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Urania rilancia in un volumone due fanta-romanzi (uno è splendido, col “cuore in mano”) di Fredric Brown – Faster than light –in compagnia di un suo giallo “marziano”)

 «Faster than Light» cioè più veloce della luce: così Riccardo Mancini (*) aveva soprannominato Fredric Brown per i suoi fulminanti racconti – «Sentinella» e «La risposta» i più brevi/famosi – di una paginetta circa con sconquasso finale. Ma a fianco di molte splendide storie brevi, Brown scrisse anche romanzi memorabili sia di fantascienza (pochi purtroppo) che dalle parti del giallo. E l’Urania in edicola – collana Millemondi: 400 pagine per 7,90 euri – ne propone tre. I famosi «Progetto Giove» (del 1963) e «Gli strani suicidi di Bartlesville» (1961) – nelle traduzioni di Giuseppe Lippi e Mario Galli – che sono fantascienza pura più «Uno strano cliente» (1951, tradotto da Livio Cortesi) che è un poliziesco con un pizzico di “paranormale” ma almeno tre manciate di ironia … in un gomitolo di trame.

PROGETTO GIOVE

Quando una trentina d’anni fa con Riccardo Mancini tentammo la lista (un po’ da ragazzini?) dei “migliori 10 della fantascienza” ci trovammo di fronte a un dilemma: “er mejo” rispetto a che? Scrittura, invenzione-immaginazione oppure “testi che lasciano un segno nella cultura del tempo” e/o cos’altro? Non ricordo bene – e purtroppo non ritrovo – le nostre classifiche ma sono certo che «Progetto Giove» (titolo originale: «The Lights in the Sky Are Stars») era il primo, primissimo nella sezione “passione”. Non esiste infatti – o almeno io non l’ho letto – un romanzo o racconto che trasmetta quell’innamoramento del desiderare altri mondi che è tipico della migliore fantascienza (ma presumo che la “voglia di stelle” sia dentro anche molte persone che non hanno letto un rigo di science fiction).

Quasi all’inizio di «Progetto Giove», Max Andrews guarda le luci del cielo e chiarisce come la pensa: «Dicono che non raggiungeremo mai le stelle perché sono troppo lontane: è una bugia. Ci andremo. E se i razzi non basteranno, qualcosa salterà fuori». (Fate attenzione al «qualcosa» perché in questo romanzo c’è una strada per lo spazio davvero insolita… e pericolosa). Se io che scrivo o tu che leggi non c’andremo, consegneremo “il sogno” ad altre/i; per esempio al «ragazzo con gli occhi pieni di meraviglia» delle ultime pagine che sta sulla Terra ma con «l’espressione del prigioniero». E parafrasando l’ultima frase del romanzo ognuna/o di noi si sente «umile davanti all’uomo e al suo futuro, davanti a Dio se c’è un Dio prima che lo diventi l’uomo».

Ci vuole un grande sogno per pensare alle stelle quando (1963) gli esseri umani non sono ancora sbarcati sulla Luna, Come pensa Max: «mio fratello, neanche un briciolo di immaginazione». Lui invece è un bugiardo (mente in primo luogo a se stesso) e un pazzo, disposto a qualsiasi cosa per viaggiare nello spazio, più lontano possibile. Un libro indimenticabile: e non solo per “le visioni” di Max ma anche per Ellen Gallagher e per M’Bassi (un Masai «buddhista, mistico, matematico» del tutto inedito) e per chiunque pensi «un milione di mondi da prendere e godere»

GLI STRANI SUICIDI DI BARTLESVILLE

Dilungatomi su «Progetto Giove» (il sacro fuoco mi brucia) mi limito a dire che «Gli strani suicidi Bartlesville» – titolo originale «The Mind Thing» – è incalzante, originale e poi 100 volte imitato, quasi perfetto dalla trovata iniziale al lieto fine con speranza cosmica incorporata. Anche qui è questione di «immaginazione», l’intelligenza non basta. Nella minuscola Bartlesville sarà Staunton, cioè l’uomo di scienza a risolvere l’enigma ma senza l’aiuto della signorina Talley, che è appassionata di fantascienza (vaaaaaaai) non ce l’avrebbe fatta.

