Alle soglie del ‘900 con Valerio Evangelisti

Intervista su «Il sole dell’avvenire», primo di una trilogia (*)   

Il nuovo romanzo di Valerio Evangelisti vende in libreria (accade sempre con i suoi romanzi) ma più di altre volte fa discutere: inevitabile visto che «Il sole dell’avvenire» parla di Italia, nel passaggio ‘800-900.

Dopo Messico, Usa, pirati e corsari, Evangelisti approda alla storia italiana. Per la prima volta da romanziere (salvo una breve escursione garibaldina). Era in programma o per qualche ragione, per qualche antica passione, sei finito fra Romagna e Ostia nel passaggio ‘800-900?

«E’ stato il mio primo campo di interesse. Nel 1976 mi laureai in Scienze Politiche con una tesi sul Partito socialista rivoluzionario di Romagna: un tema poco conosciuto, su cui non esistevano libri. Nel 1981 la tesi diventò un volume, scritto con una mia compagna di studi, da poco ristampato. Sarebbe rimasto nell’ombra se in tanti, nel leggere i miei romanzi sul movimento operaio americano (Antracite, Noi saremo tutto, One Big Union), non mi avessero chiesto: perché non ti occupi anche dell’Italia? Ne saresti capace? Detto fatto. Tra l’altro, avevo conservato i materiali della tesi: collezioni di giornali ottocenteschi in microfilm e una quantità di documenti».

 

Prevista una nuova trilogia sull’arco di un settantennio. E’ possibile anticipare qualcosa sull’arco temporale del secondo e terzo volume?

«Non è un segreto. Il secondo volume coprirà il periodo 1900-1925, il terzo arriverà al 1950. L’impostazione sarà la stessa del primo: narrare grandi eventi attraverso le vicende di piccola gente, braccianti e contadini dell’Emilia-Romagna. Le loro traversie personali si mescolano alla Grande Storia, ma non la determinano: ne fanno semplicemente parte. Non sanno che, con tanti come loro, stanno mutando il profilo economico, politico e sociale di un’intera regione».

 

Più che in altri tuoi romanzi qui c’è una donna a dominare la scena: Rosa è una necessità storica, di scrittura o d’autore?

«Una necessità storica. Le donne delle campagne faticarono più di chiunque ad acquisire coscienza politica e sociale, dato il ruolo subalterno a cui erano costrette nella famiglia contadina. Col dissolversi di questa, e con l’affermarsi del bracciantato, la situazione mutò radicalmente, con grande scandalo del clero più retrivo. La risaiola o l’operaia agricola non mangiavano più sui gradini di casa, davano del “tu” al marito, fumavano, si interessavano di politica, avevano costumi sessuali molto liberi. In Romagna, prima che nel resto d’Italia, furono le donne a capeggiare le agitazioni rurali: Argentina Altobelli, Maria Goia, Adalgisa Lipperini e centinaia di altre. E non vale solo per il contesto emiliano-romagnolo. Lo stesso accadde con i Fasci siciliani di fine Ottocento, che videro le donne all’avanguardia. Non si può parlare di “liberazione femminile” autentica, ma fu il sintomo di un cambiamento profondo, che i socialisti incoraggiarono».

 

Il gioco delle somiglianze e differenze. E’ corretta una sintesi di questo genere: anche oggi una crisi, con il dogma del mercato e le banche a dominare da una parte; dall’altra invece masse che sono meno povere in denaro ma con pochi ideali e organizzazione nulla?

«E’ corretta in parte, ma ogni epoca ha le proprie specificità. Io non ho inteso parlare del presente guardando al passato. L’ho fatto con la trilogia sui pirati, però pochi l’hanno capito».

 

Leggendo «Il sole dell’avvenire» molti scopriranno di avere la memoria corta; da «Sartori l’è ‘l dutur» al Pascoli ribelle sino alle stragi, alla bonifica di Ostia. Non può essere solo colpa della scuola… Chi dovremmo portare sul banco degli imputati?

«La stessa sinistra, poco propensa a riflettere sul proprio passato in termini sinceri e realistici. Oltre a una generale mancanza di memoria, che induce a guardare gli effetti dimenticando le cause. Ciò legittima qualsiasi operazione “revisionistica”. Cancellare gli antecedenti sembra diventato un imperativo. Invece bisognerebbe sempre chiedersi: cos’era successo prima?

 

Qui a Imola, dove vivo, una lapide (scritta probabilmente proprio da Andrea Costa) saluta il ‘900 annunciando un secolo di conquiste sociali. In parte è stato così ma dopo 100 anni sembra di muoversi come i gamberi. Sei d’accordo?

«E’ anche la mia impressione. Un esempio fra i tanti: il reclutamento della manodopera bracciantile. Nel secondo volume de “Il Sole dell’Avvenire” spiegherò come fu superato il meccanismo dell’assunzione arbitraria dei lavoratori, radunati in piazza in attesa della scelta del “caporale”. Oggi si è tornati a quello stesso sistema, non solo a Rosarno, ma anche a Cerignola, patria di Di Vittorio. Persa la nozione di avvenire, anche il sole che dovrebbe illuminarlo è tornato a calare.

(*) Questa mia recensione è uscita (in una versione leggermente più breve per ragioni di spazio) il 9 gennaio sul quotidiano «L’unione sarda». Il romanzo mi ha così appassionato che ci voglio tornare sopra con una recensione-riflessione (db)

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