Refugees Welcome

Nonostante l’ondata securitaria dilagante esiste una diversa narrazione sui migranti e accoglienza. Ecco articoli e riflessioni per ribadire che l’integrazione non è solamente possibile ma necessaria.

 

Perché Salvini vuole chiudere i porti agli immigrati che ci rubano il lavoro 

di Francesca Fornario (*)

Non sono molti quelli che hanno trovato un lavoro che può dirsi lavoro. Gli altri sono disoccupati, sottoccupati, semioccupati, disoccupati parziali, stagionali, venditori ambulanti. Il vocabolario della civiltà industriale dice che questa è un’integrazione. Infatti, l’immigrato fa quasi parte del paesaggio. Dove andrà questa gente? Loro non lo sanno ma noi sì: a ingrossare l’esercito dei sottoproletari necessari al sistema. A aumentare la massa dei lavoratori fluttuanti, degli abbassatori di tariffe sindacali, dei crumiri. La città lo sa, la stampa lo sa ma non sempre lo dice.

Con queste parole vengono descritti gli immigrati in un documentario di Lino Del Fra trasmesso dalla Rai, proiettato a Venezia e conservato negli archivi dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico. Un documentario del 1962. La pellicola racconta gli immigrati che dal Sud d’Italia arrivavano a Milano a bordo della Fata Morgana: “Il treno dei terroni”.

Mai previsione fu meno azzeccata. Quegli immigrati che dovevano abbassare le tariffe sindacali dei lavoratori accettando impieghi sottopagati, saltuari, stagionali, hanno invece ottenuto paghe migliori e diritti sindacali per tutti.

Nel 1962, gli stipendi dei lavoratori italiani erano tra i più bassi in Europa. E questo non per la crescente presenza degli immigrati, presenti in massa soprattutto altrove – Belgio, Svizzera, Francia e Germania dove gli stipendi erano altri e le tutele maggiori – ma per l’assenza di leggi che garantissero ai lavoratori il diritto di avanzare rivendicazioni e, di conseguenza, di ottenere migliori condizioni di lavoro, retribuzioni più alte, turni meno spossanti, ambienti di lavoro meno insalubri.

Otto anni più tardi, grazie alle lotte della più imponente massa di lavoratori immigrati che il Nord Italia avesse mai visto (“invasione” è una parola che andava parecchio di moda per descrivere l’ondata migratoria), tutti i lavoratori italiani hanno conquistato lo Statuto dei Lavoratori: la più significativa normativa a tutela dei diritti dei lavoratori nella storia dell’italia repubblicana. L’articolo più celebre, Articolo 18, stabiliva il divieto di licenziare ingiustamente un lavoratore, sia pur solo nelle aziende con più di 15 dipendenti (motivo per cui il Pci, certo dell’approvazione del provvedimento, si astenne dal voto protestando per il mancato riconoscimento del diritto al reintegro per tutti i lavoratori).

È così che i salari sono cresciuti e l’esodo dei lavoratori italiani verso la Germania e il Belgio si è fermato. Prima, se uno osava chiedere un aumento, veniva licenziato.

Il provvedimento è dovuto all’opera di un sindacalista, il ministro socialista del Lavoro Giacomo Brodolini, che morì prima dell’approvazione dello Statuto (ma dopo essersi prodigato per la riforma della previdenza e per l’abolizione della gabbie salariali, il sistema di paghe differenziate che costringevano a stipendi da fame i lavoratori delle aree più depresse del Paese).

Alla morte di Brodolini, che aveva affidato a Gino Giugni la guida della commissione incaricata di redigere il testo, a battersi per l’approvazione è stato un altro sindacalista, il successore Carlo Donat Cattin, ministro Dc e sindacalista della Cisl a Torino.

