Intorno al 12 dicembre 1969 che…

che fu strage di Stato

Riflessioni di Franco Astengo. Il calendario delle letture (Brescia, Udine, Modena, Cesena, Bologna, San Polo d’Enza, Schio) e una noticina di db.

STRATEGIA DELLA TENSIONE E REGIME DEMOCRISTIANO

di Franco Astengo

A corollario di una interessante serata trascorsa, a Savona, con Daniele Barbieri e un gruppo di compagne e compagni a ragionare sulla memoria e sull’attualità di quei tragici fatti vi propongo un ulteriore passaggio di riflessione.

Il prossimo 12 dicembre ricorreranno i cinquant’anni dalla strage di Piazza della Fontana, momento di snodo fondamentale nella storia della democrazia italiana.

Un evento drammatico non ancora chiarito fino in fondo se non nella sua identità esecutiva che, al momento, si cercò di indirizzare dal punto di vista dell’impatto pubblico coinvolgendo, come tutti ricordiamo, gli anarchici: tentativo spezzato da una forte resistenza democratica che vide in prima linea anche settori molto significativi del mondo dell’informazione.

Per quindici anni, dal 1969 al 1984 l’Italia apparve al mondo intero immersa in una crisi caratterizzata dal succedersi di stragi e atti terroristici che provocarono più di 360 vittime e circa 4.500 feriti: non si possono però dimenticare gli anni precedenti, quelli della feroce repressione poliziesca delle lotte operaie e contadine fino al drammatico luglio ’60 nella vicenda italiana del dopoguerra.

Sono stati gli anni che si collocano storicamente tra l’emergere della contestazione studentesca e delle lotte operaie e lo stabilizzarsi della situazione politica con l’ascesa al potere del leader socialista Bettino Craxi alla guida di una coalizione di pentapartito che resse fino al crollo del vecchio sistema politico nei primi anni’90.  

La vicenda del terrorismo però ha le sue radici in un periodo antecedente e anzi percorre tutto il cinquantennio dalla Liberazione in avanti coincidendo, in sostanza, con la fase della guerra fredda.

E’ giusto, ancora in questo momento, chiarire ancora una volta il quadro d’insieme entro cui si è collocata quella stagione.

In particolare è indispensabile spiegare in che senso si parlava allora di “doppio Stato” o “sSato parallelo” giacché molte diverse accezioni si sono diffuse nel corso di questi anni, in particolare dopo la pubblicazione nel 1989 di un importante saggio di Franco De Felice con il quale si propose il tema del “doppio Stato” e soprattutto della “doppia lealtà” alla Costituzione e all’Alleanza Atlantica.

«Doppia lealtà» che avrebbe contrassegnato il comportamento di una parte della classe dirigente italiana e che spiegherebbe appunto la partecipazione di quegli uomini alla “strategia della tensione” proprio a partire da Piazza Fontana per arrivare al rapimento Moro.

La categoria di «doppia lealtà» introdotta da De Felice fu assunta peraltro come fondamentale nella proposta di relazione del presidente della Commissione stragi Pellegrino nel dicembre 1995.
Quali erano gli obiettivi degli epigoni dello “Stato duale”? Sfruttando l’idea dell’esistenza di un pericolo d’invasione dall’Est fin dagli anni’50 e poi in quelli’60 si pensò a un tentativo di instaurare nel nostro Paese un regime militare sull’esempio greco o turco.

Poi l’avanzata delle lotte operaie e studentesche alla fine del decennio e la pressante richiesta di una più ampia democratizzazione del Paese portarono, proprio in coincidenza con piazza Fontana, all’idea che occorresse arrestare quel flusso, stabilizzando gli equilibri politici italiani all’interno di un quadro moderato secondo l’impostazione sostenuta dai governi degli Stati Uniti, dall’Alleanza atlantica e delle loro organizzazioni militari e di spionaggio.

L’obiettivo fu conseguito ma si trattò di un obiettivo parziale, di “sostanziale tenuta”.

Per “lorsignori” occorreva andare ben oltre.

A quel punto, infatti, al momento dell’implosione del sistema e del procedere dell’egemonia del tipo di specie capitalistica (legata a precise istanze presenti nell’enorme processo di finanziarizzazione dell’economia poi definito come “globalizzazione”) insediatosi anche ai vertici della Comunità Europea si è proceduto allo smantellamento della democrazia italiana attraverso vie diverse da quelle terroristiche.

Atti terroristici non sono comunque ancora mancati all’interno della lotta-collusione-trattativa fra la criminalità organizzata (che mantiene comunque il controllo di vaste aree del Paese anche attraverso l’infiltramento occulto in vari settori economici) e poteri dello Stato.

La base di riferimento di questo smantellamento della democrazia repubblicana è stata costruita prima di tutto attaccando la sovrastruttura istituzionale così com’era stata concepita con la Costituzione.

In questo senso ci si è mossi con l’adozione del sistema elettorale maggioritario nel 1993 e l’elezione diretta di sindaci e presidenti di Provincia e di Regione e si sta ancora cercando di realizzare spostando la “centralità del Parlamento” attraverso artifizi oggi connotati da un’istanza di presunta “democrazia diretta” e di adeguamento alle novità di raccolta di un apparente consenso realizzata attraverso gli strumenti tecnologici.

Il tutto era già stato ben rappresentato dal documento di “Rinascita Nazionale” redatto dalla loggia massonica P2 nel 1975.

In realtà a questo punto ci sarebbe da aggiungere una riflessione che fin qui in pochi hanno affrontato.

Nel corso del dopoguerra si è tanto parlato di “doppiezza togliattiana” per indicare una sorta di bi-frontismo del PCI, da una parte legato al sistema sovietico e dall’altra in linea con i princìpi della Costituzione Repubblicana.

Tanto è vero che in Italia funzionarono per tanti anni due

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