A scuola: dal Coltan al conte Ugolino

di Daniela Pia

Da 23 anni insegno lettere con una passione totale per la letteratura e la storia, da 12 anni in un istituto professionale. E’ qui che ho capito quanto fosse necessario industriarsi per contrastare, o meglio cavalcare i nuovi interessi degli studenti tipo: usare la tecnologia come “specchietto per le allodole svogliate”. Così quando i due strumenti a disposizione dei più di cento docenti lo consentono, cerco di proporre temi di attualità, proietto documentari che mi sono scaricata da Rai educational, uso le mie artritiche videocassette e i miei scattanti cd, cerco di stimolare reazioni vitali che possano spaziare dalla gamma ristretta degli occhi rivolti al cielo, alle retoriche domande «ma dobbiamo leggere?»; «dobbiamo anche scrivere?». E che sarà mai questa obsoleta abitudine, quasi dimenticata, della scrittura e della lettura? Terrorismo culturale? Ma no, semplice ginnastica cerebrale cui le allodoline rinuncerebbero volentieri. Così ecco che oggi arrivo armata di chiavetta usb nella quale avevo prontamente scaricato un documento sul Coltan da proiettare ai teneri virgulti discenti: notizie sulla cenerentola geografia, dati sul minerale, riflessioni sottilmente etiche sul consumismo, il tutto concentrato in mezz’ora; che le cellule cerebrali dopo quel lasso di tempo danno segni inequivocabili del sublime tedio. Già mi pregustavo gli occhi meravigliati rispetto alla novità e alle implicazioni che questo coltan avrebbe avuto, sulla loro consapevolezza dell’orrore dello sfruttamento. Suggerisco quindi di recuperare il quaderno e la penna per prendere appunti, certe volte ho l’istinto, che reprimo puntualmente, di aggiungere «se non vi è troppo disturbo». Ed ecco che succede, non lo avevo previsto questa volta: «ma dobbiamo anche scrivere?». Davanti agli occhi mi sono vista trasformata nell’incredibile Hulk, il verde della bile tracimava ma sono riuscita a mantenere un finto aplomb che si è manifestato con le poco letterarie parole, fuoriuscite da denti digrignanti: «sono davvero stanca di sentire, in ogni circostanza – sia che interroghi sia che si debba leggere, sia che si debba assistere a qualcosa – la domandina di rito, sempre la stessa, pronunciata con indicibile sufficienza. Sì, devi scrivere perché questa è l’ora in cui si usano le parole e per usarle o si parla o si scrive». Non riferisco la risposta, che ha richiesto provvedimenti disciplinari, mi soffermo solo sulle tre righe che sono scaturite a seguito dell’attività che era stata preparata, presentata, discussa e proposta come stimolante e che è stata liquidata, sempre dallo stesso energumeno, con «tanto anche se muoiono persone e ci sono bambini sfruttati noi i telefonini ce li compriamo lo stesso perché ci servono». Che seppur contiene una bella fetta di verità non evidenzia null’altro. E’ scomparso l’ uomo e ha trionfato il robot. Ho provato un senso totale di solitudine e inutilità e le uniche parole che mi sono giunte in soccorso me le mandate l’Alighieri per bocca del conte Ugolino della Gherardesca:

«Ben se’ crudel se tu già non ti duoli

pensando ciò che ‘l mio cor s’annunziava;

e se non piangi, di che pianger suoli?».

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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