(ri)ascoltare Lalli

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Quando il Manifesto era anche una casa discografica avevo comprato “Tempo di vento”, non sapevo cos’era (li prendevo quasi tutti, costavano 12000 lire, mi sembra).

Poi ho capito che era un disco grandissimo, ne ho regalato un sacco di copie, e naturalmente ho preso anche gli altri.

E col tempo ho “scoperto” che era, insieme a Stefano Giaccone, l’anima dei “Franti”, e ho trovato, via Arivista (rivista anarchica) anche quei dischi.

E ho avuto la fortuna di ascoltarla cantare, in un concerto, eravamo una sessantina di persone, forse, piccolina, ma con una voce che dire bellissima è dire poco, una voce che non ti dimentichi più.

 

QUI alcune belle pagine per conoscere Lalli

qui una pagina su Lalli

 

 

Abbiamo tutti bisogno di una “musa” – Giorgio Maimone

Lalli non è una novellina. In tutti i sensi. Occupa un ruolo nel mondo della musica (come definirla? Di opposizione? Alternativa? Non ufficiale? Marginale?) di importanza notevole. E crescente. La sua “seconda” (o forse terza) vita artistica si compone di due soli dischi:“Tempo di vento” e “All’improvviso, nella mia stanza”. Poca roba, ma sufficiente a farla ritenere un fenomeno a cui guardare con grande interesse. Gabriele Ferraris, de La Stampa, che non è certo un tipo che gioca a speco sugli aggettivi, ha definito “All’improvviso, nella mia stanza” un “capolavoro”. Termine pesante e forse un po’ azzardato, ma di sicuro Lalli merita tutta l’attenzione che le si può dare. Peraltro “Tempo di vento” è stato giudicato dal Mucchio il miglior disco d’esordio italiano del 1999 (Premio “Fuori dal Mucchio”) e Rockerilla l’ha definito il miglior disco di rock italiano di quella stagione. Il disco, per quanto semi-clandestino, come conferma la distribuzione Manifesto Cd, vende in misura notevole (10.000 copie, in maggioranza ai concerti).

Tra i due progetti passano quattro/cinque anni, parzialmente interrotti dall’uscita di un mini-cd con “Tra le dune di qui” e“Terra vista dalla luna”, con cui comunque vince il Premio speciale della giuria del Ciampi. “Tempo di vento” è del ’98 e “All’improvviso” del 2002, anche se uscito nel 2003.

Non scrive tutto da sola: Lalli in realtà è come se fosse una sigla, un logo, che comprende anche Piero Salizzoni, musicista e co-autore di tutti i pezzi di “All’improvviso, nella mia stanza” e, probabilmente, co-anima e architrave di sostegno di tutto il progetto, un progetto che perde alcune asperità e si apre invece a sonorità etniche, con un respiro più ampio ed internazionale. Salizzoni produce anche il lavoro assieme a Carlo U. Rossi, produttore torinese che ha in precedenza lavorato con Mau Mau, Vinicio Capossela, Subsonica e molti altri artisti.

Lalli, di suo, così si era espressa sul disco al momento della sua uscita. “La fotografia del momento che sto vivendo: questa, per me, l’idea di un disco nuovo. Quindi, anche “All’improvviso, nella mia stanza”, scritto a quattro mani con il musicista Pietro Salizzoni, anche in veste di produttore artistico, è un’altra tessera nel mio piccolo mosaico di musica. E, come in tutte le fotografie che ti ritraggono in momenti diversi della tua vita, il paesaggio è mutato, come i colori, gli sguardi, le persone che si stringono sullo stesso frammento di sentiero. E ancora, qualche ricordo, qualche gioia, qualche ferita, qualcosa cioè anche della mia storia. Una manciata di canzoni insomma e, spero, tanta aria da respirare fra un accordo e l’altro”.

