Arte e scienza s’incontrano…

… faranno amicizia?

di Ignazio Sanna (*)     Il punto di intersezione tra arte e scienza non è rintracciabile su un piano cartesiano. Proviamo allora  ad aggiungere una terza dimensione, la profondità. Di questi tempi averne a disposizione non è poco, ma ancora non basta. Aggiungiamone allora una quarta e avremo finalmente ottenuto il punto d’intersezione ideale tra la teoria della relatività di Einstein e lo spazio scenico teatrale. Il nome di questa quarta dimensione è: Tempo. Il tempo è ciò che scorre in modo lineare, diciamo tra l’inizio della vita, la nascita, e la sua fine, la morte. Ma è anche una dimensione esistenziale nella quale il cervello umano produce, riceve, filtra, elabora una quantità indicibile di collegamenti sinaptici, pensieri, atti volitivi.

Per una felice congiunzione astrale, o se si preferisce per una efficace coincidenza di atti organizzativi, si è materializzata a Cagliari presso lo Spazio Riverrun di via Giardini una serie di incontri denominati collettivamente “Dialoghi della Creanza”. Ho avuto la buona sorte di partecipare a quello chiamato “La scienza relativa: il confine tra scienza e arte”, che ha visto Renzo Francabandera e Lorenzo Mori interagire live con il pubblico presente e in videoconferenza con Marco Ivaldi e Lorenzo Bazzocchi. Oggetto delle interazioni alcuni aspetti del rapporto tra le arti e le scienze. Arguto l’intervento ricreativo, a metà serata, del giocoliere di strada (giuro che non è un insulto) Pietro Olla, che ha messo a dura prova riflessi e cognizioni scientifiche di base degli intervenuti.

Lorenzo Mori, drammaturgo e regista della compagnia Riverrun, ha curato la regia del progetto, che descrive in questi termini: “Il ritmo di questi incontri verrà scandito da un “promotore” che proporrà in prima istanza contenuti e scansioni dei dialoghi e delle opere d’arte secondo un disegno indisciplinato neanche a lui interamente noto. Le linee di fuga e i tracciati scaturenti in risposta costituiranno il modo in cui il tema iniziale muoverà verso variazioni polisemiche e ritmiche”.

Renzo Francabandera è un artista visivo e critico teatrale, che in quest’occasione ha “provato a introdurre il tema della complessità della percezione e della macchina cerebrale”, per dirla con le sue parole, a partire dal fenomeno dell’illusione ottica applicato all’arte. Dopo alcuni brevi estratti cinematografici, da “A Beautiful Mind” (2001) di Ron Howard e “Frankenstein Junior” (1974) di Mel Brooks, rispettivamente film biografico sul matematico e premio Nobel J. F. Nash e parodia del “Frankenstein” di Mary Shelley (o meglio della famosa trasposizione cinematografica del 1933 firmata da James Whale, con Boris Karloff nella parte del mostro), l’attenzione dei presenti si è concentrata su un brano da “Nikola Tesla. Lectures” del Masque Teatro di Lorenzo Bazzocchi: http://www.masque.it/NikolaTesla-Lectures/NIKOLATESLA.LECTURES.html.

Per Tesla la corrente è un’onda elettromagnetica, e i suoi esperimenti dimostrano che l’energia elettrica può viaggiare anche senza cavi, wireless, come si dice con diffuso anglismo.

Marco Ivaldi è un giovane studioso torinese di neuroscienze, esperto in teorie del movimento, che ha parlato di alcuni aspetti dell’interazione uomo-macchina, a partire da concetti quali reti neuronali e attività elettrica cerebrale. In buona sostanza ha solleticato la fantasia dell’uditorio evocando inattese connessioni tra teatro, poesia contemporanea e medicina tradizionale.

L’esperimento di psicologia sociale condotto da Stanley Milgram nel 1961 (http://www.youtube.com/watch?v=fCVlI-_4GZQ&list=FLi6Al923yil86ar7btGsdXg), che ha trovato spazio nella scaletta della serata, è un esempio poco rassicurante della tendenza umana ad agire in base a algoritmi che non tengono conto del risvolto morale delle conseguenze delle proprie azioni. L’idea di condurre l’esperimento nasce dal processo al criminale nazista Adolf Eichmann, dal quale deriva il saggio di Hanna Arendt intitolato “La banalità del male” (1963), nel quale la filosofa ebrea tedesca s‘interrogava su come fosse stato possibile che milioni di persone avessero contribuito a portare avanti l’assurdo progetto nazista di sterminio degli ebrei a dispetto della sua disumana mostruosità.

Infine, onde evitare la tradizione italica che vede spesso le cose concludersi ‘a tarallucci e vino’, si è pensato bene di congedare gli intervenuti (di persona) con un po’ di pecorino e salsiccia. Col vino, sì, ma senza tarallucci.

Ignazio Sanna

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