Bambine pericolose alle frontiere della Grecia

(foto ripresa da qui)

Dopo aver chiuso gli occhi per anni su quanto accadeva nell’Egeo, adesso Bruxelles si sveglia e si accorge che anche quelle greche sono frontiere europee. E si muove per blindarle, stanziando 700 milioni di euro alla Grecia in aiuti umanitari ma anche annunciando l’invio di navi, aerei ed elicotteri insieme a 100 guardie di frontiera da schierare lungo i confini terrestri e marittimi del Paese…

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Epidemia e profughi siriani sull’Europa sta per abbattersi la tempesta perfetta – Paolo Soldini

Si prepara sull’Europa la tempesta perfetta. Provate solo ad immaginare che cosa si scatenerebbe nell’opinione pubblica già stordita dal panico per la diffusione dell’epidemia se si dovesse sapere che fra le decine di migliaia di disperati che stanno cercando di entrare in Grecia c’è qualche caso di contagio da virus corona. È tutt’altro che inverosimile e non dev’essere necessariamente vero: da qualche parte nei meandri della Rete, quasi certamente qualcuno lo ha scritto o lo scriverà. O qualche salvini lo dirà, se non l’ha già fatto, in un comizio.  Non c’è da farsi illusioni: l’invasione dei killer invisibili e quella dei visibilissimi uomini, donne e bambini (tanti bambini, come non se n’erano visti prima) spinti brutalmente dai turchi verso il filo spinato, le bastonate, i colpi di fucili dei poliziotti greci fanno già un tutt’uno nell’immaginario collettivo. Sono, l’uno e l’altro, il segnale di un fallimento epocale. L’Europa affonda nella paura, negli egoismi, nell’insipienza. Il disastro della sua incompletezza.

Sotto gli occhi di Frontex

Abbiamo visto un canotto stracarico di persone allontanato a forza dai militari che avrebbe dovuto trarlo in salvo, un altro rovesciato dall’onda di una motovedetta lanciata a tutta velocità. Un bambino è affogato e i greci accusano i turchi e i turchi accusano i greci. Se ci fosse un giudizio in tribunale (una Corte internazionale ci sarebbe pure ma crediamo proprio che nessuno finirà al cospetto dei giudici) verrebbero condannati gli uni e gli altri.

Abbiamo visto spari sull’acqua per impedire ai profughi di gettarsi in mare. Non erano le bande degli aguzzini delle milizie libiche travestiti da guardie a recitare la propria parte in questa tragedia. Erano, sono le forze dell’ordine di uno stato dell’Unione europea, cioè della comunità di cui condivide, sulla carta, i valori, i princìpi e le tutele dei diritti umani. E i militari che sono sul campo, da una parte e dall’altra: quelli che cacciano e quelli che respingono, obbediscono agli ordini dei comandi della nostra stessa alleanza, la NATO. Dovrebbero dar conto delle loro azioni al comandante supremo militare, che è un americano, al Segretario Generale, che è un norvegese, al Consiglio, nel quale ci siamo anche noi.

Abbiamo visto i poliziotti sparare lacrimogeni e pallottole di gomma sulle famiglie, mitra spianati, bambine e bambini stretti al petto delle madri lottare per respirare. Sono le scene forse più dure da quando è cominciata la tragedia collettiva che abbiamo chiamato la “rotta balcanica” e che ora si sta riproponendo in condizioni ancora più difficili. E stavolta tutto è avvenuto, avviene, sotto gli occhi dei funzionari di Frontex, l’agenzia europea che dovrebbe vigilare sulla sicurezza delle frontiere esterne dell’Unione.

Sicurezza? Vigilare? I soldati olandesi del contingente dell’ONU che assisté senza intervenire al massacro di Srebenica, nel 1995, furono almeno duramente criticati dai media e gli ufficiali che li comandavano non fecero carriera. Ma se qualcuno chiederà conto della loro inerzia agli uomini di Frontex si sentirà rispondere che loro non sono l’ONU, che il loro compito era un altro, che voltarsi dall’altra parte era l’unica cosa che potevano fare. L’ignavia sancita dalla legge.