Lo Statuto è però – come ogni legge che determina un avanzamento delle condizioni dei lavoratori – frutto delle lotte dei lavoratori stessi. L’anno che precede l’approvazione è costellato di scioperi, cortei, proteste, sabotaggi. Nei mesi passati alla storia come Autunno Caldo, a Milano e Torino, nelle grandi città industriali del Nord dove tanti giovani erano emigrati in cerca di lavoro e lo avevano trovato in catena di montaggio, gli operai hanno bloccato le fabbriche e sfilato per le strade. Cinque milioni di lavoratori si sono sollevati per rivendicare migliori condizioni di lavoro e il rinnovo di 32 contratti collettivi.

Erano principalmente lavoratori immigrati. Grazie alle lotte di quegli immigrati che avrebbero dovuto abbassarci i salari e renderci tutti più poveri e insicuri, abbiamo ottenuto il diritto a non essere ingiustamente licenziati, il diritto alla rappresentanza sindacale, il diritto alla previdenza e alla pensione e quello di essere curati dal Sistema Sanitario Nazionale, istituito nel 1978.

Fino a quando, in tempi recenti, non ci siamo lasciati spogliare di quei diritti da una serie di ministri che si sono accreditati come di destra o di centro-destra o di centro-sinistra o tecnici o “né di destra né di sinistra” e insomma tutto tranne che di sinistra e che hanno approvato i medesimi provvedimenti.

Ministri che hanno smontato una a una le conquiste di quella massa di lavoratori immigrati attraverso una serie di colpi mortaliinferti allo Statuto dei Lavoratori e vani e reiterati tentativi di modifiche attraverso i referendum.

Tutti ministri del Nord (toh!) che hanno reso legale il lavoro precario e sottopagato tanto in voga prima dell’approvazione dello Statuto e lo hanno fatto con metodo attraverso l’invenzione dei contratti interinali, somministrati, subordinati, a progetto, di collaborazione, attraverso le finte partite Iva e decine di altri contratti “atipici” che diventavano sempre più “tipici”, nel senso di consueti e diffusi. Ministri che hanno aumentato l’età pensionabile e eliminato le tutele previste dall’Articolo 18 dopo aver cancellato il diritto del lavoratore a essere reintegrato in caso di licenziamento illegittimo, un diritto che Monti e Fornero e i partiti che hanno votato a favore dei loro provvedimenti  – da Forza Italia di berlusconi al Pd di Bersani – hanno deciso di sostituire con un magro indennizzo economico. Berlusconi, Maroni, Sacconi, Monti, Fornero, Renzi, Poletti. Tutti ministri e presidenti del Consiglio che non erano immigrati e che hanno cancellato i diritti conquistati dagli immigrati per tutti i lavoratori.

I lavoratori che ho visto lottare con più tenacia e coraggio per conquistare e riconquistare quei diritti, ieri come oggi, sono gli immigrati. In Fiat, nell’industria alimentare, nell’inferno dei magazzini della logistica. Ieri i baresi, i sardi, i napoletani, oggi i senegalesi, i somali, i nigeriani, gli egiziani che, proprio come gli immigrati del 1962, vengono accusati di peggiorare le nostre condizioni di lavoro da quegli stessi politici del Nord che hanno approvato e sostenuto le leggi che hanno reso legale lo sfruttamento dei lavoratori, determinando in questo modo il peggioramento delle nostre condizioni di lavoro: peggiorate non sulla spinta dei flussi migratori ma delle riforme suggerite da Confindustria.

Non sono stati “gli immigrati” a chiedere e  a votare il Jobs Act o i Voucher di Renzi e Poletti, abrogati grazie alla mobilitazione della Cgil e prontamente ripristinati da questo governo (Salvini era contrario all’abrogazione dei voucher già nella precedente legislatura “Renzi ha fatto anche cose buone”. E, grazie al sempre accondiscendente ministro del lavoro Di Maio, si è affrettato a reinserirli come gli chiedeva di fare Confindustria).

