Addio a «Sigaro», una vita nel rock militante

Pochi giorni fa è scomparso Angelo Conti, leader della Banda Bassotti, gruppo ska-punk della scena musicale antifascista romana.

di Luca Pakarov (*)

Musica. Oggi i funerali del frontman e chitarrista della Banda Bassotti, Angelo Conti, scomparso a 62 anni

«Sono un avanzo di cantiere, rifiuto questa società, che ti ringrazia a calci nel sedere e toglie il pane a chi non ce l’ha», è uno dei testi di Avanzi de cantiere, brano e titolo di uno degli album più significativi della Banda Bassotti. Correva l’anno 1995, le canzoni erano state scritte da Angelo «Sigaro» Conti, frontman e chitarrista della band romana. «Sigaro» è scomparso martedì a 62 anni dopo una breve malattia, l’annuncio è stato dato martedì sul profilo facebook della Banda Bassotti con un laconico quanto incisivo: «Chi lotta non sarà mai schiavo. Ciao Sigaro».

La sua è la storia di quel rock militante che non sbiadisce malgrado tutto, quello che fa riferimento certo a Joe Strummer ma da cui si è distinto, riuscendo a cavare dallo ska italiano un collante potentissimo per i momenti difficili o per le grandi feste. Tuttora risuonano nei cortei quegli inni – e quelle idee – come la cover di Stalingrado o Figli della stessa rabbia, capaci di resistere ai partiti politici, ai cambi generazionali, allo sfaldarsi dei centri sociali e all’evolversi della scena musicale. La militanza politica di Angelo Conti era a monte, nel lavoro di manovale nella cooperativa XXV Aprile e gli amici con cui, prima di iniziare a suonare, partiva per costruire scuole in Nicaragua.

A fine anni ’80, da un coro da osteria, era nata l’idea della band con Gianpaolo «Picchio» Picchiami e David Cacchione. Da lì, oltre alle canzoni, una presa di posizione dietro l’altra in favore della Palestina, delle lotte dell’America Latina, dell’indipendentismo dei Paesi Baschi (e la fratellanza con i Negu Gorriak), a fianco ai manifestanti del G8 di Genova, dei No Tav o in favore degli insorti di Kiev. Se a Bilbao era considerato una star, in svariate occasioni in Italia venne attaccato dai fascisti, come a Villa Ada nel 2007.

Gli Assalti Frontali l’hanno ricordato scrivendo: «Con la Banda hai girato il mondo, Nicaragua, Euskadi, il Venezuela, la Colombia, Donbass, e quando stavi a Roma quanti concerti abbiamo fatto insieme per le cause più belle, quelle degli oppressi e dei ribelli». Uno spirito internazionalista raccontato nel documentario La brigata internazionale del regista Antonio Di Domenico (2016), che lottava contro l’imperialismo tanto che, malgrado la malattia, fino a pochi giorni fa era in Cile in concerto. La Gang dedicò alla Banda Bassotti il brano Il paradiso non ha confini, dove venivano definiti dei manovali del paradiso.

Marino Severini non riesce a descriverci un fratello incontrato 35 anni orsono e con cui ha condiviso, più che i palchi, tanta vita: «Era un comunista. Era un intellettuale organico alla classe operaia, senza conoscerla nei libri o nei film. È nato e cresciuto nella classe operaia, per questo si è messo a servizio della sua gente scrivendo delle canzoni popolari di lotta per l’emancipazione. Semplicemente non si tirava mai indietro quando c’era d’aiutare l’ultimo disgraziato della terra».

(*) articolo tratto da il manifesto, 13 dicembre 2018

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