Antonia Pozzi: il “disordine” poetico

Morire a 26 anni: «la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite»

di Daniela Pia

La poetessa Antonia Pozzi nasce il 13 febbraio 1912. Il padre, l’avvocato Roberto Pozzi, era originario di Laveno mentre sua madre Lina era una contessa, figlia del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana, proprietario di una vasta tenuta terriera, detta La Zelata. Crebbe in un ambiente colto e raffinato: studiò il francese e l’inglese e lesse molto, soprattutto autori stranieri e si dilettò nello studio del pianoforte. Studiando al liceo Manzoni, in terza liceo scoprì la sua passione per la poesia, suscitata anche dall’esperienza travolgente dell’amore: infatti rimase affascinata dal suo professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi e con lui si accorse di avere molte affinità, anche perchè quell’uomo “aveva qualcosa negli occhi che le parlava di un dolore nascosto”. Fra loro nascerà l’amore, ostacolato con tutti i mezzi dal padre.

Nel 1930 si iscrisse alla facoltà di lettere laureandosi con lode il 19 novembre 1935. L’anno successivo fu in Inghilterra, costretta dal padre che intendeva allontanarla dal Cervi.

I suoi primi lavori poetici non furono molto apprezzati da alcuni frequentatori del circolo Banfiano al quale apparteneva, anzi fu invitata a “calmarsi” e a “scrivere di meno”. Erano gli anni 30 e le donne venivano accolte negli ambienti intellettuali solo a patto che si conformassero anche perché l’emozionalità femminile era intesa come “disordinata” e prorompente. Lei rispose: «Il mio disordine è in questo: che ogni cosa per me è una ferita attraverso cui la mia personalità vorrebbe sgorgare per donarsi».

Nel 1933, in vacanza a San Martino di Castrozza, conobbe il poeta trentino Tullio Gadenz e, dalle lettere che gli scrisse, emerse il significato vitale che la poesia aveva ormai assunto per lei. 

Fra il 1935 e il 1937 Antonia Pozzi si recò in Austria e in Germania. Divenne “maestra” in fotografia con l’intento di cogliere l’anima delle persone e della natura: da questi lavori emergeranno album che diverranno pagine di poesia in immagini. 

Con Lucia Bozzi e Dino Formaggio si dedicò anche al volontariato nella “Casa degli sfrattati” di via dei Cinquecento. Nel 1938, a Pasturo, oltre a tradurre parzialmente Lampioon di Manfred Hausmann, sperimentò la scrittura in prosa. Dopo il tentativo abbozzato nel 1935, progettò un romanzo ispirato alla vicenda della sua famiglia, una «storia della nostra pianura lombarda, e della vita lombarda dal 1870 in poi», ponendovi al centro la sua adorata nonna “Nena”.

Nell’autunno, la promulgazione delle leggi razziali le strappò la sicurezza nella quale era vissuta. Vide gli amici, come i fratelli Treves, espatriare e di altri perse le tracce. 

Rivide Dino Formaggio al quale chiese una relazione più profonda. Dino le fece capire quanto fosse importante il loro rapporto d’affetto, che tuttavia non sarebbe mai diventato d’amore. Il dolore la inghiottì e, assunta una dose massiccia di barbiturici, si lasciò morire, giunse al Policlinico agonizzante e la sera del 3 dicembre si spense, a soli 26 anni.

Prima di porre fine alla sua esistenza scrisse tre messaggi: il primo per Vittorio Sereni, vergato su un foglio dove aveva trascritto una poesia dell’amico; l’altro fu per Formaggio; e l’ultimo per i genitori: «ciò che mi è mancato è stato un affetto fermo, costante, fedele, che diventasse lo scopo e riempisse tutta la mia vita. […] Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite. […] Direte alla Nena che è stato un male improvviso, e che l’aspetto. Desidero di essere sepolta a Pasturo, sotto un masso della Grigna, fra cespi di rododendro. Mi ritroverete in tutti i fossi che ho tanto amato. E non piangete, perché ora io sono in pace. La vostra Antonia».

Questo è il suo «Canto della mia nudità».

Guardami: sono nuda. Dall’inquieto

languore della mia capigliatura

alla tensione snella del mio piede,

io sono tutta una magrezza acerba

inguainata in un color avorio.

Guarda: pallida è la carne mia.

Si direbbe che il sangue non vi scorra.

Rosso non ne traspare. Solo un languido

palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.

Vedi come incavato ho il ventre. Incerta

è la curva dei fianchi, ma i ginocchi

e le caviglie e tutte le giunture

ho scarne e salde come un puro sangue.

Oggi, m’inarco nuda, nel nitore

del bagno bianco e m’inarcherò nuda

domani sopra un letto, se qualcuno

mi prenderà. E un giorno nuda, sola,

stesa supina sotto troppa terra,

starò, quando la morte avrà chiamato.

Antonia Pozzi è stata raccontata in due documentari: “Poesia che mi guardi” (del 2009) di Marina Spada  e  “Il cielo in me: vita irremediabile di una poetessa” (del 2014) dei registi Sabrina Bonaiti e Marco Ongania. Nel 2016 è uscito “Antonia” di Ferdinando Cito Filomarino con Linda Caridi nella parte della poetessa.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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