempo sulle tracce del giornalista colombiano, e conoscevano le attività del Centro di Studi Colombiani (Cesco), a cui appartenevano Calvo Ospina ed altri rifugiati colombiani: l’intelligence immaginava che il Cesco raccogliesse militanti dell’M-19, l’allora movimento guerrigliero colombiano, e appoggiasse quello ecuadoriano di Alfaro Vive. Carajo! (Avc), sorto nel 1982 ed intitolato al nome del Viejo Luchador che aveva combattuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento contro l’ultra-cattolico conservatore Gabriel García Moreno. In più, i servizi segreti arrivarono a Hernando tramite la rivista La Berraquera (in colombiano “forza”, “tenacia”), il foglio di informazione dell’opposizione colombiana che non aveva il permesso di circolare ufficialmente, ma era diffusa in molte librerie del paese. I primi dodici giorni dell’arresto, descritti da Hernando con dovizia di particolari ed una sorprendente ironia nonostante la sua vita fosse costantemente in pericolo, sono caratterizzati da torture atroci, ma il giornalista colombiano non parla. La principale accusa che gli viene rivolta è quella di essere un guerrigliero, anche se in più di una circostanza nel corso del racconto, spesso in maniera comica, Hernando sottolinea di non essere in grado di utilizzare un’arma. In pratica, lui ed altri suoi due compagni si sorprendono di passare per dei guerriglieri e di essere ricevuti, in occasione dei loro trasferimenti carcerari, da decine di militari armati e in assetto di guerra, quando in realtà non solo non sanno utilizzare armi di alcun tipo, ma nemmeno conoscono, se non vagamente, gli esponenti dell’M-19. Ciò che sorprende è la capacità di orientamento di Hernando: pur bendato, o costretto a guardare il pavimento per non vedere le facce dei suoi sequestratori, capisce subito che i suoi rapitori fanno parte dell’intelligence ecuadoriana, mantiene anche un invidiabile senso di orientamento e, nonostante le peregrinazioni dei primi giorni, riesce più o meno a rendersi conto in quale zona di Quito si trova. Giunto in carcere, Hernando Calvo Ospina e i suoi compagni in breve tempo si conquistano il rispetto e la stima di buona parte dei reclusi e, sebbenele organizzazioni internazionali per i diritti umani si diano da fare per la loro liberazione, iniziano a progettare la fuga. Ad aiutarli, da fuori, il fotografo cileno Julio García Romero, esiliato in Ecuador e conosciuto negli ambienti della sinistra latinoamericana come Manito o El Siete (aveva solo sette dita delle mani) a cui lo scrittore Luis Sepúlveda dedicò un commovente articolo sul quotidiano il manifesto il 24 aprile 2005, in occasione della sua morte. El Siete, “uno di quelli che lottano tutta la vita”, dedicato alla causa internazionalista, avrebbe dovuto fare tre passaporti falsi per far uscire dal carcere Hernando e gli altri. Tutto era pronto per la fuga: i “colombiani”, così erano chiamati in carcere, circondati dalla solidarietà di buona parte dei detenuti, si apprestavano a mettere in pratica il loro piano quando giunse la notizia che il governo dell’Ecuador voleva sbarazzarsi di loro: erano liberi di lasciare il carcere. Prima Hernando viene estradato in Perù, ma anche lì le cose non vanno per il meglio: più volte la stampa evidenzia che due pericolosi “terroristi” colombiani vivono a Lima, finché non arriva il nuovo trasferimento, in qualità di esiliato politico (il presidente Alan García lo aveva definito “persona non grata”), in Francia, dove il giornalista risiede tuttora nonostante il governo francese abbia respinto, nel 2011, la sua richiesta di cittadinanza attribuendogli delle non meglio precisate“tendenze sovversive”.

Attualmente Hernando Calvo Ospina collabora con numerose riviste, scrive libri e nel 2005 è stato proposto dalla Commissione Europea per il premio di giornalismo “Lorenzo Natali” grazie all’articolo realizzato per Le Monde Diplomatique,nel  novembre 2004, “Guerra privata in Colombia”.

 

Stai zitto e respira a fondo. Storia di attivismo e resistenza di un giornalista colombiano

Hernando Calvo Ospina

Zambon Editore 2014

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *