A dangerous method (un metodo pericoloso): quello di…

… inventare bufale.

Fabio Troncarelli parte dal 1908 e ci conduce ai giorni nostri con Sabina Spielrein e Carl Gustav Jung in versione “Grand Hotel”

Il 28 gennaio 1908 Sabina Spielrein scrisse la sua ultima lettera a Jung. Forse non fu veramente l’ultima: ma è l’ultima che si è conservata e, francamente, ha tutta l’aria di essere veramente l’ultima, perché quando qualcuno arriva a scrivere certe cose è arrivato al capolinea. Ne ragioneremo più avanti. Per ora parliamo di Sabina. Per chi non lo sapesse Sabina Spielrein – all’anagrafe Sabina Nikolaevna Špil’rejn nata a Rostov sul Don nel 1885 – è stata una delle protagoniste culturali dell’Europa del primo Novecento e una delle figure principali della neonata psicoanalisi. Ha avuto un ruolo significativo sia nella fase in cui la psicoanalisi non era ancora divisa tra scuola freudiana e scuola junghiana, sia successivamente. Detto così sembra il ritratto di un’intellettuale e indubbiamente Sabina fu anche questo. Però, per il vasto pubblico il suo nome è legato a ben altro: al clamoroso scandalo sulla sua presunta relazione affettiva con Jung, che era il suo terapeuta; uno scandalo che non scoppiò all’epoca in cui si svolsero i fatti ma divampò violentissimo a partire dal 1980, quando furono ritrovati frammenti del suo diario, scritto in tedesco, e un certo numero di lettere, in tedesco, che la donna aveva scritto a Jung e a Freud.

Fu Aldo Carotenuto, uno psicoanalista junghiano, a ritrovare fortunosamente in Svizzera questi documenti, con l’aiuto di alcuni amici e colleghi e a darne notizia nel libro «Diario di una segreta simmetria. Sabina Spielrein tra Jung e Freud», immediatamente tradotto e commentato in tutto il mondo. Tutti si scatenarono e produssero una valanga di articoli, libri, interviste di ogi tipo, sproloquiando sui rapporti scabrosi fra psicoterapeuta e paziente, con più virulenza delle chiacchiere da cortile in un caseggiato popolare. E fosse solo questo. Il cinema, il teatro, la letteratura si gettarono a corpo morto su questa storiaccia e sfornarono una sfilza di opere che definire discutibili è dire poco: nel 1991 Carlo Lizzani girò «Cattiva», un film liberamente tratto dalla vicenda; seguirono in Inghilterra due rappresentazioni teatrali «Sabina» di Snoo Wilson nel 1998 e «The Talking Cure» di Christopher Hampton nel 2003. Nel frattempo fioccarono altri film, come «Prendimi l’anima» di Roberto Faenza del 2002 e il superpatinato, superpremiato, supervalutato «A dangerous method» di David Cronenberg del 2011. Non è mancato neppure un documentario, «Il mio nome era Sabina Spierein» di Elisabeth Márton del 2002. E ovviamente ecco best sellers come il vendutissimo «A most dangerous method» di John Kerr o biografie più o meno accurate della Spielrein, come quella documentata di John Launer «Sex Versus Survival. The Life and Ideas of Sabina Spielrein» (Londra 2015) e quella, molto più adatta al gusto grossolano dei nostri contemporanei, di Angela Sells, «Sabina Spielrein: The Woman and the Myth» (New York 2017).

Penso che ci possiamo fermare qui e trascurare la lunga vita di Sabina nei mass media e negli scritti di ogni genere, non prima però di avere ricordato un libro serio e intelligente: «La psicoanalisi in Russia. Dai precursori agli anni Trenta» di Alberto Angelini (Napoli 1988) nel quale l’avventura intellettuale della donna viene collocata per una volta tanto nel suo giusto contesto.

Direte voi: ma qual è il problema? Il problema è quello che ci affligge mattina e sera nell’età del ferro in cui siamo costretti a vivere. Ve lo dico in un orecchio, tanto non ci crederete mai: ‘sta buriana, ‘sto casino, tutte ‘ste pretese rivelazioni con scandali e scandalucci più docu-fiction sono una bufala. Avete capito bene: BUFALA.

Come è una bufala che Dreyfus sia stato salvato da Piquart; o che Craxi fosse il buon ladrone crocifisso insieme a Cristo; come è una bufala che Saddam Hussein avesse armi di distruzioni di massa; o che gli Ebrei abbiano scritto i «Protocolli dei Savi di Sion» e…

Sillabate con me vi prego: B-U-F-A-L-AAAA. “Come?” direte voi. E allora dove va a finire chi dice «prendimi l’anima»? Dove vanno a finire l’amore e il sesso violento, con schizzi di sangue alla Tarantino, del film di Cronemberg, in cui la povera Sabina viene aggredita dal sadico Jung e dagli col Grand Guignol?

