Adalgisa è per sempre

Un racconto di Clelia Pierangela Pieri (*)

Adalgisa-HamanovVladimir

La compostezza, una parola davvero affascinante: ha il profumo di una bella e confortante signora, non vi sembra?

Eppure dietro questo termine può nascondersi un’ingiustizia. Già, infatti viene accostata perlopiù alla donna, ancor meglio alla donna che ha superato una certa età.

E quale mai sarebbe questa certa età? Certa nel senso che qualcuno, non la diretta interessata, ha deciso da quando dovrà diventare certa quella età e soprattutto ha deciso che da quel momento debba avanzare la compostezza, adottarla e mantenerla fino alla fine.

È il momento in cui questo nobile atteggiamento composto non rappresenta più la libera scelta, ma diventa gabbia dentro la quale dibattersi pericolosamente. Fino alla resa.

«Mi sembri pensierosa, mamma. Tutto bene? A che pensi? Perché non fai l’albero di Natale…».

«Si potrebbe fare, certo».

«Hai già comprato i regali?».

«Non ancora, ci devo pensare, lo sai che mi diverte stupirvi».

«Ma dico io, perché non fai come tutte le mamme? Pigiama, guanti, sciarpe… insomma tienici al caldo e vai sul sicuro, no?».

Eccola lì, cinquantatré anni e non ha capito come ci è arrivata.

Cinquantatré anni… Fa paura dirlo a voce, meglio scriverlo soltanto.

C’è chi dice sia l’inizio di una vita da godere con maggiore consapevolezza, chi invece senza dire nulla ha deciso che a cinquantatré anni sei ferro vecchio, magari in buono stato sì, ma ahimè vecchio! Poco utilizzabile.

Qui ci tocca una pausa: utilizzabile? Scusate, non si capisce: utilizzabile per cosa? Fare figli per esempio? Ma chi li voleva probabilmente li ha già sfornati e chi invece non li desiderava non ha certo ripensamenti a quest’età.

Andiamo avanti, utilizzabile per? Immaginare di dover essere per forza belle e provocanti, comprare tutte le creme di bellezza esistenti sul mercato, fare tappezzeria dal parrucchiere in voga per rinfrescare il taglio prima di ogni sabato, venerdì o chissà quale occasione similmondana?

Utilizzabile per? Palestre allo sfinimento, fitness “unduetre, dài che sei uno spettacolo!”?

No, grazie! Adalgisa si rifiutava di entrare a far parte di questo perverso ingranaggio e non certo per caso. – A-dal-gì-sa? Sì, ho capito che è un nome del piffero, ma si presta bene alla storia, quindi intendo farmelo passare per buono. Dunque, dicevo, Adalgisa non si sentiva affatto una tipa utilizzabile in questi modi. Senza alcun rimpianto si sottraeva alla corsa agli acquisti e alla frenesia del devofartutto per fermarsi a raccogliere quanto di sé aveva fino ad allora costruito. Bella era bella, glielo ripetevano tutti, anche se in realtà non era proprio una bellezza. Era bella per il suo sorriso aperto, per la fermezza dello sguardo che tradiva una curiosità infantile sempre presente agli occhi.

E se gli anni fossero cinquantacinque o sessanta? Resterebbe ancora così salda a se stessa? Sempre più spesso capitava d’incontrare sull’autobus il ragazzo di turno pronto ad alzarsi, con quell’espressione odiosamente gentile e il gesto invitante di sedere al suo posto. Avrebbe voluto masticargli in faccia “ma vaffanculo tu e il tuo posto, ce la faccio ancora a stare con tutti e due i piedi nella vita senza bisogno del tuo melenso posto a sedere!”

Non era questo che si aspettava anni prima pensando ai suoi cinquantatré anni.

Per anni aveva immaginato di potere finalmente condividere la vita adulta dei suoi figli, non solo nell’accudire i nipoti o sfornare le famose ricette di mamma da pranzo domenicale e molti giovani apprezzavano la vitalità di Adalgisa, ma tra loro non ci sono mai stati i suoi figli. I figli la volevano asessuata, antiquata, bisognosa di istruzioni per usare internet, sempre pronta a dispensare pareri senza alcun seguito, ma che avrebbero confermato la natura noiosamente materna e insostituibile.

Aveva aspettato questi anni, che ancora oggi immaginava “d’oro”, per prendersi le libertà che prima non aveva mai confessato a se stessa.

Ora è tempo. Sa che la prenderanno per matta, ma è tempo comunque. Nessun intervento estetico, a lei non servono per sentirsi meglio. Già, perché è tutto qui il nodo della questione, in questo “sentirsi se stesse”. Sentire di essere per essere a sé presente in ogni istante. Sentirsi partecipe del proprio tempo, del mondo. Non le servono interventi estetici, misure standard e silicone per essere bella, per sentirsi bene. Le basta fermarsi ad ascoltare la sua presenza, le basta sapere di essere viva, ma viva davvero.

Via.

Che lava lasci il suo cratere
linfa lenta abbandoni,
non vista, in quel mutar di vita.
Strumento che fugge il suo concerto,
un ultimo sguardo e poi
via.
È sogno in repentino balzo
l’uscir fuori da me
ma sono qui
guardiana di un tempo
feroce che trafigge
e morde il sorriso mio accennato.
Cresco
o son già vecchia.
Invisibile passaggio, mostrati
lasciati rimirare,
solcami la pelle
strappami le carni
ma donami l’urgente oblio.