Domanda: sarà un caso che i politici che tuonano contro gli immigrati e fino a pochi anni fa contro i terroni, primi “colpevoli” di immigrazione, sono gli stessi che si fanno dettare le leggi dai ricchi industriali e i trattati commerciali dalle multinazionali? Sarà un caso che a chiudere i porti ai lavoratori siano gli stessi politici che spalancano le porte ai ricchi evasori? Sarà un caso che questi politici – Berlusconi, Renzi, Fornero, Salvini, Di Maio – si trovino sempre concordi nell’approvare leggi liberticide che sanzionano le mobilitazioni, nel negare autorizzazioni ai cortei e vietare gli scioperi? Sarà un caso che parlino con una sola voce nell’attaccare i sindacati, comprimere le libertà sindacali, tuonare contro i privilegi dei sindacalisti concedendo però privilegi ai datori di lavoro come gli sgravi fiscali e la Flat Tax? Sarà mica che questi politici sanno quel che tutti i libri di storia insegnano: che gli immigrati sono quelli che più si battono per i diritti dei lavoratori, che grazie a loro avevamo ottenuto l’articolo 18 che Fornero e Renzi hanno eliminato e che Salvini e Di Maio si rifiutano di ripristinare? Sarà mica che sanno che per i lavoratori gli immigrati non sono un nemico ma un alleato, non sono il problema ma la soluzione? Sarà mica per questo che evitino di farli arrivare e di farceli incontrare, tenendoli lontani dalle città e dai luoghi di lavoro?

(*) articolo tratto da Il Fatto Quotidiano

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Se la «fraternité» smette di essere un valore

di Gianni Palumbo (*)

Stimolato dal contributo di Giuseppe Amari sulla centralità della persona (“L’impresa etica e i pericoli di un nuovo Leviatano”su Rassegna del 10 luglio 2018), mi sento di esprimere le seguenti considerazioni. Cosa ci aspetta? Cosa si aspetta! Nella vicenda che ha avuto come epicentro la nave Aquarius e i 628 migranti (tra cui oltre 100 bambini non accompagnati), ma anche in occasione dei successivi gravi episodi di omissione di soccorso in mare, non si riesce a percepire la presenza dell’uomo nel ruolo assunto dal governo italiano. Non si riesce a percepire in questo scontro tutto politico la presenza di persone che fuggono da dove non vedono futuro, come da Paesi come l’Eritrea e la Somalia in preda ancora alle convulsioni post coloniali.

In quelle vicende c’è il dramma di un padre, di una madre, di una famigliache dopo aver fatto la colletta lanciano i propri bambini su un barcone tra le braccia di scafisti, schiavisti, nella speranza di offrire almeno a quei figli il futuro che non vedono a casa loro. Non si vede un abbozzo di politica d’accoglienza, ma solo di respingimento in questa politica muscolare che evoca l’uomo forte che finalmente dica “ci penso io”. È stata alimentata così la percezione che la drammaticissima crisi finanziaria che ha colpito nel 2008 il mondo globalizzato, e l’Italia in particolare, polverizzando il ceto medio e trascinandolo in basso nella scala sociale, si possa risolvere creando un nemico esterno cui addossare la responsabilità della situazione di chi non ce la fa. Ieri l’ebreo, oggi il migrante.

La rottura del vecchio modello geopolitico avvenuto con la caduta del muro di Berlino ha liberato la richiesta di diritti politici, di democrazia, partecipazione e lavoro della maggioranza dei popoli. Prima di quell’evento, l’umanità era divisa in tre mondi – quello occidentale, quello comunista e i non allineati –, all’interno dei quali si vivevano tre distinti livelli e stili di vita (sia sul piano politico che economico). Alto quello occidentale, basso quello comunista, infimo quello dei non allineati.

La caduta del muro ha portato con sé la caduta delle paratie che non facevano comunicare tra loro questi mondi. Come avviene tra vasi comunicanti, ora i tre modelli e stili di vita hanno iniziato a livellarsi. È il principio della fisica che si applica anche agli organismi e alle comunità umane. Il livello di vita occidentale ha preso a scendere, riducendo diritti e potere d’acquisto, mentre gli altri hanno iniziato a salire più o meno velocemente.