UNO STRANO CLIENTE

Fu notevole come giallista Brown (**) e anche «Uno strano cliente» – il titolo originale suona «Death Has Many Doors» – lo conferma. Se a minacciare Sally di morte non sono i marziani, come lei crede, bisognerà trovare chi e perché. A volte gli investigatori (privati in questo caso) sanno benissimo chi sono gli autori dei delitti «ma non c’è una possibilità al mondo di poterlo provare»… fino a che capita un imprevisto: qui che un ragazzino antipatico ti minacci con una pistola finta e allora l’immaginazione sui metta a galoppare. Ho detto “immaginazione”? Ma allora è un vizio.

(*) cfr Brown, più veloce della luce di Erremme Dibbì

(**) Non è fantascienza ma Brown vola a proposito del romanzo «Tutti abbiamo ucciso la nonna»

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Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

5 commenti

  • Progetto Giove è un testo indegno di Brown e indegno di mille mondi. Troppo ingenuo e artificiale, semplicistico.. Il giallo “marziano” invece nei suoi limiti diverte. Ottimo esempio di fantascienza classica Baskerville.

  • Daniele Barbieri

    In tanti anni è la prima volta (o la seconda?) che dissento radicalmenre da Mauro Antonio. Per me “Progetto Giove” è ottimo, emozionante. Per non intasare “i commenti” continueremo la nostra discussione in privato; se vi capitasse di sentire rumore di sciabole-laser non preoccupatevi, è solo un dissidio dialettico ai tempi della caciara.

  • In privato con un certo garbo il mio antagonista cerca di farmi notare l’incompatibilità tra “ingenuo” e “artificiale”. Invano. A parte che avrebbe fatto bene a sottolineare che più che artificiale avrei dovuto dire artificioso, dico che al genio di Brown possono riuscire bene di queste e altre imprese. Poiché non ho il buon cuore di Daniele spietatamente rimprovero al grande scrittore l’ingenuità degli ideali (che altro autore ha ben riassunto nel titolo: lo spazio è la mia patria) e l’artificiosità dei mezzi inventati per realizzarla. Se pure alla sue epoca c’è stato un alienato in possesso di sogni uguali, nessuno di loro è emerso facendo qualcosa di notevole per realizzarli. Neanche per porre le basi per una ricerca in quella direzione. L’ideale fantascientifico vero e la volontà ostinata di venire a capo dei misteri della natura, misteri che la quantistica suggerisce gli uomini abbiano appena sfiorato. Altro che Giove. La meccanica Quantistica ha restituito all’uomo i sogni (in forma di possibilità) che la relatività gli aveva negato. Possibilità dei viaggi nello spazio profondissimo (intergalattico), nel tempo e nelle dimensioni.
    Grazie comunque a Daniele di aver messo in evidenza un tópica inaccettabile in chi pretende di misurarsi nella narrativa. La fretta non costituisce un’esimente. Al massimo, vogliamo essere buoni, una attenuante.

  • Tutte queste chiacchiere per divertirmi e divertirvi. Sperando bene. In realtà non ho trovato ben fatta la storia, i personaggi e la descrizione degli espedienti utilizzati. Farla facile lo capisco e ammetto. Farla facilissima risulta invece insopportabile. Credete davvero possa rubare tanto agevolmente documenti importanti e farla franca? Neppure si trattasse di Diabolik!

  • A propósito i migliori 10 della Fantascienza? Presto detto: Dick, Van Vogt, Dante, Omero, Ariosto, Sturgeon, Hamilton, Heinlein, Williamston, Shechkley. Se poi invece che di dieci più prudentemente si parla di venti: Tenn, Simak, Asimov, Brunner, Silverberg, Brown, vannegut, Pohl, Le Guin, Aldani.
    A parte metterei il narratore collettivo di Mille e una Notte.

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