Appunti di fantascienza araba

di Dibbì (*)

Per una rivista come «Cem», che fa del dialogo fra culture la sua ragion d’essere, l’annuncio di un saggio sulla fantascienza araba è un’occasione ghiotta; per chi cura questa rubrica ed è appassionato di science fiction è invece quasi un orgasmo.

Ecco «La fantascienza nella letteratura araba» di Ada Barbaro:

 

304 pagine per 29 euri (sì, un po’ caro) pubblicato da Carocci, con una bella presentazione di Isabella Camera d’Afflitto. Nella prima parte del volume Ada Barbaro definisce l’argomento (c’è, con ogni evidenza, anche una questione terminologica) e affronta la «proto-fantascienza» e molte complesse questioni storico-politico-culturali. Nella seconda parte l’autrice ragiona sulla «lenta affermazione della fantascienza nella produzione letteraria araba», sui perché di un «ritardo»,  su alcuni autori (in particolare su due egiziani, Tawfiq al-Hakim e Nihad Sarif). La terza sezione del libro affronta «Tempo e Spazio, due chiavi di lettura» con molti esempi concreti (il marocchino Muhammad Aziz al-Lahbabi ma soprattutto la kuvaitiana Tibah Ahmad al-Ibrahim e gli egiziani Mustafa Mahmud e Sabri Musa). La quarta parte sviscera le «nuove prospettive» muovendosi in particolare dalle parti dei romanzi del siriano Talib Umran e dello yemenita Abd al-Nasir Mugalli.

Guardate bene la copertina, poi cercate la didascalia-spiegazione (è indicata nella pagina che precede l’indice): a cosa vi fa pensare «Palestinauti»?

Ada Barbaro oltre che documentata e acuta è bravissima a scrivere: anche le questioni più complesse riesca a farle diventare piacevolmente chiare per chi legge. Come spiegano rispettivamente Samuel Delany, Isaac Asimov e James Ballard (che sono citati in quest’ordine da Ada Barbaro): «La fantascienza è un mezzo che ti aiuta a pensare»; «abitua chi legge all’idea dell’inevitabilità di un continuo cambiamento e al pensiero della necessità di guidare e forgiare questo cambiamento piuttosto che opporsi a esso»; dunque è «il genere narrativo più importante che sia stato creato negli ultimi 100 anni».

Mi piace citare il paragrafo finale del libro ove Ada Barbaro recupera e abilmente ricontestualizza Dick: «Vale la pena osservare come, soprattutto per gli scritti più recenti della narrativa fantascientifica araba, gli autori e le autrici abbiano finalmente imparato a rispondere a quella missione che Philip Dick chiama di “scrittore responsabile”: “Se uno scrittore di SF attualmente rispecchia questo senso di rovina, fa esclusivamente il suo dovere di scrittore responsabile […] tutti gli scrittori responsabili sono stati, in certa varia misura, involontari profeti di sventura perché la sventura è nell’aria ma gli scrittori di SF ancora di più perché la SF è sempre stata un genere di denuncia».

E infatti la kuwaitiana Tibah Ahmad al-Ibrahim ha intitolato un romanzo «L’uomo sbiadito»… geniale perfidia che travestendosi da fantascienza aggira le censure. Il citato Tawfiq Al-Hakim fa dire a un viaggiatore nel tempo: «dopo 300 anni tutto è cambiato tranne la paura delle parole».

Se il tema vi intriga nel mio blog trovate 32mila battute invece di queste 2300, forse troppo sintetiche.

(*) Questa recensione è uscita sul numero di novembre della rivista «Cem mondialità»; in effetti l’autore (Dibbì… ma chi sarà?) ha scopiazzato il mio (cioè suo?) blog, ma lo posto qui per due ragioni: mi fa piacere riparlare (in sintesi) di questo ottimo libro; vi invito – soprattutto se lavorate nella scuola e nella formazione – a dare un’occhiata a una eccellente rivista che da 50 anni fa dell’educazione interculturale (con il contorno di pedagogie giocose) il suo punto di forza. (db)

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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