Sesso adolescente o alienazione?

Di Mauro Antonio Miglieruolo
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Su un vecchio numero di Il Fatto Quotidiano mi è capitato di leggere la prima puntata di un servizio dedicato al sesso degli adolescenti. Le successive non le ho lette, ma è bastato quel primo articolo per indurmi a prendere alcuni appunti che trasformo ora in una riflessione su quei contenuti.

Inutile sottolineare il grande interesse di quel pezzo (risalente al 5 marzo dello scorso anno), non sarei qui a scriverne altrimenti; esso offre alcuni dati sorprendenti (o dovrei dire sconcertanti?). Non sorprendenti, come temo sia per i più, in ragione dell’ampia diffusione di libere pratiche sessuali che vengono svelati (non ritengo che questa diffusione costituisca faccenda della quale preoccuparsi, o anche solo meravigliarsi), ma per il modo con cui è affrontato e vissuto questo primo affacciarsi alla vita da parte di ragazze e ragazzi.
Non ho mai creduto fosse un dato negativo la sperimentazione, tra loro, tra giovani, dei “misteri” e fascini della sessualità (la legge attuale li proibisce: considera reato di stupro qualsiasi rapporto consenziente tra, ad esempio, un ragazzo o ragazza di 16 anni e un uomo o donna di 23; oppure di un minore di 13 anni e un “uomo” o “donna” di 20, evento frequentissimo e non capisco come la legge ritenga di doverlo e poterlo non solo regolare, ma anche sanzionare: ancora non molto tempo fa a ventanni si era ancora minorenni).
A mio parere il problema non risiede nella differenza di età, a meno che la differenza non assuma carattere rilevante (in questo caso anche il rapporto tra una diciannovenne e, diciamo, un ultrasettantenne, ai miei occhi appare eticamente discutibile; salvo che tra i due non intercorra una autentica passione amorosa il che, secondo lo stesso Sant’Agostino, tutto contribuirebbe a sanare: ama e fa ciò che vuoi.) Il problema vero è nel come lo si fa. Se per sperimentare se stessi, l’altro e la vita; se per ritrovarsi nel piacere; o se per imparare a vendersi, per poi effettivamente vendersi; o se per sprecarsi, mettendosi a disposizione del primo che passa (il che è quasi la stessa cosa che vendersi); o, infine, e siamo nell’ipotesi peggiore, per ottemperare a un determinato obbligo sociale, obbligo della piccola e fobica comunità adolescente (solitamente privi di agganci reali al passato e persino al presente perché abbandonata a se stessa).
“Farlo” perché sarebbe da “sfigati” non “farlo”, questo il deteriore che l’ideologia dominante (determinata dalle condizioni materiali, dall’ideologia materiale e dai saperi della scuola attuale) si è attrezzata a trasmettere ed è riuscita a trasmettere. Siamo oltre i limiti della demenza; nonché della decenza. Una società nella quale hanno perso diritto di cittadinanza i concetti di rispetto e armonico sviluppo delle persone, è una società che non ha un grande avvenire davanti.
Non tanto dunque bisogna preoccuparsi del sesso a briglia sciolta cui sembrerebbero propendere gli adolescenti (fino alla vertigine della preadolescenza), come sembra essere nella considerazione dei più, quanto dal vissuto che accompagna il loro eventuale accesso alla sessualità e ne determina le forme; in particolare preoccuparsi dell’insegnamento che consegue a queste esperienze: l’accettazione dell’ideologia dell’ammissibilità della mercificazione dei corpi, dell’antagonismo tra i sessi in luogo dell’incontro, del conformismo sessuale (il dover “fare”, dover perdere la verginità il prima possibile, la sessualità quale strumento di affermazione non come parte importante della vita di ognuno ecc.).
C’è però dell’altro, ancora più temibile, che è possibile leggere nelle pieghe dell’articolo. Le preoccupanti tendenze di cui sopra non sono dell’oggi, sono di tutto il secolo che ci sta alle spalle e che il secolo nuovo in cui viviamo sta solo intensificando. L’altro di cui parlo riguarda il successo delle risposte che la borghesia fornisce alle lotte di massa per la liberazione sessuale, risposte di neutralizzazione e di rovesciamento degli obiettivi particolarmente evidenti dal ’68 in poi (come evidente è diventata la richiesta sempre più esplicita del superamento dei soffocanti vincoli, religiosi e non, che la impediscono). Là dove la liberazione sessuale è vissuta come recupero dell’autonomia da parte dell’individuo, in quello stesso luogo viene sistematicamente incentivato il consumismo sessuale, è concessa la reperibilità di strumenti materiali e ideologici atti esclusivamente alla cosificazione del sesso e quindi dell’ulteriore assoggettamento del soggetto.
Cosificazione che non si limita alla sostituzione della liberazione con la regressione verso gli istinti (questo il mistificante discorso che sulla cosificazione si imbastisce), ma è utilizzo degli istinti quale barriera contro ogni rivendicazione che tenda a utilizzarli come strumento per l’ulteriore espansione della coscienza umana. Contro quest’ottica di finta liberazione, si pone la liberazione sessuale effettiva, che non può essere concepita che come cultura, suo utilizzo consapevole, manifestazione strutturata al fine della realizzazione del processo di umanizzazione che il genere umano costantemente persegue. Non per vincolare il sesso, per veicolarlo affinché si armonizzi con l’insieme umano sociale. Esempio: si mangia (e si veste, ci si rapporta, si abita ecc.) perché il corpo lo richiede, non come il riduzionismo pretenderebbe presumendo di potersi ancorare (ma solo quando fa comodo) alla “natura” intesa come espressione istintuale; cioè natura concepita ideologicamente, all’interno di una ideologia repressiva e deviante. Che non punta alla liberazione della persona, punta a costruire (anche dentro la persona) strumenti per la manipolazione, per il dominio.