Due anni sono già passati da quel disco e non ci è dato, per ora, sapere se Lalli sta andando avanti con altri lavori. Il silenzio è stato parzialmente assorbito dall’uscita, dentro a “Mille papaveri rossi”, il bel tributo a De André, pubblicato da Marco Pandin per“A, rivista anarchica” di una cover lalliana dell’Ave Mariadeandreiana (quella di “Buona novella”, per intenderci, non dell’”Indiano”) che Lalli fa sua con intima adesione e buona dose di pudore. Ecco, il pudore del porgere potrebbe essere una bella chiave interpretativa per decrittare Lalli. Di suo ti dà l’impressione di essere sempre su una chiave tesa in procinto di spezzarsi. L’idea che ne esce è di grande tensione epica e di temi assolutamente vissuti. La voce di Lalli è una voce che inquieta; dietro si sentono gli anni vissuti, si intravedono ferite, si immaginano storie, quasi sempre in bianco nero. Il film delle sue canzoni non è neorealismo, perché mantiene quel procedere sincopato della narrazione che porta inevitabilmente alle atmosfere del noir francese o del giallo classico americano, a cui un sassofono vagante o una fisarmonica singhiozzante aggiungono quella spezia indispensabile alla memoria.

Ma sono i testi di Lalli che meritano di essere ascoltati con attenzione, perché sono parole pesanti, da non prendere mai alla leggera. “Fuoco II” (Occhi lucidi nella notte) da “Tempo di vento” è esemplare al proposito: “i nostri sorrisi hanno acceso la pioggia” … “C’era una donna / seduta al tavolo di un bar / anche lei rideva / tranquilla/ da sola / con un fucile sotto la sedia” … “gesti antichi come pietre/ grembi di nuovi rumori / a ritmo proprio dell’osso sul vetro” … “rincorrevo brandelli di carta / vecchie pagine di libri dai bordi carbonizzati / mentre i denti del cielo si aprivano / per lasciare cadere pezzi di blu a conficcarsi nei miei occhi / così, finalmente, di nuovo umidi”. E mi fermo a fatica: vorrei citarla tutta.

Ma è solo un esempio: da “Inverni” a “Stella”, da “Chenini” a “Ballo lento” (“E’ solo un ballo lento / nell’urgenza della voce / fra i battiti del tempo / fra i respiri del silenzio / nelle pieghe delle case / sulle pagine del mondo / la canzone / si scriverà / da sé / parlerà per me”) la lista dei testi validi è lunghissima ed è proprio una delle caratteristiche dell’offerta artistica di Lalli. Tra il primo (pur validissimo) disco e il secondo la crescita è evidente anche sul piano musicale, dove vengono smussate alcune rudezze e accentuate certe rotondità, in un maquillage accurato che, come in una bella signora, mette in evidenza i pregi maggiori e costringe quindi a buttare uno sguardo appena più distratto sugli eventuali punti deboli. Che sono pochi, diciamolo. Diamo quindi a Salizzoni quello che dovrebbe essere di Salizzoni: il suo contributo appare consistente nello spostamento del tono di fondo musicale, peraltro, anche in “Tempo di vento” (produzione di Mario Congiu) raffinatissimo, ma più spostato sul rock-jazz che sull’etnico.

Lalli, come si è detto, è tuttaltro che un’esordiente. Oltre che la voce dei Franti, con Stefano Giaccone, altro membro dei Franti, ha dato vita a numerose altre esperienze (Environs, Orsi Lucille, Howth Castle, Ishi), tutte quante sotterranee, poco conosciute, ma molto apprezzate negli ambienti underground torinesi e in tutte le aree di rock alternativo. Lalli, dopo quell’esperienza, ha cantato in centinaia di concerti sviluppando il suo stile vocale e compositivo vicino alla canzone rock e folk, sia nei gruppi da lei avviati quali Ishi (un Lp/CD) o Environs (2 Lp) ma anche come ospite per gliUmami di Miguel Angel Acosta (musica sudamericana) eBandamanera. I musicisti che l’accompagnano, testimoniano dei cambiamenti e delle permanenze della sua lunga carriera: Enrico Manera e Mario Congiu, musicisti della BandaManera insieme a Vanni Picciuolo e Stefano Giaccone, fondatori di Franti, musicisti attuali o “ex” di gruppi quali Panico, Kina, Mirafiori Kidz. Di tutto quel lavoro resta poco di facilmente reperibile.

