Ancora sulla lotta di Jeju

di Maria G. Di Rienzo

3 ottobre 2011: Il rilascio su cauzione è stato negato al sindaco di Gangjeong, Kang Dong-gyun, al suo concittadino Kim Jong-Hwan ed al fotografo Kim Dong-Won. I tre sono in carcere dal 24 agosto scorso per la resistenza nonviolenta alla costruzione della base navale sull’isola di Jeju.

4 ottobre 2011: Cinque sacerdoti della diocesi di Jeonju, due di Jeju, uno di Gwanju ed un gesuita sono stati arrestati e vengono trattenuti nella stazione di polizia di Dongbu sull’isola. Gli arresti illegali stanno drammaticamente aumentando.

5 ottobre 2011: Duecento persone, fra abitanti del villaggio di Gangjeong e pacifisti coreani hanno ricevuto lettere di comparizione dalla polizia che intende interrogarli sul loro ruolo nella resistenza nonviolenta alla base. La repressione messa in atto dal governo sudcoreano sta crescendo.

Il 13 ottobre prossimo il Presidente sudcoreano Lee Myung-bak viene ricevuto alla Casa Bianca dove cenerà. Il suo arrivo è previsto per le ore 18.00 e gli attivisti per la pace intendono essere presenti per ricordargli quanto male sta agendo.

Choi Sung-hee è una delle persone che hanno sofferto il carcere per Jeju e che, tornata in libertà, continua a protestare pacificamente contro la base navale. Di seguito riporto parte dell’intervista fattale il 26 luglio 2011, mentre era in prigione, dal giornalista David Vine per l’Institute for Policy Studies. Choi Sung-hee, di professione artista, è un esempio di ciò che sta accadendo sull’isola, della forza e della tenerezza e dell’intelligenza della sua gente. David Vine è assistente professore di antropologia all’Università di Washington, nonché l’autore del libro “L’isola della vergogna: la storia segreta della base militare americana a Diego Garcia”.

(…) Choi è stata arrestata per i suoi tentativi di prevenire la costruzione di una base navale nel villaggio di Gangjeong, sull’isola di Jeju. Nonostante l’opposizione degli abitanti, è dal 2002 che il governo sudcoreano tentato di creare una base navale su Jeju, sull’isola che il governo stesso ha nominato “Isola della Pace”. Già due volte i dimostranti lo hanno costretto a fare un passo indietro.

Nel nuovo sito, Gangjeong, dove tonnellate di attrezzature e materiali aspettano in riva al mare, la base cancellerà una delicata e rara spiaggia vulcanica, danneggerà la locale vita marina e distruggerà il cuore di uno splendido villaggio marittimo.

Ciò che segue è quanto Choi ha detto durante la nostra conversazione di giovedì scorso. Domattina tornerò a Jeju a controllare la situazione con le potenti parole di questa donna ancora fresche nella mia mente.

CHOI SUNG-HEE: Gli Usa e la Corea del Sud usano le esercitazioni militari nella regione mirando alla Cina, non alla Corea del Nord. C’è la più chiara evidenza che gli Stati Uniti useranno la base navale di Jeju, sebbene ciò sia negato ogni volta. Dicono: “Non è una base americana. E’ una base sudcoreana.” Questo è il trucco con cui vogliono imbrogliare la gente. Non ci sarà alcun problema per gli Usa nell’usare la base: in primo luogo, i due paesi hanno firmato un trattato di “reciproca difesa” nel 1954, trattato che permette agli Stati Uniti di usare qualsiasi installazione militare coreana. In secondo luogo c’è il SOFA (Status of Forces Agreement – Accordo sullo status delle forze militari) che permette di costruire installazioni specificatamente pensate per l’esercito americano. Ma non è solo l’esercito, anche le corporazioni economiche come Samsung e Daerim stanno beneficiando dalla costruzione della base. Non c’è solo la parte militare, ma anche quella commerciale.

Una base su Jeju sarà una tragedia per l’isola e la sua gente, anche a causa di ciò che hanno già sperimentato nel 1948, quanto l’esercito sudcoreano massacrò 40.000 persone (accusate di comunismo, nda.). La storia della gente di Jeju è una storia di lotta contro poteri esterni: gli Usa ed il Giappone. Armi militari statunitensi furono impiegate nel massacro, solo pochi anni dopo la liberazione della Corea del Sud dalla dominazione giapponese.

Perché stiamo ancora lottando? Non è solo per l’ambiente, è la storia stessa di Jeju che ci spinge. Gli Usa occupano tutto ciò che bramano. Hawai, Okinawa, un tempo le Filippine. Ora vogliono occupare Jeju. Questa è l’Isola della Pace. Ciò che noi facciamo è per la pace. La visione della gente, qui, è di mantenere il luogo una vera isola della pace. Fratello Song (un attivista, nda.) e l’ex governatore di Jeju hanno tentato di trovare alternative su come sviluppare il villaggio di Gangjeong per le generazioni future. Una delle opzioni è aprire una Scuola di Pace delle Nazioni Unite. Tutti stanno parlando di questo. L’intero villaggio ne parla. Questo deve essere il nostro obiettivo ultimo, il creare una scuola di pace per le generazioni future sull’isola di Jeju.

Spero che lei possa parlare di quanto stanno soffrendo gli abitanti del villaggio. Di quanto amano la loro casa. Spero che lei possa davvero far sapere al mondo che le isole del Pacifico asiatico sono ora bersagli per le basi statunitensi.

DAVID VINE: Secondo lei, per qual motivo c’è così tanta gente impegnata in questa lotta? Gente come lei. Gente disposta ad andare in prigione. Gente che fa scioperi della fame. Ci sono molti movimenti anti-basi americane, ma il vostro sembra davvero appassionato, e mi chiedo perché: perché così tante persone impegnate e costanti?

CHOI SUNG-HEE: Come ho già detto altrove, sento la responsabilità di parlare per gli animali senza voce, per le creature che non possono farlo. Inoltre, le future generazioni saranno vittime della guerra se non fermiamo la costruzione della base. Io penso che gli abitanti di Jeju amino la loro terra davvero molto. E’ la loro casa. E’ una faccenda che concerne l’amore. L’amore che non può parlare. Il mare che non può parlare. Le creature che non possono farlo.

Di base è questo, di base…

Una voce automatizzata e musica di sottofondo interrompono bruscamente Sung-hee, annunciando che il tempo a nostra disposizione è terminato ed incitando i visitatori ad andarsene velocemente. Sung-hee ha afferrato la penna e il pezzo di carta accanto a lei, ed ha frettolosamente scritto poche parole finali. Sul pezzo di carta si legge: “E’ per amore delle persone che ora non possono parlare. E’ per amore.”

UNA PICCOLA NOTA

Segnalo (soprattutto a chi fa ricerche in rete) che il nome di Jeju è spesso scritto Cheju (db)

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • Segnalo che sull’ultimo numero (il 921) di “Internazionale”, in edicola da venerdì, c’è (rubrica “LE OPINIONI”) “Dov’è l’isola di Jeju?” di Noam Chomsky. Dopo aver raccontato la strage del 1948 e quel che da 4 anni sta accadendo in un luogo che dal 2005 è (sarebbe) “isola della pace mondiale”, Chomsky analizza la posta in gioco: “Le attuali proteste (…) sono in realtà una protesta contro una possibile guerra in Asia e contro quei governi che satanno spingendo verso altri conflitti”

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