7171, recensione di Christiana de Caldas Brito

7171 – L’attesa del giudizio, l’ultimo libro di Enrico Pili, è stato presentato l’11 giugno scorso a Roma presso la sede dell’Enpaia (Ente Nazionale Previdenza per Addetti e Impiegati in Agricoltura), all’EUR. L’incontro era organizzato dall’Associazione Luigino Scricciolo, di cui è presidente Pierangela Sebastiani, la compagna dell’ex sindacalista scomparso poco più di un anno fa.

Oltre a essere un omaggio all’onore di un amico e all’amicizia stessa, 717 – L’attesa del giudizio è un libro necessario nell’Italia di oggi grazie all’attualità dell’argomento e la riflessione politica che ne deriva, valida nell’individuare problemi che tuttora affliggono l’Italia.

L’autore, infatti, racconta le vicende reali (e surreali) capitate a Luigino Scricciolo, sindacalista della UIL e membro di Democrazia Proletaria, un piccolo partito di sinistra il cui capo era Mario Capanna, leader del sessantottino “Movimento studentesco”.

Scricciolo era un vero pacifista che credeva nella democrazia e nel cambiamento attraverso il lavoro e la persuasione politica. Nel suo sindacato aveva l’importante incarico di responsabile dei rapporti con le organizzazioni straniere. Tra i successi del suo lavoro ci fu quello, di eccezionale significato politico, di aver fatto “riconoscere” il sindacato polacco Solidarnosc e di aver portato in Italia il leader, amato da Giovanni Paolo II, Lech Walesa, che poi sarebbe diventato presidente della Repubblica.

Nel febbraio del 1982 Scricciolo venne sbattuto in galera con la grave e infondata accusa di “organizzazione di banda armata a fini terroristici”.

Leggiamo sulla copertina del libro che 7171 – L’attesa del giudizio è un romanzo. L’autore si è liberamente ispirato a quanto successo a Scricciolo. È interessante sapere che Scricciolo aveva letto 7171 – L’attesa del giudizio ed era perfettamente d’accordo con quanto raccontato da Pili condividendone l’impostazione fantascientifica e le incursioni nella “poetica dell’assurdo”.

L’autore ricompone la vita del protagonista, mostrando le lotte pacifiste di Alessandro Rigolo (nome dato a Luigino Scricciolo nel romanzo e al quale ci riferiremo da adesso in poi). Il libro provoca un senso di smarrimento in chi viene a sapere come si è svolto l’imprigionamento di Rigolo, e i metodi inquisitori usati dalla giustizia. Con l’accusa di terrorismo, più di un’ipotesi è stata formulata contro di lui: contatti con i bulgari nell’attentato al Papa Giovanni Paolo II, sequestro di un generale americano, appoggio agli indipendentisti sardi. Nessuna di esse corrispondeva alla verità.

Pili riesce a comunicare l’assurdità (ioneschiana e kafkiana) della situazione in cui è venuto a trovarsi un giusto. Incisive le riflessioni nel capitolo V sulla libertà come dono che sentiamo astratto finché non ci viene a mancare; solo allora possiamo capire nella sua tangibilità che cosa vuol dire essere liberi.

Grazie a una scrittura poliedrica e inventiva, ricca di vocaboli in vari idiomi – che includono il latino, lingua del potere giudiziario e religioso, – oltre alle parole create ad hoc, l’autore entra nella mente di Rigolo e descrive le sue reazioni quando rimane senza casa, amicizie, moglie, affetto, famiglia, lavoro e, quel che è più grave, senza l’onore. Da allora lo scopo della vita di Rigolo sarebbe stato la salvaguardia della sua dignità.

Nella prima parte del libro (1982- 1984: gli anni passati in carcere) Pili accompagna le perplessità e lo sgomento del personaggio principale, i suoi ricordi e i suoi bisogni. Impossibile non immedesimarsi nel protagonista e non sentire sulla propria pelle l’ingiustizia di cui è stato vittima. L’autore mostra qui il senso di abbandono e lo svuotamento graduale operato dal carcere, “luogo di ferrea solitudine”, su l’innocente Rigolo. Con lui si trovano altri innocenti come Lorenzo Colombo (noto presentatore televisivo che tutti ricordano), il generale De Magistris e Anthony Blacks (nomi di fantasia per altri due personaggi reali).

La monotonia della prigione, il problema dell’alimentazione, della nostalgia degli esseri cari, la mancanza di una vita sessuale, la perdita della libertà. Pili accompagna i vari modi escogitati da Rigolo per ritrovare un senso alla vita. Per non abbruttirsi del tutto, bisogna ricordare i versi della “Commedia” di Dante o protestare con lo sciopero della fame o, purtroppo, provare l’estrema uscita con un tentativo di suicidio, ricorso dignitoso per chi si vede trasformare gradualmente in un vegetale (e qui l’autore presenta una sorta di “girone dei suicidi” dove si incontrano grandi personaggi come Pavese o Salgari).

