Avanti pop alla riscoop

Un’intervista ad Andrea Satta (*)

Lao è il figlio di Andrea Satta: va spesso ai suoi concerti, conosce bene «Padrone mio» e «La leva»… 6 anni e idee chiare, spiega al padre che «con 27 gradi non bisogna uscire, troppo caldo». Forse è anche per dare retta a Lao che in questo afoso luglio Andrea Satta è andato al Tour de France ma girando soprattutto di notte, per raccontare il lavoro dei «transennisti», quegli operai cioè che rendono possibile le gare. Il lavoro invisibile messo in luce. Un po’ come ha fatto – con i suoi Tetes de Bois – suonando e girando l’Italia su un vecchio camion per raccogliere storie di lavoro, lotte, ingiustizie: un progetto che ha vinto la targa Tenco 2007 e che adesso è un libro-dvd, «Avanti pop, i diari del camioncino» (184 pagine per 15 euri) edito da il manifesto. E’ curioso ma 7 degli 8 video che arricchiscono il libro non erano in programma, sono stati realizzati dal “pubblico”. Un lavoro di ricerca che qualche giornalista ha paragonato alle grandi indagine etnografiche di Ernesto De Martino e Diego Carpitella. «Sarà» ridacchia Satta «ma loro avevano l’appoggio della Rai, noi solamente un vecchio camion e un po’ di amici».

Digitando su Google il suo nome oplà, salta su un tipo a dire «sono di Scientology»; così l’Andrea Satta dei Tetes de Bois molto spesso deve chiarire che no, lui non c’entra.

Con ogni evidenza a Satta piace stare su un palco: dialoga con il pubblico, scherza con i tecnici, ha persino qualche vezzo (cappelli e zuccotti sempre diversi) delle star. A differenza di molti artisti però a lui piace ascoltare. Proprio come quando si mette al collo lo stetoscopio.

La tua professione preferita è pediatra o artista?

«Entrambe e me le tengo strette. Io amo moltissimo il rapporto con i bambini e in generale con le persone ma sono anche un musicista. All’inizio cantavo in un coro di musica antica. Poi incontro per caso, un annuncio nientemeno, Angelo Pelini: così iniziamo a scrivere canzoni, prende forma l’idea d’un gruppo».

Nome francese e un amore in comune, Leo Ferrè.

«Un po’ alla volte prendono forma i Tetes de Bois. Il primo concerto il 15 febbraio ’92 a Roma sotto la statua che ricorda Giordano Bruno, cercando di catturare l’attenzione di chi passa: dura solo 45 minuti, è il tempo del gruppo elettrogeno che ci presta il papà di Angelo, musicista e idraulico».

Anche allora un camion, vero?

«Sì, mi piacciono questi bisonti della strada. Ma forse amo ancora di più i tram: un groviglio di binari e di fili che dà identità a una via, a porzioni di cielo. Mi affascinano sin da bambino, sono nato a Roma di fronte a porta Maggiore dove c’è un capolinea».

Poi la solita trafila?

«Inizi difficili. Ricordo che nel ‘92 siamo in un locale dove entra poca gente. Così quando vediamo dai vetri passare qualche ombra attacchiamo a suonare, invitando a entrare. Fu lì che conosciamo Luca De Carlo, trombettista del gruppo: accade una sera che non entra neppure un cane. Non ci pagano e anche Luca rinuncia ai soldi promessi, accetta una pizza riparatrice, così diventiamo amici».

Già allora contaminavate la musica con altro?

«Sì, da un lato veniamo ingaggiati dalla Emi nel ’97 e poi, in rapida successione, andiamo al premio Recanati e al Tenco. Ma dall’altra parte nasce un progetto teatrale, “Buongiorno Arturo”: leggiamo racconti sulle difficoltà di comunicare quando si esce per andare al lavoro: inventiamo una scenografia con mille vecchie cassette di frutta, divertente ma faticoso».

«E poi all’improvviso guardare più lontano» dice una vostra canzone, su testo di Rimbaud e musica di Ferrè: è il primo successo?

«E’ una storia buffa. Dobbiamo fare un cd con Daniele Silvestri e così vado a casa di Maria Cristina, la moglie di Leo, per chiederle qualche inedito e lei rilancia: “perché non fate un cd in italiano, tutto con canzoni di Leo?”. Alla fine… va così e Daniele Silvestri diviene nostro ospite, appunto con “Non si può essere seri a 17 anni”. Vinciamo il premio Tenco, vendiamo 20 mila copie ma quel che più ci importa aiutiamo un pubblico giovane a conoscere il grande Leo Ferrè. Io lo avevo scoperto da bambino: mio padre era professore di francese e lo ascoltavo con lui. Da quel cd inizia un rapporto, che dura tuttora, con le edizioni de il manifesto che, mi raccomando, devi scrivere minuscolo perché loro ci tengono».

Ferrè fu il primo vincitore del Tenco…

«Sì e quando tocca a me, lo ricevo proprio dalle mani di Maria Cristina, sua moglie. Sono rari i casi in cui resto senza parole ma questa è davvero una emozione impossibile da raccontare».

Come nasce il progetto Avanti Pop.