La libertà di movimento concessa solo ai capitali e non anche alle persone ha fatto il resto. Il punto oggi è che il liberismo economico ha ripreso il sopravvento, scalzando la dottrina keynesiana a partire proprio dalla metà degli anni settanta del Novecento. La diga dei diritti, baluardo di chi non ha ed è più debole, sta cedendo. Libertà, solidarietà, uguaglianza, i tre principi-valori usciti dalla Rivoluzione francese hanno viaggiato e viaggiano sempre più separati.

Ed è un guaio, perché è la loro contemporanea ed equilibrata applicazione che garantisce al meglio il prosperare di sistemi democratici nei quali il popolo, cioè i cittadini, tutti i cittadini, sono sovrani. Di tali principi, la libertà oggi ha preso il sopravvento su solidarietà e uguaglianza e viene percepita e vissuta sempre più come libertà senza limiti e senza bisogno di essere organizzata. Non solo. La percezione dell’uguaglianza è che siamo tutti uguali e quindi studio, competenza ed esperienza non fanno più la differenza.

In realtà, poi, questa percezione viene contraddetta ogni giorno, quando più o meno tutti ci rechiamo in farmacia – dal competente – per comprare un medicinale, mentre nessuno pensa di andare allo stesso scopo dal fabbro – incompetente –. Al contempo, la solidarietà, la fraternité, sembra essere diventata un sentimento e non più un valore. La percezione diffusa è che se ne debbano occupare le “anime belle”.

No. Libertà, uguaglianza e solidarietà si sostengono l’un l’altra, se non stanno insieme cadono. La presenza del capitalismo, meglio dell’accumulazione capitalistica in poche mani, ha rappresentato e rappresenta da questo punto di vista una pericolosa aggravante. È proprio per promuovere l’uguaglianza che un coordinamento di molte decine di reti nazionali, cooperative sociali, Ong e associazioni di volontariato hanno dato vita alla rete “Oltre il Pregiudizio” (www.oltreilpregiudizio.it), che facendo riferimento all’articolo 3 della Costituzione repubblicana, vuole contrastare, (in)formando, il pregiudizio che divide, categorizza e a sua volta fa nascere lo stigma, portando disuguaglianza ed esclusione sociale, da cui raramente e a fatica si riesce a uscire.

Per questo la libertà va organizzata, soprattutto quella economica, e va regolamentata sulla scorta proprio dei diritti, i quali sono nati per proteggere i più deboli dai più forti. Sindacati dei lavoratori, Terzo settore e volontariato, gran parte dei corpi intermedi, sostengono e organizzano la promozione e la difesa dei diritti. In questa situazione, vacilla la forma Stato e avanzano altre forme di organizzazione, parastatuali o direttamente malavitose, che potrebbero sostituirlo, addirittura dando sicurezza, identità e lavoro.

In un trentennio le principali aziende del mondo sono diventate quelle informatiche. Il tempo è stato messo in scatola, come un prodotto alimentare e queste scatole si chiamano Pc, tablet, smartphone. Il tempo di ciascuno, la vita, la storia di ognuno di noi è la dentro. Come fagioli nel barattolo. La crisi economica, che ha ridotto alla povertà e alla fame molte centinaia di milioni di bambini, donne e uomini, e l’analfabetismo, sia quello tradizionale che quello digitale, stanno producendo accaparratori, malavitosi e furbi, che utilizzano scorciatoie illegali, corruzione, sfruttamento e schiavitù.

C’è ancora la possibilità di continuare a far trionfare la democrazia e la partecipazione se questa nuova civiltà informatica si pone e rimane al servizio dell’uomo, come strumento, come oggetto e non come soggetto del progresso umano. Gli scambi e la ricerca, Marco Polo e Galileo Galilei, hanno dato una grande spinta al progresso, ma non bastano. C’è la “relazione” tra uomini e donne, tra comunità e culture, c’è l’arte, che insieme al “tempo liberato” possono farci progredire, ma non nella  direzione indicata in questo periodo dall’economia liberista, dove tutto ha un prezzo e niente ha valore.