Fate come vi pare. Bufala è e bufala resta. Cretino chi ci ha creduto.

L’aspetto più sconcertante è che è dal 1999 (dico: mille novecento novantanove!) si sa che è una bufala. Ma questo non ha fermato la macchina dello storytelling (Renzi direbbe “narrazione”) e delle fake news (Zoro direbbe sòle, in italiano fregature).

La scoperta è stata fatta dal dottor Henri Zviv Lothane, psicoanalista e storico. Sin dall’infanzia sfuggito a nazisti, russi, polacchi e antisemiti di ogni risma, Lothane ha l’imperdonabile difetto di conoscere molte lingue, condizione essenziale per sopravvivere fuggendo da un Paese all’altro. Così, visto che Sabina era russa, ha pensato bene di dare un’occhiata ai documenti che la donna aveva scritto, mentre tutti gli story-tellers ignoranti del russo non si sono mai presi la briga di sfogliarli. E guarda un po’ ha trovato un altro diario di Sabina, molto più lungo e affidabile di quello scritto in tedesco. Ha trovato soprattutto lettere e lettere di Sabina dirette alla madre (e ricevute) in cui si scoprono gli altarini. Sabina lo dice senza peli sulla lingua alla madre preocupata per la sbandate della figlia: “cara mamma, la cotta per Jung è solo platonica e lui non mi si fila di pezza”. Dice pure – udite, udite – che “Jung non è più il mio terapeuta da quel dì” e dunque non ha commesso nessun abuso professionale. Potete verificare qui: H. Z. Lothane, «Tender love and transference: Unpublished letters of C.G. Jung and Sabina Spielrein» in International Journal of Psychoanalisis, 20 (1999), pagine 1189-1204, tradotto immediatamente in italiano [«Tenero amore e transfert: lettere inedite tra C.G. Jung e Sabina Spielrein» in Studi Jughiani, 6 (200), pp. 97-121] oltrechè in tedesco, polacco e russo.

La storiaccia da fotoromanzo non esiste più dal 1999! Eppure nessuno ha detto retta a Lothane. Vuoi mettere quanto è più comodo credere alla storia riscritta per i lettori di Grand Hotel? E allora avanti tutta con i film, le commedie, i libracci degni degli appassionati dell’«Isola dei famosi». Tanto che ci frega di quello che è vero, basta che venda…

Non commenterò il brillante articolo di Lothane e neppure tutti gli altri saggi che ha scritto in proposito, pluritradotti e pluriconosciuti in Europa e negli Stati Uniti. Mi limiterò solo a una osservazione. Anche se fosse mancata la prova provata che si trattava di una bufala, non ci voleva molto a sospettare che tutto quello che hanno scritto, girato e gridato ai quattro venti i followers del “Buffalo road” fosse una montatura. Bastava leggere senza paraocchi le lettere di Sabina già pubblicate, come quella da cui abbiamo cominciato l’articolo. Lì, come in molte altre del resto, Sabina (che era ebrea) parla enfaticamente del sogno di generare un figlio con Jung, un giovane eroe che unirà Ebrei e Ariani: si chiamerà Sigfrido e sarà un artista, un filosofo, un legislatore, un genio, una guida per i popoli d’Europa e del mondo. Non ci vuole molto a capire che la donna non era, per così dire, molto in sé e quindi che le sue affermazioni non fossero attendibili. Come disse Carotenuto, lo scopritore delle lettere, Sabina era evidentemente travolta da un «momento psicotico». Cosa che non sfuggì davvero al buon, vecchio Freud, che le scrisse con bonaria ironia: «In questi tempi di Antisemitismo non posso davvero dire che mi scaldi il cuore pensare a un Salvatore di nome Sigfrido, che unisce Ariani ed Ebrei… In ogni caso, vorrei far notare che il Salvatore, quello vero, è un frutto della purissima razza ebraica».

Dunque rappresentare l’ironico Freud come un losco figuro, connivente con il sadico Jung, come ha fatto Cronenberg, anni e anni dopo l’articolo di Lothane, è una mascalzonata. A questo riguardo vorrei far notare che proprio l’espressione “mascalzonata” ha usato Mario Monicelli per definire quel che fece Benigni in «La vita è bella». Il film si chiude – come ricorderete – coi carri armati americani che liberano i prigionieri del campo di concentramento: eppure lo sanno anche i bambini che è stata l’Armata Rossa a farlo. Come lo sanno anche i bambini che Craxi era un bandito. E forse lo sanno anche i bambini che Dreyfus non è stato liberato per merito esclusivo di Piquart, il quale non si è mai battuto a duello con colui che aveva inventato le accuse contro Dreyfus (*) come nessuno si è mai battuto a duello con Licio Gelli, per il semplice motivo che personaggi del genere tendono a restare nell’ombra, non a fare pubblici duelli.

