Arrivano i cinesi, arrivano scrivendo

di Gian Filippo Pizzo

Riflessioni intorno a «L’eterno addio» di Chen Qiufan

Sembrerebbero essere passati molti decenni da quando, nel 2006, Urania pubblicava la prima antologia italiana dedicata alla fantascienza cinese, L’onda misteriosa. La science fiction è sempre stata considerata un genere angloamericano, anche dagli stessi appassionati, e se nel corso del tempo erano apparse opere tedesche, francesi o russe, queste non avevano lasciato il segno. Per non dire degli stessi italiani, tutt’oggi negletti sebbene specie negli ultimi anni abbiano dimostrato di non avere nulla da invidiare agli stranieri, anzi. L’antologia cinese fu dunque vista come una semplice curiosità, una piccola deviazione da quello che era il normale cursus della pubblicazione mondadoriana. E, in effetti, non c’erano particolari novità in quella raccolta: linguaggio scarno ed essenziale, simile a quello consueto degli autori americani, idee non particolarmente brillanti basate su temi ormai standardizzati quali il rapporto di un uomo con la moglie robot, la fine del mondo, la trasformazione fisiologica dell’uomo in conseguenza di nuove tecnologie, tutto inserito in un’ambientazione abbastanza tradizionale. L’unica cosa da sottolineare era la critica, a volte velata, altre più esplicita, alla società cinese. Basta leggere la definizione di fantascienza sul dizionario enciclopedico della lingua cinese (Ci hai, 1979), riportata dal curatore Wu Dingbo nella sua introduzione – «Narrativa fantastica sugli sforzi del genere umano di operare meraviglie con l’applicazione di nuove scoperte, nuove conquiste e previsioni plausibili nel campo della scienza» – per capire quanto la produzione cinese di genere di allora (l’edizione statunitense dell’antologia era del 1989) fosse ancorata a concetti e stilemi ormai sorpassati.

Ma di acqua sotto i ponti (ovviamente del Fiume Giallo) da allora ne è passata parecchia e la situazione è completamente mutata e costituisce un graditissima sorpresa. La fantascienza cinese esiste ed è veramente notevole: moderna, impegnata, esistenziale, estremamente interessante. Autori come Chen Quifan, Xia Jia, Wu Yan, Zhang Ran e Ken Liu sono validissimi, per non dire di Liu Cixin, che con il suo romanzo Il problema dei tre corpi è stato il primo orientale a vincere – nel 2015 – il Premio Hugo, l’Oscar della fantascienza. Grazie alla collana Future Fiction di Mincione Editore diretta da Francesco Verso, particolarmente orientata alla scoperta di opere di SF non anglosassone, di questi autori cinesi possiamo conoscerne più di uno, a partire dalle antologie Nebula e Sinosfera.

Oggi ci occupiamo di L’eterno addio di Chen Qiufan, recentemente venuto in Italia come ospite del Pisa Book Festival: è un giovane scrittore cantonese (nato nel Guangdong nel 1987) laureato a Pechino in cinema e letteratura cinesi ma con alle spalle una decennale carriera di esperto in informatica, nuove tecnologie e comunicazione presso le multinazionali Baidu e Google, attività che sono manifestamente alla base della sua narrativa e che gli hanno fornito più di uno spunto. La narrativa di Chen Qiufan, pluripremiato in patria, colpisce sotto più aspetti. Lo stile è descrittivo ma fluido, essenziale in alcune parti e lirico in altre, con dialoghi chiari ed esplicativi. I personaggi sono estremamente realistici, ben delineati nelle loro diverse caratteristiche. I temi affrontati sono quelli dell’uomo moderno, dalla fatica di vivere all’alienazione sociale, ma inseriti in quel contesto ibrido che è la società cinese contemporanea, sempre in bilico fra tradizionalismo e modernità. Cosi nelle sue pagine affiorano lo zen e il buddhismo, Confucio e Lao Tse, assieme a Wittgenstein, Kant e Nietsche; la realtà virtuale e quella reale dei sobborghi e delle metropoli; la vita di tutti i giorni, con il lavoro necessario quanto massacrante, confusa fra tradizione e nuove tecnologie. Nella quarta di copertina si enucleano le sinossi di tre racconti («Cosa succederebbe a un consulente di marketing aziendale se riuscisse a trovare la strategia perfetta per lanciare l’applicazione di maggior successo di sempre, la fantomatica Buddhagram? E cosa si cela dietro i movimenti sinuosi dei misteriosi pesci di Lijiang, un paesino dove tanti professionisti finiscono per disintossicarsi dai ritmi disumani del lavoro? E infine, che cosa resterà dei ricordi di Xiaochu, dell’ultimo addio detto a sua moglie, nel momento in cui si sottoporrà a un esperimento di fusione mentale con una forma di vita aliena che abita i fondali marini, un verme sconosciuto ma dall’esistenza straordinaria?») ma gli altri cinque non sono meno concettualmente impegnativi né meno gradevoli da leggere. Se la fantascienza è – come riteniamo da sempre – un genere narrativo iper realistico, perché proietta nel futuro o su un altro pianeta i problemi del nostro presente, Chen Qiufan fa addirittura un passo in più e si concentra su quella che potremmo chiamare (mutuando un termine dall’informatica) “realtà aumentata”, raccontandoci delle evoluzioni possibili riguardo ai problemi dell’inquinamento, delle differenze sociali, dello sviluppo di nuove tecnologie e di software e app, del controllo delle informazioni. Non a caso in una recente intervista ha dichiarato: «La scienza è la nuova religione, adesso, anche se non molti di noi comprendono come funzioni. È molto simile all’epoca precedente all’Illuminismo, solo che agli Dei e ai Papi si sono sostituiti le intelligenze artificiali, la fisica quantistica, l’editing genetico e gli scienziati. Senza la diffidenza e il raziocinio, le persone diventano cieche e credulone, per questo è importante essere sempre scettici e curiosi, e non dare mai niente per scontato. Mai».
Un ottimo motivo per leggerlo.

Redazione
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