Allora, cosa si aspetta? Questo è il momento dell’utopia, della visione di un futuro altro e di come costruirlo mettendo al centro l’uomo. Ma per fare questo, occorre la politica. La politica che guarda al presente organizzando il futuro, che assume il compito di dare le regole, farle applicare e rispettare. Naturalmente, non basta. Anche ciascuno di noi ha la responsabilità di fare sempre al meglio il proprio lavoro, dove si trova e qualunque esso sia. Usiamola questa responsabilità. Ogni giorno. È il modo per progredire culturalmente ed economicamente, eliminare parassitismo e schiavitù, valorizzare i diritti e guardare al futuro senza l’angoscia di cui parlava il filosofo Søren Kierkegaard, quella creata dalla libertà di scelta tra più opzioni.

Gianni Palumbo, economista sociale e saggista, è presidente del network educativo Fiore e promotore di “Oltre il Pregiudizio”

(*) articolo tratto da Rassegna sindacale

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Welcoming Europe: 65mila firme raccolte in Italia, dalla parte di chi accoglie

di redazione Riforma

Sì all’accoglienza dei migranti, stop alla criminalizzazione delle Ong e serve tutelare per le vittime di abusi alle frontiere: 65mila persone ci hanno messo la firma, in Italia.

E’ questo il “tesoretto” della campagna “Siamo noi l’Europa che accoglie – Welcoming Europe”, della quale si è svolto ieri mattina, mercoledì 20 febbraio, alla Camera dei Deputati, l’evento di chiusura. All’iniziativa, promossa tra gli altri da Radicali Italiani, Fcei, Legambiente, Cnca, Fondazione Casa della Carita’, Oxfam, ActionAid, A Buon Diritto, Acli, Arci, Baobab Experience, CILD, con l’adesione tra gli altri di Centro Astalli, Caritas, Fondazione Migrantes, Sant’Egidio, Libera, Cgil, Fiom, Cisl, Diaconia Valdese, Altromercato, Banca Etica, Open Arms, Seawatch, Amref, Rainbow for Africa, Amnesty International, hanno partecipato oltre 140 tra associazioni, Ong, chiese, società civile.

L’obiettivo della mobilitazione era lanciare un’iniziativa dei cittadini europei (così detta Ice, uno strumento di democrazia partecipativa che serve per chiedere alla Commissione Europea l’adozione di un provvedimento, ndr) che richiede la raccolta di un milione in tutta Europa, con delle soglie minime in almeno sette paesi membri. Obiettivo che purtroppo non è stato raggiunto a livello comunitario, perché, mentre in Italia il numero delle firme prefissato è stato superato, altri Paesi non hanno raggiunto la cifra prefissa.

Come riporta il sito www.redattoresociale.it alcune delle proposte, grazie a un’intensa attività di pressione dei promotori sulle istituzioni europee, sono già state comunque prese in esame e hanno trovato una prima attuazione. In particolare, l’Ice chiedeva di rafforzare i programmi di sponsorship, strumento alla base dei corridoi umanitari – attuati con successo da alcune organizzazioni religiose in Italia e in Europa – e di modificare il sistema di accesso ai fondi europei allargando la tipologia di soggetti (enti locali, società civile) che possano promuovere programmi di corridoi umanitari. Il 24 ottobre scorso, il Parlamento europeo ha adottato il bilancio per l’Ue per il 2019 all’interno del quale una parte del fondo Fami (Fondo asilo migrazione integrazione) è stata destinata proprio alle autorità locali che potranno accedervi direttamente per programmi su asilo e immigrazione, tra cui la community sponsorship.

