«Armageddon Rag» di George R. R. Martin

db su merda, rock, misteri, scrittura, America e Amerika

Il meglio del blog-bottega / 217…. andando a ritroso nel tempo (*)

A pagina 211 George R. R. Martin mi ricorda (proprio a me: nelle altre copie del libro la frase non è sottolineata con il pennarello fucsia): «Un giornalista deve stare attento ai propri preconcetti». Verissimo, grazie George. Ed è con questo spirito che io ho iniziato il tuo libro «Armageddon Rag» dimenticando che tu sei il re (o l’imperatore) del fantasy. D’altronde questo è un fantasy come io sono un cincillà: e ogni etologo può confermare che i cincillà non nutrono pregiudizi verso gli scrittori che si siglano con una doppia R dopo il primo nome.

Sto parlando di «Armageddon Rag» (traduzione di Benedetta Tavani: 480 pagine per 16,50 euri) edito da Gargoyle. Come spiega l’editore questo romanzo è «una sorta di meditazione sulla musica rock degli anni ‘60 e sulla cultura ad essa collegata». E nella quarta di copertina infatti si può leggere che Stephen King lo ritiene «Il miglior romanzo sulla cultura musicale pop dell’America degli anni Sessanta». Ma è un po’ riduttivo forse: parlando di rock, «Armageddon Rag» mostra gli Usa fra gli anni ’60 e ’70, una generazione che passa dai sogni più grandi a ritrovarsi… Richard Nixon al potere (cioè il peggiore degli incubi). Dunque non solo musica per importante che essa sia; e in quel periodo più centrale che mai.

Intorno a questo romanzo c’è un giallo (o mystery se preferite) che sconfina nel soprannaturale, con punte horror. Ma si lega benissimo con tutto il resto, è il motore dei ricordi. Ve lo consiglio. E ne racconto qualcosa.

Dopo una gioventù nel «movimento» e a fare il giornalista controcorrente, adesso (anni ’80) Sandy Blair fa lo scrittore senza troppa convinzione: si incazza con gli «elfi scribacchini» se non finiscono pagina 37 in sua assenza. All’improvviso si fa viva la sua vecchia rivista, ora imborghesita assai, cioè «Hedhehog» (Il porcospino) per dirgli che vuole un pezzo sul misterioso – e piuttosto horror – assassinio di Jamie Lynch, promoter dei Nazgul. Quel nome fa scattare 100 molle nel cervello di Sandy che, strada facendo, rammenterà che in un brano del gruppo rock si parla di «cavare il cuore dal petto a qualcuno», proprio quel che è accaduto con Lynch.

Da qui in avanti «Armageddon Rag» è un bel giallo “da paura” ma anche un commosso e non banale tuffo nel passato di Sandy e dell’altra America, quella che si opponeva all’Amerika (con la k del Ku Klux Klan).

Tutti pensano – e hanno un bel po’ ragione – che la musica fra gli anni ’60 e ’70 fosse «energia», che «rendesse migliori». Prima che i Nazgul si sciogliessero (dopo l’assassinio del frontman avvenuto durante un concerto) le loro canzoni erano «il nostro carburante, il nostro spirito». Ogni marcia, rivolta, gioia e tragedia all’epoca aveva il rock in sottofondo – ricorda uno dei protagonisti (per la verità c’erano anche jazz e folk) – perché «le canzoni toccano corde più profonde, più selvagge e più primordiali di quelle toccate dalle parole». E ancora: «il Movimento si muoveva seguendo il ritmo del rock, ci marciava, ci scopava, si ingrossava. Droghe, sesso, rock, rivoluzione, pace e libertà». Poi il rock è stato reso inerte (dal potere): «hanno trasformato l’acciaio in ovatta, giorno dopo giorno, soffocando il fuoco che avevamo dentro senza che ce ne rendessimo conto». Queste frasi – verso la metà del libro – hanno un fondo di verità ma in bocca a un potente pazzoide possono far pensare che qualcuno (qualcosa?) possa e voglia scatenare «le forze primordiali» o addirittura quell’Armageddon, la fine del mondo che è il titolo di un brano dei Nazgul (se vi state chiedendo dove avete sentito questo nome… confermo: è in Tolkien, un altro autore che ha una R. R. prima del cognome, sarà un caso?) e forse i dischi si “avverano” se qualcuno muove le sue pedine oppure basterà la “magia” di riunire sul palco i Nazgul sopravvissuti con un nuovo/vecchio frontman.