Scrive dei Franti Vincenzo Palatella ne “Il cielo sopra Torino”: “Nel 1982 esce il primo demo tape della band, al quale segue l’anno dopo “Luna Nera”, successivamente stampato su vinile, e il loro approccio sonoro risulta subito inclassificabile in un genere musicale esistente: si oscilla tra folk, jazz e punk, e la definizione probabilmente più vicina allo stile dei Franti è hardcore folk. Attraverso un impegno politico mai sopito e rari concerti i Franti attraversano tutti gli anni ’80, pubblicando altri due album (“Franti/Contrazione”, split album con il gruppo punk dei Contrazione, e “Il giardino delle 15 pietre”) e affermandosi come gruppo di culto, seminale e molto influente per la musica italiana degli anni successivi”.

Ora restano da seguire le carriere solistiche di Lalli, di Stefano Giaccone e di Mario Congiu. E non è poca cosa. I semi che volavano nel cielo sopra Torino hanno toccato terra ed hanno germogliato.

da qui

 

Una voce, di notte, che canta della vita. Brividi ai pensieri.- Giorgio Maimone

Non tutto fila liscio in questo “Tempo di vento”. Diciamolo subito che così con le critiche abbiamo finito. Sulla strada che porta dagli esordi di barricata dei Franti alla canzone sofisticata di “All’improvviso, nella mia stanza”, “Tempo di vento” è una tappa necessaria, ma necessariamente una tappa. E’ abbastanza difficile fare recensioni a posteriori, ossia partire dal disco successivo e risalire a riscoprire il passato di un’artista. Con Lalli ne vale la pena. Sono 48’08” di musica sempre in grande tensione espressiva, tese come spade nel desiderio enorme di esprimersi. Partita nell’82 in un gruppo di hardcore folk che sceglieva di assumere il nome del “cattivo” del libro cuore, ossia Franti, Lalli arriva al debutto come cantautrice, lasciando il segno e graffiando tutti i cuori con cui arriva a contatto.

Le perplessità sono quasi tutte limitate alla musica e agli arrangiamenti (a cura di Lalli e di Mario Congiu), ancora incerti se abbandonare la strade delle schitarrate in chiave rock e puntare su un clima più rarefatto o puntare su una compresenza dei due momenti. Convince di più la Lalli che si butta sulle atmosfere soffuse, su accompagnamenti quasi jazz, accompagnata da sassofoni rauchi e in sottofondo o da violoncelli narranti. Il tempo della chitarre forse potrebbe essersi concluso.

Non c’è invece nessun cedimento sul piano della scrittura: “Fuochi II” e “A Donatella” strappano l’anima senza bisogno nemmeno di chiedertene il permesso e “Aria di Buenos Aires”, dedicata alle madri dei desaparecidos argentini, da sola vale il costo del disco (che peraltro costa pochissimo e rende in misura inversamente proporzionale). In “A Donatella” compaiono il violoncello di Elena Diana e la voce di Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione, mentre “Famous blue raincoat” di Leonard Cohen, è resa benissimo, tradotta da Lalli ed eseguita con Congiu al pianoforte e Stefano Giaccone (che firma anche il testo di “L’uomo col braccio spezzato”) al sax.

La partita è all’ultimo sangue: la scelta è se sia la scrittura dei testi o la voce di Lalli l’arma impropria con cui questa “voce cantatrice” invade l’aria attorno ai diffusori sonori. Lalli è pervasiva: prima ti tocca con la voce gli angoli reconditi del cuore e così ti spinge ad ascoltare testi che non sarebbe cosa buona e giusta trascurare.

“Fuochi II (Occhi lucidi nella notte)” è una poesia declamata con voce filtrata su un tappeto moderatamente spruzzato di elettronica. Non so che farci, mi conquista restare ad ascoltare: “Seguivo i volteggi della sabbia / che il vento sollevava dal ciglio del fiume” … “La mia voce da vecchia, bambina, rilasciava la sua litania” … “Il fiato del vento ti arriverà” .. “Un lento cadere / un lento ballare / ascolta i tuoi piedi / troveranno parole da spalancare” … “Pelle di lucertola turca” … “Cosa faremo quando l’estate sarà finita / e non ci saranno più letti, nè sonagli”.

Ma sono pochi i pezzi da non considerare: tra “Brigata partigiana Alphaville” e “Mostar”, “La mia faccia” e la canzone che dà il titolo all’album.Sembra facile dirlo a posteriori, ma con un debutto simile una come Lalli era evidente che andava tenuta d’occhio.

da qui

 

Una sicurezza: abbiamo un nuovo nome da coltivare – Moka

E’ già un po’ di tempo che Lalli calca le scene. Prima con i “Franti”, gruppo storico dell’underground torinese fin dagli anni ’80, poi da solista a partire da “Tempo di vento”, cd del Manifesto del 1998. Nel 2003 è uscito invece questo “All’improvviso nella mia stanza”, un disco che sarebbe un vero peccato passare sotto silenzio. In primo luogo perché è un gran disco di musica d’autore e in secondo luogo perché è il disco di una donna autrice che ci consegna un personaggio ormai maturo per essere segnato tra le sicurezze, tra quei nomi che bisogna salvarsi e ricordarsi ogni tanto di andare a cercare, perché, come spesso capita col bello, non è facile trovarli in giro.

A tutti gli effetti un disco a quattro mani, perché di tutti i brani è coautore Pietro Salizzoni, che produce pure il lavoro (assieme a Carlo Umbero Rossi) e suona le chitarre e il banjo nel disco. Cosa affascina in questo lavoro? La voce di Lalli in primo luogo, voce calda e avvolgente, matura e consapevole, voce che culla e che consola, che affascina e coinvolge. Non la voce della “femmina fatale” ma della donna (compagna?) da cui potrebbe essere bello sentirsi raccontare storie. E poi sono le storie stesse a reclamare la loro attenzione.

“In questo disco – scrive la stessa Lalli – c’è qualcosa che rimanda a quelli precedenti, eppure è molto diverso: sia per le sonorità, cercate anche in strumenti etnici, folklorici e popolari, sia per una diversa attenzione agli aspetti melodici ed armonici. L’intento é quello di ridare leggerezza e respiro alle storie raccontate, sperando che le canzoni possano rendere loro visibilità, spazio, tempo, anche se, sicuramente, non giustizia. E ancora, qualche ricordo, qualche gioia, qualche ferita, qualcosa cioè anche della mia storia”.

E delle storie di tutti in generale. “Stella” e “Tra le dune di qui” sopra tutte, ma seguite a una corta incollatura da”Chenini” e “Testa storta”, scritta appositamente per il film “Preferisco il rumore del mare” di Mimmo Calopresti. “Senza meta / stelle filanti / il cappello volava / dalle mani alla sedia / Sulla giacca un po’ / di freddo e d’incenso / così vicino ora tutto fuggiva // Se, se è stella il mio giorno / Se, se è stella il mio cielo // Senza fiato ormai / la mano si apriva così sorpresa / si chiudeva la gola / Sulla mia bocca bruciava / la tua bugia / che fosse la terra a tremare / una cometa passare”. (Stella)

Il tono di fondo è delicato e intimistico, la strumentazione prevalentemente acustica con qualche accenno etnico. I testi di Lalli richiamano il miglior cantautorato, riuscendo però profondamente a essere se stessa. Ironia della sorta, la critica più avvertita, quella che si è accorta di Lalli, per riuscire a rendere un’idea del suo lavoro hanno dovuto usare tutti paragoni al maschile (Leonard Cohen, De André, De Gregori). Credetemi, non ha niente degli autori sopraddetti, ma è solo un vantaggio: vuol dire che è personale. E per capire com’è dovrete fare la fatica di ascoltarvela e di acquistare il disco.

da qui

 

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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