«A me, a tutti noi Tetes de Bois piace ascoltare le persone, è l’unico modo per crescere, arricchirsi. E invece nessuno sta più a sentire. Noi volevamo sapere di più del mondo operaio, declassato e ignorato. Ci chiedevamo: cosa accade nelle periferie italiane di cui la tv parla solamente una volta l’anno se c’è un “delitto efferato”? Avevamo un camion e così decidiamo di andare nei posti di lavoro, in cerca di storie: suonare e approfittare per fare domande. Pensavamo sarebbe stato difficile. Ma fin dalla prima tappa – Melfi – va tutto bene. Molte persone hanno voglia di raccontare le loro vite. Non è come l’iceberg con la piccola parte emersa e il resto sotto. Qui spesso è tutto nascosto, che si tratti dell’amianto che uccide o degli stagionali stranieri che vivono come fossero schiavi. Chi si ricorda delle miniere? Oppure di Rocco Gatto, un mugnaio ucciso a Gioiosa Ionica perchè non si voleva fare “i cazzi suoi” cioè lottava contro l’ingiustizia? Fu assassinato il 12 marzo 1977, il giorno dopo la morte a Bologna di Francesco Lo Russo ma la mafia era riuscita a far cadere il silenzio sul suo delitto».

Andate in giro nelle periferie ma se capita fate una comparsata pure a Sanremo: non c’è contraddizione?

«No, se ogni tanto facciamo qualche incursione nel sistema degli show è per avere quel minimo di nome che ti consente di andare in periferia e trovare qualcuna/o con cui parlare perché ti ha già sentito nominare. E in questo ci aiutano tanti amici, da Paolo Rossi a Nada a tutti gli altri. Suonare può essere un momento più semplice, seduci il pubblico: un passe-partout per poi radunare gente intorno a un tavolo e finalmente… ascoltare».

Il risultato dipende più dai luoghi o dalle persone?

«Siamo andati in cerca di racconti significativi dove pensavamo di trovarli ma è anche per caso che si incontrano, o si perdono, certe storie. In alcuni casi la Cgil ci ha dato una mano, in altri è stata assente, per esempio in Emilia-Romagna: sarà un caso oppure in questa regione va tutto bene? Non c’è proprio nulla da raccontare magari sulle lunghe lotte per conquistare una dignità che oggi tanti lavoratori hanno di nuovo perso? Eppure a Borgo Tossignano, nelle valli del Gesso, dove siamo arrivati per un contatto personale, abbiamo trovato vicende importanti che poi sono finite nel libro-dvd. In linea generale noi collaboriamo con tutti ma restando autonomi».

Tornerete in ognuna delle 20 tappe di “Avanti pop”?

«Lo abbiamo promesso e lo stiamo già facendo. Un giro per restituire quel che ci è stato dato e per raccontare le storie, gli eroismi, le ingiustizie di altri luoghi dimenticati».

Il Tour de France come salta fuori?

«Nei nostri sogni c’è un disco sulle biciclette, in collaborazione con un caro amico, Gianni Mura. Io sono appassionato e anche abbastanza competente di ciclismo ma lui mi ha suggerito di vedere un Tour insieme: così ho pensato di cercare anche qui il lavoro invisibile, quello dei transennisti. Nel frattempo il manifesto ha deciso di nominarmi “inviato” per seguire qualche tappa di montagna».

Prossimo palco per i Tetes de Bois?

«Il 19 luglio a Roma, per la rassegna “I concerti nel parco” a Villa Pamphili. Una serata per le vittime di tutte le mafie realizzata in collaborazione con Libera di don Ciotti. Il 19 luglio di quindici anni fa Paolo Borsellino e la sua scorta venivano uccisi. A loro, a Peppino Impastato di cui quest’anno ricorre il trentennale dell’assassinio e a Rocco Gatto ucciso dalla ‘ndrangheta a Gioiosa Ionica,  dedichiamo questa particolare tappa di Avanti Pop. Sul palco ospiteremo Marco Paolini, le vignette di Sergio Staino e le visioni su sabbia di Licio Esposito».

Un ultimo consiglio. Oltre al libro-dvd, i Tetes de Bois hanno inventato una maglietta Avanti Pop (con tanto di piccolo camioncino stilizzato) che merita di essere indossata. Si leggono una ventina di domande che si intrecciano e mescolano in rosso su sfondo nero. Le ultime frasi sono queste: «perché uomini con uomini e donne con donne è peccato?», «perché la gente lo andasse a vedere stozzato in piazza?», «e quelli che sono morti perché traditi dall’amore?», «quelli che sono morti perché allergici alla polvere? (da sparo)» e infine «perché non hanno capito neanche dopo la guerra? (di Piero)». E allora, come recita il titolo della maglietta: «Avanti pop alla riscoop bandiera rock»

(*) Questa mia intervista è stata pubblicata, il 18 luglio 2008, sul quotidiano «Liberazione» (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • Andrea ed i Tetes de bois son venuti gratis due anni fa (circa ottobre 2010)a suonare a Frosinone in Memoria e Ricordo di Angelino Casile Muchi e gli altri tre Compagni Anarchici assassinati sull’autostrada dagli sgherri di junio valerio borghese. UMANI SPLENDIDI, MUSICISTI FANTASTICI.

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