7 dicembre 2031: dialogando con i boschi amazzonici

di Maria Teresa Messidoro (*)

Foto: Pixabay

 

7 dicembre 2031: nel calendario (che si distribuirà via internet) questa data sarà ricordata come un giorno storico per il Perù, ma anche per tutto il pianeta. Pucallpa, menzionata nelle nuove e scintillanti guide turistiche disponibili nei nostri cellulari di ultima generazione come antica capitale dell’industria forestale, è stata scelta come testimone vivente dell’importante gesto di fratellanza tra la società umana e i boschi; alcuni studiosi europei avrebbero voluto come sede dell’incontro un bosco europeo, ma la desertificazione avanza in questo continente ormai ridotto a un’arida terra, senza linfa e vita naturale.

Dopo un lungo e a volte confuso dibattito incentrato sul tema «dialoghi per il futuro dei nostri boschi» – a cui hanno partecipato anche in videoconferenza rappresentanti delle istituzioni scientifiche e politiche mondiali – si è giunti a un incredibile consenso diffuso, che fino a poche ore prima sembrava impossibile da raggiungere: da oggi nessun albero sarà più tagliato in Perù. Tutti i partecipanti hanno voluto sottolineare il proprio profondo legame con gli alberi e più in generale con la natura, ribadendo l’esistenza di un’origine comune fra specie umana e specie vegetali. E questo è stato possibile perché finalmente, accettando la proposta di una donna, ci si è disposti in cerchio intorno a un gigantesco albero di Lupuna, alto più o meno settanta metri, considerato lo spirito guardiano della foresta, per ascoltare ciò che ci volevano comunicare gli alberi amazzonici, sapienti per la loro esperienza secolare. La escucha profonda e rispettosa dell’altro, anche se vegetale, è stata proficua, tutti hanno compreso che solo trasformandosi si può trasformare il mondo.

E’ stato impressionante vedere discutere insieme autorità civili, rappresentanti delle università, esponenti di parchi e musei, organizzazioni della società civile, rappresentanze delle popolazioni indigene, delle organizzazioni di donne, giovani, sindacalisti e studenti; un mondo multicolore e plurilinguistico, che – dopo due anni di confronto serrato, di polemiche e di rivendicazioni – ha raggiunto l’accordo su un punto che non potrà più essere messo in discussione: l’umanità in quanto tale non può permettersi di continuare ad alterare e degradare i nostri boschi, dunque queste attività insulse, basate sul profitto e la commercializzazione indiscriminata, devono cessare.

Di più: l’accordo si trasformerà in legge dello Stato.

Perché gli effetti del cambiamento climatico, la perdita sistematica della biodiversità, la continua estinzione di differenti specie di flora e fauna erano ben visibili nei discorsi e nelle espressioni dei partecipanti. Tutti sappiamo che l’incremento di temperatura ha provocato proprio negli ultimi anni un peggioramento delle condizioni di vita umana, colpendo l’economia nazionale e internazionale. Soprattutto i rappresentanti delle molteplici culture indigene ci hanno voluto ricordare che l’estinzione delle specie si è trasformato in una notizia quotidiana: proprio loro sono consapevoli che quando si perde una specie, sia essa animale o vegetale, si perde un pezzo di noi.

Decine di anni fa, gli studi di Stefano Mancuso dell’Università di Firenze, di Susanne Simard dell’Università della British Colombia o di Richard Karban dell’Università di California erano riusciti a sensibilizzare alcune persone e gruppi allora definiti ambientalisti, convincendoli che le piante sono comunità vive, che possiedono una coscienza e che sono in grado di sentire e comunicare tra di loro. Ma soltanto ora la comunità peruviana e quella mondiale sono state capaci di conoscere, valutare e interiorizzare eticamente questa diversa prospettiva nel concepire il mondo. 