Il Parlamento europeo ha inoltre approvato l’11 dicembre una risoluzione concernente i visti umanitari chiedendo che la Commissione europea presenti, entro il 31 marzo 2019, una proposta legislativa che istituisca un visto umanitario europeo rilasciato presso ambasciate e consolati all’estero degli Stati membri alle persone in cerca di protezione in modo che possano raggiungere l’Europa senza rischiare la vita. Anche in merito alla proposta di modificare la direttiva “facilitazioni” e impedire che si possa essere incriminati per aver prestato aiuto umanitario a persone senza documenti, sono stati fatti dei progressi grazie all’attività dei promotori: il 5 luglio, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione relativa alla creazione di linee guida per gli Stati membri con lo scopo di prevenire la criminalizzazione dell’aiuto umanitario e a settembre scorso Parlamento europeo e Commissione europea hanno raggiunto un accordo sull’istituzione di un Osservatorio europeo sulla criminalizzazione – sottolineano i promotori – . Ormai da mesi, alcuni governi hanno adottato misure sempre più restrittive in questo senso, criminalizzando non solo i migranti, ma associazioni, persone singole e istituzioni impegnate nel prestare soccorso e qualsiasi tipo di aiuto umanitario.

Obiettivo dei promotori è ora proseguire nella campagna Welcoming Europe offrendo al nuovo Parlamento europeo le analisi e le proposte su cui sono state raccolte le firme e rafforzando la rete di realtà coinvolte a livello europeo per un’azione coordinata e quindi più efficace per cambiare le politiche su questi temi cruciali. In Italia, un documento con le proposte e gli obiettivi di Welcoming Europe sarà consegnato ai candidati alle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Allo stesso tempo, le realtà italiane a livello nazionale continuano a chiedere la calendarizzazione della proposta di legge di iniziativa popolare della campagna Ero straniero dal titolo “Nuove norme per la promozione del regolare permesso di soggiorno e dell’inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari”: una proposta che intende affrontare il fenomeno migratorio in tutta la sua complessità innanzitutto introducendo la possibilità di regolarizzazione per i cittadini stranieri già radicati nel nostro paese e prevedendo canali diversificati di ingresso per lavoro, rivedendo gli attuali totalmente inefficaci.

Resta il risultato italiano, che tutti i relatori intervenuti all’incontro di oggi hanno valutato come un primo passo, importante e simbolico, per cambiare rotta in materia di politiche migratorie e accoglienza.

Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, ha ricordato e spiegato l’esperienza dei corridoi umanitari, realizzati con la Comunità di Sant’Egidio. «Abbiamo un sogno – ha dichiarato Negro – : creare dei corridoi umanitari europei anche dalla Libia». Insieme a quella dei corridoi, che è «una best practice», il rappresentante della Fcei ha sottolineato come «contrapporre questo progetto al salvataggio delle persone in mare – search and rescue (SAR) – non abbia senso. Proprio per questo oltre a continuare a far arrivare le persone in modo legale e sicuro, abbiamo voluto fortemente dare il nostro sostegno al lavoro delle Ong Open Arms e Sea-Watch, con le quali collaboriamo».

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Il salvataggio di Salvini: una vergogna per il M5S

di Francesco Gesualdi (*)

E’ una vergogna e il Movimento 5 Stelle ne pagherà le conseguenze. Qualcuno l’ha già battezzato Movimento 5 Stalle, secondo il vecchio detto dalle stelle alle stalle. E a tuffarsi nelle stalle, il Movimento ci ha pensato da solo quando si è alleato con Salvini, capo di un movimento fondato su egoismo, individualismo, razzismo, sfruttamento. La classica ideologia fascista che usa il paravento di patria e nazione per convincere gli esclusi di casa propria che i nemici non sono ricchi che parlano la loro stessa lingua, ma gli stranieri, in particolare quelli che presi dalla disperazione tentano di trovare rifugio in casa di quei popoli da cui sono stati sfruttati per secoli.

Una visione che il M5S ha abbracciato in pieno dal momento che dichiarandosi né di destra né di sinistra, non sa né chi sia, né dove voglia andare. Parla confusamente di poteri forti, senza rendersi conto che ora non è più all’opposizione, ma al governo. Se ha individuato il potere forte che gli sta mettendo il bastone fra le ruote rispetto alla volontà di voler fare giustizia e applicare la Costituzione, smetta di parlarne per allusioni e lo indichi chiaramente illustrando le misure che intende prendere per disarmarlo. La realtà è che con i poteri forti vuole andarci a nozze per avere anche lui la possibilità di rimanere sulla poltrona, esattamente come hanno fatto tutti gli altri partiti. Ma poiché fa di una finta democrazia la sua bandiera, poi cerca di dare al popolino un ossicino affinché non gli faccia mancare il suo consenso quando si torna alle elezioni.