Prendiamo a esempio l’atto di nutrirsi, Uguale a tanti altri atti umani, è fortemente strutturato da usi e costumi che affondano le loro radici nella preistoria. Non si mangia nell’immediatezza della manifestazione di uno stimolo, o perché ci si imbatte in una porzione di cibo. Né si mangia portando alla bocca qualsiasi oggetto commestibile a disposizione, in qualsiasi circostanza e momento del giorno. Si cucinano i cibi, li si insaporisce, li si serve nei piatti, in occidente si pretende pure di utilizzare le posate. Ci si siede a tavola, ci si pulisce la bocca dopo e lava le mani prima. La nutrizione è obbligata da determinate modalità, non tese a impedire alle persone di nutrirsi o godere del cibo a disposizione, anzi è finalizzato proprio a rendere la funzione di nutrirsi più gratificante, più utile, e in armonia con il resto degli usi e costumi. Tuttavia esistono controtendenze, ancora non del tutto vincenti in Italia, tendenti al consumismo alimentare, l’utilizzo del cibo spazzatura, dentro pause sempre più brevi per favorire la produzione (o meglio, il profitto, unico parametro universalmente accettato); si mangia in piedi, davanti al bancone di un bar, alla svelta perché nutrirsi non si vuole sia un servizio reso alla persona, ma uno reso al padrone del tempo della persona, un tempo da mettere a frutto integralmente, possibilmente senza pause. Analoga tendenza colpisce le manifestazioni della sessualità. L’atto sessuale non è finalizzato alla scoperta dell’altro scoprendo il piacere e con esso la vita; l’atto sessuale è finalizzato a un consumo nel quale le energie umane sono messe al servizio del capitale. Con la liberazione sessuale, secondo il vangelo borghese, la spinta vitale del sesso (la vita come gioia, come realizzazione, come proiezione nel futuro) diventa potere sulle vite, nonché tendenza prioritaria al controllo, all’assoggettamento e riduzione del cittadino allo stato di suddito. Il sesso, all’insegna della finzione della sua valorizzazione/liberazione (puramente immaginaria e quantitativa), finisce con il non valere più nulla (nota: nessuno si sogni il ritorno alle “passioni” del passato: da tutto questo si esce con un balzo in avanti, in direzione di una civiltà fondata sull’incontro, sulla tenerezza e sul desiderio della scoperta dell’altro. La “conoscenza” dell’altro, appunto. Il Sesso!)
Ciò che invece è specifico dell’oggi è l’adesione di massa delle donne (di questa donne in erba) alla cosificazione del sesso, adesione che nel passato era dei maschi e che (sembrerebbe) oggi essere più convinta nelle ragazzine. Che dei costumi, dei limiti e delle goffaggini dei loro coetanei si fanno apertamente beffe. Coetanei che sembrerebbero addirittura terrorizzati dalla propria “palese” inadeguatezza, in particolare per quanto attiene ai rapporti orali, che le adolescenti praticano e gli adolescenti no (rovesciamento speculare della realtà pregressa). Possiamo attribuire la carenza denunciata dalle adolescenti quale effetto anche del disprezzo degli uomini nei confronti delle donne (che spesso tracima in odio) e assume le forme del disprezzo, anche terminologico, verso i genitali femminili (oltre che, naturalmente, effetto della più lenta maturazione sessuale dei maschi)?
Se le ipotesi sui comportamenti delle adolescenti contenute nell’inchiesta del Fatto sono anche parzialmente vere, ci troveremmo allora di fronte a una sorta di nemesi storica. A un rovesciamento di prospettiva inconcepibile anche solo una trentina di anni fa. Le ragazzine che irridono i limiti dei loro coetanei e non esitano a coinvolgere nel ridicolo anche gli adulti. I maschi adulti. Il che potrebbe indurre a ritenere si tratti di una giusta punizione a posteriori degli atteggiamenti retrivi (purtroppo perduranti) di molti uomini. Non fosse che questo irridere non solo perpetua i conflitti pregressi tra generi, ma li accentua, rendendo sempre più difficile la realizzazione di incontri sani e soddisfacenti.
Quel che lascia senza fiato è che queste donne in divenire neppure sono sfiorate dall’idea di trasmettere ai loro coetanei queste loro migliori esperienze, in vista di rapporti non solo più fisicamente soddisfacenti, ma anche per la crescita di maschi più adeguati. Che la reazione immediata sia antagonista, tesa a distruggere, diminuire. Che nessuna dubita del suo “buon” diritto a discreditare il maschio inefficiente con il quale venisse eventualmente in contatto (lo stesso “buon” diritto dei maschi a distruggere la reputazione delle donne che alla loro discrezione si sono affidate). Eppure si tratterebbe, da parte di queste ragazzine, di esprimere le caratteristiche che più gli sono proprie di comprensione e cura. Indice forse di una disastrosa corruzione delle coscienze che è lo sbocco inevitabile per una società che non intende rinunciare a essere patriarcale e essere borghese. Una società nella quale sarebbe vano parlare di educazione sessuale, di liberazione sessuale e di felice vita sessuale.
Qualcuno, a questo punto, sarebbe portato a sintetizzare questa sorta di vendetta storica utilizzando la parafrasi “chi di disprezzo ferisce, di disprezzo perisce” (la tentazione l’ho avuta anche io). Mi ha frenato una sola considerazione. Un freno che ha poi dato origine a questa piccola riflessione. Che di disprezzo è condannato a perire non solo chi ferisce, ma anche tutti coloro che non intervengono affinché ferite non siano inflitte.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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