Persino le persone più scettiche sono state definitivamente convinte che le piante percepiscono e possiedono sentimenti: essere riusciti a comprendere che le selve sono in grado di controllare il proprio metabolismo, pensano e si muovono seguendo il proprio ritmo naturale è stata una grande vittoria. Ciò ha fatto sì che le persone acquisiscano un altro punto di vista, assumendo un atteggiamento nei confronti delle piante che va al di là delle semplici priorità economiche, quelle che per troppo tempo hanno predominato. Finalmente ci stiamo rendendo conto che sì, siamo esseri umani, ma siamo anche natura e non possiamo più ignorarlo o trascurarlo. La valorizzazione solamente economica non può più predominare, né in Perù né altrove, non si può continuare a sfruttare i boschi soltanto per contribuire al nostro sviluppo economico. La caduta dell’ultimo shihuhuaco è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: da alcuni anni non potevamo più ammirare nessuna pianta di cedro o caoba, e ora anche la specie Shihuhuaco è definitivamente scomparsa. Questi alberi maestosi avevano una crescita molto lenta, erano necessari settecento anni di esistenza per raggiungere un’altezza di cinquanta metri e il diametro di un metro: la foresta amazzonica li ha completamente persi, a causa del disboscamento illegale; ora ci si rende conto di quanto male abbiamo inferto al mondo vegetale. Una corruzione istituzionalizzata e una voracità insaziabile ci hanno fatto dimenticare il sentimento della compassione, il compatimento nei confronti delle specie vegetali che è possibile soltanto se insieme al compatire esiste anche il compartir, dicono gli abitanti del Perù esprimendosi in spagnolo. La vigilanza con i modelli di sorveglianza ispirati alle nuove tecnologie non può dare i frutti sperati se non è accompagnata da un rovesciamento di paradigmi sociali.

E’ ora di iniziare un cammino di rispetto nei confronti degli alberi e dei boschi, gli stessi imprenditori nel campo della falegnameria devono comprendere che si possono ottenere guadagni lavorando nel rispetto dei diritti delle specie vegetali, degli alberi che devono essere mantenuti in vita, per non distruggere il nostro precario ecosistema.

I popoli indigeni hanno lottato a lungo per questo, hanno visto morire molti dei propri fratelli, hanno assistito alla sparizione di piante secolari, ma ora finalmente possono sorridere, perché una grande battaglia è stata vinta.

Con l’accordo di Pucallpa si è anche stabilito che d’ora in poi i parchi zoologici saranno ridisegnati in modo tale che le persone potranno conoscere gli animali attraverso ologrammi, che sostituiranno quelli vivi, perché nessun animale sarà più chiuso in uno zoo, come oggetto da mettere in mostra in un baraccone del commercio.

Non solo: la potatura avverrà sempre e solo con molta attenzione nei confronti delle piante, senza volerle attaccare violentemente. Tutti, indistintamente siano cittadini o contadini, dovranno bagnare e curare le piante intorno alle proprie case e nelle strade circostanti. Persino gli innamorati si impegnano a non intagliare cuori nelle cortecce, riservandosi di disegnarli in appositi cartelloni che saranno posti per le vie. Gli esemplari della fauna silvestre saranno banditi dalle tavole dei ristoranti, riscoprendo i più importanti cibi tradizionali, scomparsi da tempo.

Da oggi, le informazioni su questo importante accordo viaggeranno velocemente in internet, come ormai siamo abituati, ma si riprenderà la buona pratica del raccontarlo da madre a figlio o figlia, da nonno a nipote, da insegnante ad allievo-allieva; e perché no da essere umano all’altro essere che vive insieme a noi e con noi in questo mondo comune.

Come sarebbe contenta Bertha Caceres e con lei tutte-tutti coloro che più di dieci anni fa hanno dato la loro vita per questo buen vivir. E come lo sarebbero tutt@ coloro in passato ci avevano messo in guardia da una economia capitalista “ecologica” e socialmente amichevole, una economia basata sulla produzione industriale di olio di palma detta sostenibile, su piantagioni “sostenibili”, miniere “sostenibili”, energia “sostenibile”, cioè una economia che fingeva di colorare tutto con il verde tutto, inclusa la distruzione dei boschi per aprire il cammino a nuove espansioni devastatrici e voraci.

Il racconto è stato liberamente ripreso dall’articolo di Rodrigo Arce Rojas, dottore in Pensamiento Complejo por la Multiversidad Mundo Real Edgar Morin de México.

https://www.servindi.org/actualidad-noticias/16/02/2019/ecoficcion-el-dia-que-decidimos-que-conservar-los-bosques-es-mas che ringrazio per aver accettato con allegria questa libera trasposizione.

(*) vicepresidente Associazione “Lisangà culture in movimento”

 

Teresa Messidoro

Un commento

  • Condivido tutto l’articolo. Non so dire se le piante abbiano oppure no uns loro sensibilità che li renderebbe oltre tutto in grado di comunicare tra loro. Comunque se usassimo la nostra per auscultarli come si fa con il nostro cuore, potremmo salvarli, e con loro il pianeta Terra. E’ un dato di fatto che l’ecosistema si stia ribellando. E dovremmo ribellarci anche noi.

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