Conclusione?

Invece di invocare a sproposito la presunta libertà dell’artista – per esempio il diritto di dire tutto e il contrario di tutto quando si tratta di Craxi – salvo poi stare sempre zitti quando si parla di Curdi, di Cucchi, di Calvi o del Corleone di turno, perché non la facciamo finita con le bufale e le mistificazioni, travestite da libero pensiero? Nessuno vieta agli artisti di rielaborare la storia e anche di inventare ciò che vogliono. Ma se significa dire cavolate e bugie allora non è più questione di libertà. E’ questione di delirio maniacale. Roba come la superiorità degli Ariani sugli altri popoli.

Quand’è che qualcuno chiederà scusa e farà pubblico pentimento per simili menzogne, magari andando in ginocchio in pellegrinaggio a Rostov sul Don, dove la povera Sabina – che “sognava Sigrido” – fu trucidata il 12 agosto 1942 dai nazisti, i quali il 18 giugno dello stesso anno avevano iniziato proprio l’operazione Sigfrido (poi ribattezata Operazione Blu) per spazzare via chi difendeva la propria terra dalle bufale che loro raccontavano sulla superiorità della razza ariana?

(*) vedi Se accuso questo «J’accuse»

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Redazione
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2 commenti

  • scusaMI, ma pur intuendo e apprezzando lo spirito che ti ha spinto a scrivere, la tua de-bufalizzazione non mi entusiasma più di tanto. Non vorrei sembrare nikilista ma niente e nessuno mi può convincere della ” autentica verità ” in quanto di fatto non esiste…né nell’antichità né nella modernità. E’ storicamente determinata… tanto che,un tempo, si parlava di “veritas filia temporis”
    Detto questo credo CHE IL VERO PROBLEMA SIA -LA MANCANZA DI SENSO CRITICO, DEL NON SAPERE DISCERNERE , DI CHI DI BUFALE HA BISOGNO E ABBOCCA… SUBITO

    Non intendo abbandonarmi a citazioni ma da tempo le riflessioni di Marc Augè ed altri su LE FINZIONI DI FINE SECOLO, sono illuminanti – soprattutto sulla finzione mediatica… sulle ambivalenze e ambiguità che ogni informazione presenta. Così come il tacere o il semplificare una complessità.E poi anche avendo consapevolezza della finzione, quale punto di vista adottare, come distinguere e afferrare dietro i fragori mediatici il filo della storia che inevitabilmente corre nel tempo…? A cominciare dai giornalisti… anche quelli più onesti, sinceri, ” diversi” a mio avviso rimangono nella bufala- involontariamente con le loro scelte e omissioni che cmq sono sempre di parte…nella misura in cui loro sono da un’altra parte. Chi ha le carte per piegare la finzione(la bufala) alla realtà che a sua volta è stata piegata dalla finzione ? senza aspettare che poi qualcuno venga a dire che era UNA BUFALA , NEL SUO TENTATIVO DI DEBUFALIZZAZIONE ?

  • Fabio Troncarelli

    Con tutto il dovuto rispetto e senza nessun astio: ma allora, visto che “la verità è figlia del tempo” e non c’è bisogno di “qualcuno”(sic!) che venga a dire che ci sono state “bufale”, vorrei sapere perché ci dobbiamo occupare dei “migranti” e dire che è una “bufala” che ci vogliono invadere e togliere il pane? E perché li dovremmo aiutare? Tanto la “verità è figlia del tempo” e “col tempo” verrà fuori che era una bufala. E perché dovremmo prendercela con i neo-fascisti? Tanto la “verità è figlia del tempo” e “col tempo” verrà fuori che deliravano. ..Da buon ammiratore di Umberto Eco mi verrebbe da dire che questa è “una decodifica aberrante”. Ma se l’espressione è troppo difficile posso dire, alla buona, che questo significa “prendere fischi per fiaschi” o “prendere lucciole per lanterne”. E tale valutazione si riferisce sia alle cosiddette” finzioni di fine secolo” sia alle finzioni del secolo che avanza”, con le sue “magnifiche sorti e progressive”, sia a ogni finzione in ogni tempo. Detto questo, ma per carità, ognuno è padronissimo di godersi le bufale che si merita, compresa quella che la razza ariana è superiore alle altre.

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