Amina mina l’anima

di Gianluca Cicinelli

Stavolta non è stata la solita bufala in rete, una di quelle truffe spesso accompagnate da catene di mail che giungono nelle caselle di posta elettronica di ciascuno di noi. Il caso di “Amina”, la blogger lesbica e siriana, in realtà un quarantenne americano residente in Scozia che ha ingannato tutti per mesi,diventata punto di riferimento irrinunciabile per chiunque volesse avere e riportare notizie ritenute affidabili sulle rivolte anti governative in Siria, ci deve far riflettere sul ruolo dei giornalisti e degli strumenti per garantire al pubblico l’affidabilità delle notizie online. La rete infatti non offre soltanto nuove possibilità alla professione ma amplia anche la gamma dell’offerta informativa costringendo chi la usa a districarsi su una quantità di verifiche da effettuare moltiplicata all’infinito rispetto alle tradizionali fonti della carta stampata. Si tratta di un caso paradossale in cui l’elemento di spinta “nobile”, l’aggiramento della censura di un regime dittatoriale, contiene il limite peggiore per un giornalista: non verificare a fondo la fonte perchè questa soddisfa la nostra esigenza e ci racconta quel che ci aspettiamo e vogliamo sentirci raccontare.

A essere ingannate in questo caso, prima dei lettori, sono state tutte le testate più autorevoli, non soltanto quelle italiane. Così come esaltiamo le potenzialità della rete, a partire da quelle occupazionali del futuro, così come apprezziamo molti bloggers, che per loro scelta decidono di svolgere un lavoro diverso anche se parallelo a quello del giornalista, abbiamo anche il dovere di accertare l’identità delle fonti. In questi ultimi dieci anni il circuito mondiale dell’informazione ufficiale ha smantellato minuziosamente l’organizzazione del vecchio mestiere di giornalista, che prevedeva la presenza in quanti più posti del mondo possibile, un circuito ritenuto troppo costoso e insostenibile, per i profitti dei grandi gruppi editoriali. Ecco quindi che un blogger locale, felice di avere i suoi quindici minuti di gloria di andywarholiana memoria o inorgoglito di tornare utile alla causa che sostiene, la cui mano d’opera è gratuita, diventa centrale in un mondo dell’informazione dove ai cronisti di guerra resta poco altro che affogare la noia dei dispacci reuters e ansa nel bar dell’albergo che li ospita, mentre le esplosioni squassano l’esterno della hall.

Oggi le presenze dei giornalisti nei luoghi più oscuri del mondo sono legate a quelle degli eserciti dei loro paesi, spesso in qualità di occupanti, fattore che da solo basta a rendere inaffidabile la qualità di un’informazione di sola matrice governativa. Ecco perciò che appena si trova una fonte minimamente dissonante calano le difese naturali e le verifiche intorno alle notizie. Sarebbe bastato, nel caso della falsa Amina, controllare ad esempio, mesi fa non ieri, gli Ip dei computer da cui provenivano le informazioni, che corrispondono alla fine ad indirizzi fisici e non solo virtuali, e sembra improbabile che se non lo hanno fatto i giornalisti, che non ne hanno gli strumenti tecnici, non lo abbiano fatto nemmeno le agenzie governative che a quelle informazioni dalla Siria erano forse più interessate ancora della stampa mondiale.

Non stiamo insinuando che quella di Amina sia un’operazione a tavolino dei servizi segreti di una sorta di Spectre mondiale, anche se non si può escludere che dietro questo scherzetto possa esserci la solita manina parallela a quella del potere. A partire dal caso della falsa Amina bisogna però chiedersi, proprio perchè siamo convinti del ruolo centrale della rete nella libera circolazione d’informazione, come adeguare le vecchie ma sempre valide regole sulla verifica delle informazioni e delle fonti al flusso centuplicato di notizie che affrontiamo ogni giorno. Sarebbe grave per la democrazia se accettassimo quel principio virtuale, sempre più diffuso sulla stampa di oggi, che pone il verosimile sullo stesso piano del vero.

ciuoti

Un commento

  • certo… è un bel casino. un esempio meno grave: io prima del referendum sono stato travolto da allarmate email sui pericoli derivanti dalla carta copiativa (?) con cui sarebbero state prodotte le schede. a me è sembrata una belinata (ops! si dice bufala?). alla raccomandazione di non sovrapporre le schede ho risposto: e perchè mai dovrei farlo?
    poi, come noto, tutto è andato per il meglio. ma ne sapete qualcosa di ‘sta storia delle “schede copiative”?

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