Alle urne per la dignità della Bolivia e dell’America latina

Il 18 ottobre nel paese andino si torna alle urne. Luis Arce è il favorito, ma le destre ancora una volta vogliono creare le condizioni che portarono alla destituzione di Evo Morales.

di David Lifodi

                                                       Foto: https://italiacuba.it/

Secondo i dati del Centro Estratégico Latinoamericano de Geopolítica, le presidenziali del prossimo 18 ottobre dovrebbero avere come vincitore il candidato del Movimiento al Socialismo (Mas) Luis Arce. L’ex ministro dell’Economia del governo di Evo Morales avrebbe circa il 44% delle preferenze contro il 34% del candidato delle destre Carlos Mesa.

Tuttavia, l’esito delle elezioni non è scontato. Peserà sicuramente il gruzzolo di voti dell’estrema destra, indicato intorno al 12%, che dovrebbe sostenere Fernando Camacho, il picchiatore delle bande paramilitari di Santa Cruz appoggiato dall’ala più oltranzista delle comunità evangeliche. Se Camacho si ritirerà dalla corsa per Palacio Quemado, per Luis Arce le cose potrebbero complicarsi.

Lo scorso 17 settembre, Jeanine Añez si è fatta da parte. L’attuale presidenta de facto sarebbe stata la terza candidata della destra, ma ha deciso di ritirarsi dalla contesa elettorale ufficialmente per senso di responsabilità. In realtà, come è evidente, la sua rinuncia sembra essere stata dettata dalla volontà di favorire la corsa di Carlos Mesa. Inoltre, sembra che dalla Casa Bianca abbiano fatto sapere di voler puntare su Mesa e quindi l’ordine di scuderia è quello di non togliere voti a colui che ha più possibilità di battere Luis Arce. Di conseguenza, non ci sarebbe da sorprendersi se anche Camacho si ritirasse pur di sconfiggere Camacho.

L’attuale scenario politico boliviano assomiglia molto ai giorni precedenti al colpo di stato del 10 novembre 2019. Allora era già pronta una campagna di discredito su Evo Morales per gridare alla frode ancor prima che le urne fossero chiuse. Oggi, in caso di vittoria di Arce, l’Organizzazione degli stati americani e il suo segretario Luis Almagro sono già pronti a parlare di nuovo di elezioni truccate. Senza tornare ancora una volta sugli errori di Evo Morales e sulla sua testardaggine nel volersi ricandidare ad ogni costo, che ha sollevato da quasi un anno un partecipato dibattito nella sinistra latinoamericana e nei movimenti sociali lasciando perplesse anche alcune organizzazioni sociali boliviane, è evidente che la vittoria di Arce non solo è auspicabile, ma rappresenterebbe un duro colpo per i teorici delle rivoluzioni colorate che Stati uniti e destre continentali stanno cercando di esportare anche in America latina.

A questo proposito preoccupa la presenza in Bolivia di trenta osservatori internazionali legati all’Osa, il cui compito sembra essere solo quello di alzare la tensione nel paese e di gridare alla frode a prescindere con la grancassa dei media mainstream boliviani e latinoamericani. In realtà, se c’è un rischio che qualcuno trucchi le elezioni, il pericolo non risiede certo nel moderato Luis Arce, ma piuttosto nella destra boliviana, radicale quanto quella antichavista in Venezuela e sicura di contare su un alleato imprescindibile, il presidente del Tribunale Supremo Elettorale Salvador Romero, stretto collaboratore dello stesso Carlos Mesa, il cui curriculum politico di commenta da solo, a partire dall’epoca in cui era vicepresidente di Sánchez de Losada, “Goni”, costretto ad abbandonare la Bolivia in elicottero per fuggire a Miami a causa della collera popolare il 17 ottobre . Se Mesa vincerà le elezioni, il paese andino tornerà a quel periodo.

Nell’attesa che le urne si aprano, l’attuale governo boliviano continua a calpestare i diritti civili, sociali e politici, emerge ogni giorno di più il suo modo di agire e pensare razzista ed escludente, prosegue nella persecuzione politica, come dimostra il processo che dovranno subire gli ex magistrati del Tribunale ocstituzionale plurinazionale Macario Lahor Cortez, Oswaldo Valencia, Zenón Bacarreza, Mirtha Camacho, Ruddy Flores e Neldy Andrade per essersi dichiarati favorevoli alla ricandidatura di Evo Morales in occasione delle presidenziali dell’ottobre 2019.

E ancora, stanno crescendo le contestazioni in merito agli oltre cinquantamila boliviani residenti all’estero (la maggioranza si trova in Argentina, Cile, Brasile e Spagna) che avrebbero perso il diritto di voto perché nel 2014 e nel 2016 non si erano recati alle urne.

Il voto per Luis Arce del prossimo 18 ottobre sarà contro la discriminazione, il razzismo, la gestione scellerata dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 e per evitare che il paese torni ad essere di nuovo una colonia degli Stati uniti.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

2 commenti

  • Gianni Hochkofler

    La finestra latino-americana continua a distinguersi ai media italiani dominati che cercano diffondere la notizia che se viene eletto Biden cambia qualcosa da noi e nel cortile di casa Usa.

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