Nella seconda parte (1984–2002), dove prevale il registro fantascientifico, abbiamo un excursus di vent’anni di politica italiana, Presenti tutti i politici dell’epoca sotto nomi simili, facilmente identificabili, tipo Andreuccio della Lungara, Prax, Korsikos. Presenti anche i leader del sindacato confederale, le figure dello spettacolo, i familiari e gli amici di Rigolo. Ci sono anche dei personaggi cinematografici, come l’Angelo Azzurro che qui assume una valenza positiva.

Indimenticabili le pagine scritte nell’ottica fantascientifica, pagine di fervida immaginazione e profonda ironia. Acqua e fuoco diventano elementi (già provati in modo efficace dall’autore nel suo libro Hinterland 6, del 2007) per la descrizione di una Roma che si prepara al Giudizio Universale (ricordo dell’omonimo film del ‘61, di De Sica) ma incapace di arrivare – e difatti non arriverà mai – al giudizio di Rigolo che, si capisce, no
n è mai stato assolto dalla colpa che non aveva …

L’archiviazione e il “non luogo a procedere” non sono stati che una beffa per chi aveva aspettato per tanti anni un pubblico dibattimento e un giudizio che avrebbero ufficialmente dichiarato la sua innocenza.

Per Enrico Pili l’unico modo di raccontare una storia così paradossale e illogica è trasformare in assurdo la realtà stessa: “Beati i costruttori di pace perché di essi è il regno dei cieli purché usino le armi contro i distruttori della pace. Beati gli ossimori perché loro sarà il Paradiso del Paradosso. Le mine antiuomo erano molto ricercate perché, come le pipe, erano fatte a mano, creative e soprattutto belline, su misura per i bambini. Una voce importante dell’economia e dell’esportazione. Nemmeno l’Organizzazione si era prodigata per il no. Le armi andavano tutelate e perseguiti quelli che , interpretando male la Costituzione e i Testi Sacri, erano contrari. Articolo 1: “l’Italia è una repubblica fondata sull’ossimoro.” (pag. 329).

Il tema centrale del libro è la presenza dell’Inquisizione con il suo diabolico potere. 7171- L’ attesa del giudizio è anche un testo che indaga sul significato del vivere, dell’impegno politico, della fragilità delle circostanze che ci mantengono umani. Più che da quattro mura, Alessandro Rigolo è imprigionato da un sistema che non ha rispettato i fondamentali diritti del cittadino.

Sommando i giorni della galera con quelli che Rigolo aspettò fino ad essere liberato dall’incubo – senza giudizio – sono passati 7171 giorni (ecco il perché di questo numero presente nel titolo del libro).

Nella copertina, di chiara ispirazione fantascientifica, una mano cibernetica.

L’attesa del giudizio, seconda parte del titolo, è un dichiarato omaggio al grande giurista Salvatore Satta, autore di “Il giorno del giudizio,” e sardo come Pili.

7171 – l’attesa del giudizio, opera che deve essere letta e divulgata, è un viaggio nell’interno e nell’inferno dei sentimenti, nella disperazione ma anche nella lotta per rimanere umani in condizioni disumane, un viaggio nell’amicizia, nella politica italiana, nelle fondamentali domande che ci aiutano ad essere più consapevoli del paese in cui viviamo: c’è qualcosa che non va nel funzionamento della democrazia? Esiste oggi in Italia la libertà di stampa e di satira? Cosa possono fare i cittadini per evitare situazioni come quella in cui si è trovato Rigolo?

Oltre alla fantascienza, l’autore, come di consueto, ricorre a immagini cinematografiche, pittoriche, letterarie, musicali per rendere ancora più incisivo il suo stile nel comunicare l’orrore per l’ingiustizia subita da Alessandro Rigolo.

Una delle invenzioni fantascientifiche del libro è la pistola della polizia galattica, che spara un cellophane che letteralmente impacchetta le vittime. Questa pistola è usata varie volte contro Rigolo e altri prigionieri. A ben pensarci, usare una pistola simile per immobilizzare e togliere i fondamentali diritti di un individuo (libertà di parola, libertà di movimento) non è lo stesso che metterlo in galera immobilizzandolo tra le pareti della cella, negandogli la possibilità di difendersi? Fantascienza e realtà … Quel che si constata nelle pagine del libro di Pili è che le due realtà non sono poi tanto distanti tra di loro.

 

 

7171 l’attesa del giudizio

romanzo di Enrico Pili

Colanna Carta d’imbarco, Scuola Sarda Editrice, 2010

15 euro, 430 pagine

 

 

 

Redazione
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