Prendimi, mio tempo.

Sapeva bene, Adalgisa, quanto poco contasse la perfezione fisica per essere ancora affascinante e appetibile. Sapeva anche quanto il sesso non avesse più segreti per lei, in fondo ce lo vogliamo dire che cinquantré anni a qualcosa sono serviti?

Spesso fantasticava sul sesso, si trattava poi di capire se farsi un bel ragazzo giovane e inesperto oppure puntare sul trentenne, che a pensarci non riusciva a smettere di ridere ricordando il figlio che le consigliava di fare l’albero di Natale.

E allora? Aveva fatto l’albero di Natale, poi si era concessa un bicchiere di vino bianco ed era andata anche ad offrirlo al suo maritino, tuttoperbenino con lei e che pure viveva le sue fantasie, ne era certa! Oltre al bicchiere di vino avrebbe voluto urlare scopami! Qui, adesso, sotto l’albero (sembrava la signora di una certa pubblicità che, armata di emissione verbale da dentiera, sussurrava a suo marito facciamolo più spesso anche noi!). Purtroppo da tempo lui non si rendeva conto del cambiamento, eppure lei non si era lamentata della menopausa, delle caldane, della stanchezza o del solito mal di schiena… nulla (e se anche fosse?), unica reazione, come d’uomo buono e paziente, un sorriso senza sguardo. Più tardi sarebbe sopraggiunto anche il verbo: amore, che si mangia stasera?

Allora via, a guarire le farfalle che non smettevano di volare nello stomaco alla faccia della compostezza.

Non servono scuse per uscire di casa, lei è una signora per bene e certamente così resterà per tutto il mondo intorno fino a quando non la si vedrà sorseggiare una cioccolata calda in un caffè in compagnia di una figura maschile che non è suo marito né suo figlio. La si guarderà di fretta, ma lo sguardo vorrà immediatamente tornare indietro per meglio osservarla, eh sì… perché la signora Adalgisa, sai quella così a modo, gentile ed educata, adesso ride davvero di cuore e le brillano gli occhi come mai si era veduta negli ultimi anni.

Sembrava invasata… Eccola, la parola di rito: invasata. Già, perché per non sembrare tale deve smettere di essere donna bisognosa di attenzioni. Insomma, siamo seri, superati i cinquanta ci si deve mettere di lato, osservare gli altri, magari anche rompere le scatole a tutti e così innescare il sistema che la inserisce nella pubblicità degli assorbenti che senza quelli, se ti pisci addosso non hai nemmeno più il coraggio di entrare in ascensore con altre persone (pubblicità trasmessa, cercare per credere).

Signori, abbiamo fatto figli, abbiamo messo a dura prova il nostro apparato urinario e adesso… e adesso per favore risparmiateci la denuncia in piazza di quanto accade comunque a poche di noi (per fortuna). Nessuno che vada a prendere a sberle chi decide per queste pubblicità?

Ma tornando ad Adalgisa, la chiamiamo Ada e le diamo ancora un clitoride funzionante e reattivo? Sì certo, e le diamo l’opportunità di tanti orgasmi di qualunque natura essi siano, le diamo un profumo della pelle che forse non ricorda più le margherite, ma le rose profumate, perché no?

Proviamo a toglierle questa martellante unione alla parola: ancora. Dovremmo finalmente renderci conto che lei oggi, oggi più che mai, non sa solo amarci ma soprattutto sa farci l’amore come solo una donna amica, madre, sorella e puttana sa farci l’amore. Non ancora, certamente meglio perché attenta a sé e a chi ama.

Le concediamo il silenzio di uno sguardo, estraneo oppure no, che non smetta di soppesarla con interesse, che la desideri. Le accostiamo un uomo o una donna che voglia conoscere i suoi sogni e i desideri. Non saranno più desideri e sogni dei trent’anni, saranno certo diversi, profondi quanto serve e determinati quanto basta. Saranno decisamente intrisi di esperienze, tempo, pause, errori, lacrime e rabbia.

La donna cosciente di sé è donna. Non giovane o vecchia, donna. Il suo ridere sarà universo femminile ancora e ancora, perché si tratterà di gioia che ha conosciuto la pena e che a maggior ragione pretende la vita, la reclama senza inibirne il volo.

Abbiamo lasciato la nostra Ada seduta di fronte a una cioccolata calda e in preda alle risa, ma potremmo anche farla rientrare a casa, intimamente divertita e pronta a sfidare l’uomo che un tempo lontano ha scelto e che oggi le appare straniero. Lo potrebbe fare accendendo una candela o mille, decidendo di non cucinare e trascinandolo sotto la doccia per fargli l’amore coi capelli bagnati, la linea del corpo un poco persa, la pelle un po’ cadente e la voce a gorgogliare mentre gli succhia il cazzo come mai prima aveva fatto.

Non importa come, in quale manifestazione e con chi. Donna è Donna fino alla fine dei giorni ed è un fatto malgrado quanto ci hanno insegnato, malgrado il benpensare. Malgrado la paura e ogni giudizio. Donna.

(*) Pubblicata il 26 febbraio su «Carteggiletterari» – http://www.carteggiletterari.it/ – da dove è ripresa anche l’immagine.

 

Clelia

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