Indagando sui misteri legati a Nazgul, Sandy incontra amici e amiche, compagne e compagni di quel lontano passato. E’ importante tener presente che il romanzo è scritto – e pur vagamente ambientato – nel 1983 cioè nell’era di Reagan (anche se mi pare non venga citato) che fu “la continuazione di Nixon con altri mezzi”, cioè un altro incubo al potere. La domanda che Sandy pone a se stesso e a chiunque incontri è: «Cosa ci è successo?», dove siamo finiti? dove ci hanno sconfitti? «Volevamo cambiare questo mondo di merda, ricordi? Cazzo. E invece è il mondo di merda che ha cambiato noi». E se il concetto non fosse chiaro lo ripete qualche capitolo dopo: «Ora il mondo li riempie di merda come riempì di merda i loro genitori» Sono passaggi molto intensi e dolorosi che si intrecciano con la storia forse più terribile, quella del «macellaio»: la quale si apre a un esile «lieto fine» che però ovviamente non racconterò come non posso svelare – neppure accennare – alla soluzione dei molti misteri intorno ai Nazgul e al loro “resuscitare”.

Mescolando il massacro poliziesco di Chicago realmente accaduto – durante la convenzione dei Democratici – contro il movimento e la finzione, mettendo assieme il mondo concreto e il soprannaturale che sembra in agguato, Sandy affronta troppe verità insopportabili e sembra arrendersi. Poi ritrova la sua forza, la sua “droga” che è nello scrivere: «Le parole erano la sua unica difesa, la sua dipendenza, il mezzo attraverso il quale organizzava, razionalizzava, giustificava le sue azioni e le sue esperienze, il modo un cui dava senso al mondo, in cui la vita acquisiva il suo rozzo significato».

Un romanzo ricco di originalità, passioni, idee e senso della storia. A me è piaciuta più la prima parte ma credo sia per motivi strettamente personali. Ho avvertito nel finale qualche – conscio o inconscio? – senso di colpa (anche sulla «libertà sessuale») nell’autore ma forse sbaglio. In ogni caso è sorprendente che un testo così bello fosse inedito in Italia da 30 anni.

Ultima notazione personalissima (rivolta a chi abbia frequentato o frequenterà i miei laboratori di giornalismo o altro): il trucchetto a pagina 194 lo uso anche io perciò state accuorti guagliò che se vi becco con la testa fra le nuvole…

(*) Anche quest’anno la “bottega” ha recuperato alcuni vecchi post che a rileggerli, anni dopo, sono sembrati interessanti. Il motivo? Un po’ perché oltre 17mila e 700 articoli (avete letto bene: 17 mila e 700) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto di ritrovare semi, ponti, pensieri perduti… in qualche caso accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – lo speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. [db]

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

Un commento

  • Bellissimo pezzo, andando ancora più a ritroso nel tempo mi ha ricordato la frase di William Golding: “L’uomo produce il male come le api producono il miele”. I suoi eroi, quei ragazzi che dispersi su un’isola avevano vissuto sulla loro pelle la sconfitta della civiltà, della ragione, della giustizia, della consapevolezza di essere uomini… dal suo capolavoro, Il signore delle mosche, questa frase: ““Gli sgorgarono le lacrime e fu scosso da singhiozzi. Per la prima volta da quando era sull’isola si abbandonò al pianto, a un grande spasimo di dolore che lo scuoteva tutto. Il suo pianto risuonava sotto il fumo nero, davanti all’incendio che distruggeva l’isola, e presi dalla stessa commozione anche gli altri bambini cominciarono a singhiozzare. In mezzo a loro, Ralph piangeva per la fine dell’innocenza, la durezza del cuore umano, e la caduta nel vuoto del vero amico, l’amico saggio chiamato Piggy”.

Rispondi a Diego Rossi Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *