Amazon, lavorare dalle parti dell’incubo

di Gian Marco Martignoni  

  In contemporanea all’uscita del numero 3 dei «Quaderni di Rassegna Sindacale», dedicato a «La contrattazione transnazionale» – che mette a fuoco il ruolo dei Comitati aziendali europei (Cae) e delle Federazioni sindacali europee in processi negoziali che si collocano in un quadro internazionale segnato da «politiche di chiara impronta neoliberista» (a tal proposito si veda l’interessante saggio di Salvo Leonardi) – merita di essere segnalata l’inchiesta sui magazzini del commercio elettronico apparsa su «Le Monde Diplomatique» del mese di novembre 2013, a firma Jean-Batiste Malet.

Il giornalista, che per svolgere l’inchiesta ha lavorato come operaio interinale presso un magazzino francese di Amazon , ha potuto verificare di persona la disumana organizzazione del lavoro praticata nei magazzini logistici della multinazionale di Seffrey Preston Bezos, nonché la dichiarata ostilità nei confronti dei tentativi di sindacalizzazione della forza lavoro da parte della Cgt in Francia e analogamente in Germania dalla Federazione Ver.di.

Nel mondo la multinazionale Amazon ha 89 centri logistici e occupa centomila persone, che il regolamento interno prevede debbano sgobbare in silenzio, in una suddivisione dello stoccaggio delle merci attraverso quattro figure professionali: i riceventi, gli stoccatori, i raccoglitori, gli imballatori.

Poiché il reclutamento della forza lavoro avviene tramite agenzie interinali, soprattutto in Germania arrivano disoccupati alla ricerca di una occupazione da tutta Europa, al punto che in una festa organizzata dalla multinazionale sono state appese le bandiere di ben 44 nazionalità.

I nuovi arrivati vengono fatti alloggiare in condizioni terribili; nel quarto trimestre dell’anno viene introdotto anche il terzo turno e nei centri logistici è esposto il motto dell’azienda «Lavora tanto, divertiti, fai la storia»; così come il verbo di Bezos viene diffuso dagli altoparlanti nel magazzino, al fine di stimolare il rendimento dei lavoratori e delle lavoratrici, considerati “soci” se fortunatamente sono a tempo indeterminato e beneficiari di azioni.

Le condizioni di lavoro e la violazione dei diritti del lavoro raccontate ai sindacalisti tedeschi sono da incubo, al punto da determinare una inevitabile adesione all’organizzazione sindacale per «difendere i diritti e la dignità delle persone». Da un paio di anni – come si evince da un reportage di Massimo Franchi pubblicato su «l’Unità» del 27 dicembre – Amazon è sbarcata anche in Italia nel complesso che occupa sessantamila metri quadri a Castel San Giovanni in provincia di Piacenza.

Il sito piacentino occupa 1000 addetti, di cui 700 precari, che si alternano su due turni di 8 ore dalle 6 alle 22, inquadrati nel contratto del commercio che è giudicato migliore di quello della logistica.

Le difficoltà nella sindacalizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici vengono rimarcate dal segretario provinciale della Filcams Giuliano Zuavi, che annuncia il primo incontro con l’azienda da parte delle organizzazioni sindacali nel mese di gennaio, surrogando l’assenza di una rappresentanza unitaria dei lavoratori.

Non è una novità ma le politiche di reinsediamento sindacale dovranno per forza di cose misurarsi con contesti caratterizzati da dispotismo aziendale, condizioni di lavoro “ottocentesche”, completa de-sindacalizzazione della forza lavoro (che è l’altra faccia della de-politicizzazione di massa) e quindi rapporti di forza piegati in direzione contraria al mondo del lavoro.

PS – Nel frattempo l’inchiesta è diventata un libro «En Amazonie Un infiltrato nel migliore dei mondi», tradotto in Italia dalla Kogoi Edizioni e che Malet ha presentato nel mese di dicembre alla fiera della piccola editoria a Roma .

 

Redazione
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4 commenti

  • Ciao, grazie per il post, l’argomento è interessante. Solo mi sembra si potrebbe dare qualche elemento circa i contenuti del “maltrattamento” lavorativo (precariato a parte).
    Grazie!

    • ECCO LA RISPOSTA DI GIAN MARCO MARTIGNONI
      In Francia gli operai del magazzino di Monthimar sono stati costretti allo sciopero poiché obbligati a lavorare con giacche a vento, guanti e berretti al freddo. Per prendere gli articoli da spedire percorrono con i muletti oltre venti chilometri per ogni turno di lavoro, costretti al silenzio dal regolamento interno, giacchè la loro produttività è controllata con tecnologie avanzate.
      Il silenzio sul lavoro in Amazon è esteso anche ai rapporti con i famigliari, gli amici, i giornalisti, poiché quello che non deve emergere è la durezza delle condizioni di lavoro. Sono sottoposti a controlli minuziosi non solo quando escono la sera, ma anche durante la pausa mensa, sicchè si determinano tempi d’attesa non remunerati, che sono diventati oggetto di rivendicazione sindacale poiché vengono considerati come tempo di lavoro.
      Nei bungalow i lavoratori e le lavoratrici dormono al freddo, poiché non vengono riscaldati.
      L’ostilità contro le organizzazioni sindacali è massima e arriva all’umiliazione di chi è individuato quale attivista sindacale, in quanto scattano perquisizioni arbitrarie e corporali durante l’orario di lavoro.

  • Per chi può recuperare il settimanale «Internazionale» (in rete o in biblioteca) ricordo che sul numero 1031 – datato 20/26 dicembre 2013 – è apparsa la traduzione dell’inchiesta di Carole Cadwalladr (di «The Observer») che, sotto il titolo «Gli schiavi di Babbo Natale», veniva presentata così: «Contratti precari, turni di lavoro massacranti, licenziamenti facili. Una giornalista dell’Observer racconta quello che ha vissuto lavorando per una settimana in un magazzino di Amazon».

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