E lo ripeto: tutto ciò che questo governo sta partorendo sul piano sociale è al livello di ossicini messi sul conto non del 10% straricco che possiede il 50% del patrimonio nazionale, ma dello Stato pantalone, ossia di noi stessi che ci ritroviamo sul groppone un debito sempre più alto e che ci obbligherà a pagare interessi sempre più elevati, riducendo ulteriormente servizi, pensioni e sussidi. E che le parole del M5S contro i poteri forti siano solo fumo, lo dimostra il fatto che si accanisce contro la BCE e la Commissione Europea, che è come prendersela con i cani invece che contro i padroni di casa. I veri padroni sono i signori della finanza, che però nessuno ha intenzione di colpire ad esempio congelando il pagamento degli interessi sul debito pubblico e la restituzione del relativo capitale. Al contrario ai signori della finanza si promette di portare il loro carico fiscale al 15% esattamente come al disgraziato che guadagna 15000 euro l’anno.

E tanto per portarci fuori strada, alla fine Lega e M5S vogliono farci credere che i veri colpevoli della nostra disoccupazione e della nostra decadenza sociale sono gli immigrati ai quali è stata dichiarata guerra totale. Forti con i deboli e deboli con i forti è il vecchio motto dei vigliacchi, che poi però non hanno neanche il coraggio delle proprie posizioni. Tant’è che Salvini, prontamente imitato da Di Maio e Toninelli, sostiene di voler fare annegare gli immigrati in mare per amore verso di loro, per stroncare il traffico di esseri umani. Peccato che i capi del traffico siano gli stessi militari libici a cui l’Italia fornisce motovedette e soldi.

A questo mare di ipocrisia, finalmente la magistratura ha deciso di mettere uno stop, chiedendo che Salvini venisse processato per sequestro aggravato di persona “per avere nella sua qualità di Ministro degli Interni e abusando dei suoi poteri, privato della libertà personale 177 migranti di varie nazionalità”. Ma poiché la nostra Costituzione supergarantista prevede che per processare un ministro ci vuole l’approvazione del Parlamento affinché escluda che il fatto sia stato commesso nell’interesse dello stato, si è reso necessaria la richiesta di approvazione a procedere da parte del Senato. Una decisione che nonostante la loro bocca buona, metteva in difficoltà il gotha dei 5 Stelle che ha preferito ripararsi dietro un voto così detto della base che però nessuno ha la possibilità di controllare.

Ed alla fine il M5S ha decretato che in nome dell’interesse dello stato è ammesso anche il sequestro aggravato di persona. Loro che hanno detto no all’alleanza con Berlusconi per i reati privati di cui era macchiato, alla fine hanno deciso di salvare un ministro che non si fa scrupolo a calpestare i diritti umani pur di arrivare dove vuole. Niente di nuovo sotto il sole: la storia è piena di governi che pur di realizzare i propri obiettivi hanno violato libertà e diritti civili. Ma li abbiamo sempre condannati come fascismo a cui non riconosciamo diritto di cittadinanza. Oggi il fascismo sta tornando e fa veramente male scoprire che sta tornando grazie a chi si è sempre presentato come difensore della democrazia e dei valori costituzionali. Purtroppo c’eravamo sbagliati.

(*) articolo tratto da Pressenza

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Segnaliamo anche:

Protezione umanitaria e “decreto Salvini”: la sentenza della Cassazione spiegata bene, di Duccio Facchini

Sulla stessa barca, di AA.VV.

Migranti, appello dei sindaci e delle sindache per salvare l’Europa da se stessa, di Redazione Pressenza Italia

 

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