Scene da pogrom

Abbiamo visto scene da pogrom. Esagitati fascisti con il volto coperto picchiare profughi, volontari delle ONG e giornalisti troppo scrupolosi a voler descrivere quello che vedono. Ma anche abitanti dell’isola di Lesbo, esasperati perché da quattro anni ormai sono stati lasciati soli a fronteggiare l’emergenza, inscenare proteste violente e cercare di impedire gli sbarchi. Un inquietante anticipo di quello che succederà lungo tutta la rotta balcanica: dalla Bulgaria alla Serbia alla Croazia all’Ungheria all’Austria alla Germania, o alla frontiera nordorientale dell’Italia. Le immagini dei fili spinati messi su di corsa, dei campi trasformati in prigioni, del cibo negato ai profughi, delle botte, delle cariche della polizia, delle ronde di volontari con le mazze ferrate, le pistole e le radio collegate con la polizia le abbiamo ancora negli occhi…Quattro anni fa un grosso aiuto venne dal coraggio di Angela Merkel che, forzando la mano alla sua pubblica opinione, decise di accogliere un milione di siriani. Oggi – non illudiamoci – non esistono più le condizioni politiche per la generosità.

Poi abbiamo visto i presidenti della Commissione europea, dell’Europarlamento e del Consiglio andare in Grecia e sorvolare con il capo del governo di Atene Kyriakos Mitsotakis le zone di confine dove sono ammassatri i profughi siriani. C’è da sperare che Ursula von der Leyen, David Sassoli e Charles Michel abbiano spiegato bene a Mitsotakis che la loro è tutt’altro che “un’importante manifestazione di sostegno alla Grecia” nel momento in cui Atene “sta difendendo le frontiere dell’Unione europea con successo”, come lui aveva avuto l’impudenza di dichiarare annunciando la visita. E che gli abbiano ricordato con la necessaria fermezza che la Grecia è tenuta a rispettare i diritti umani com’è scritto nella costituzione europea (oltre che in quella greca) e in tutti i documenti ufficiali e che i Trattati dell’Unione prevedono sanzioni per i paesi che non lo fanno. Carta straccia?

E magari si ricordassero anche che tutti e tre i paesi da cui provengono sono nella NATO, alleati militari della Turchia che prima con l’intervento militare in Siria e poi aprendo le frontiere con un ricatto dichiarato da Erdoğan e rivenduto ai propri compatrioti come una “furbizia” consumata ai danni di quelli di Bruxelles ha creato il disastro umanitario. Non era truculenta e non muoveva le anime allo sdegno, ma una delle immagini più tristi che abbiamo visto, in tempi recenti, è stata quella dell’incontro del leader turco con Stoltenberg, quando questi in ottobre andò ad esprimergli “comprensione” per la guerra ai curdi, chiedendogli solo un po’ di “moderazione” nelle operazioni dell’invasione del nord della Siria. Che, almeno, una scena simile non si ripeta.

L’impotenza di Bruxelles

L’analisi di quello che sta accadendo è semplice: il regime turco per ricattare l’Europa sta usando l’arma che l’Europa gli ha messo in mano, pagando sei miliardi di euro perché si tenesse i profughi siriani in casa, anche quelli che ora sta provocando proprio Ankara con la sua guerra a Idlib. Era prevedibile che una cosa del genere potesse succedere, come a suo tempo era successo anche con Gheddafi in Libia. Ma in questo caso non si ha a che fare con il dittatore di uno stato in fondo marginale, ma con una potenza regionale che ha il secondo esercito della NATO e persegue, dal Mediterraneo al Caucaso, interessi contrapposti a quelli dell’Europa.

L’analisi è semplice, ma le conseguenze da trarne non lo sono affatto. Mai come nelle tristissime contingenze che stiamo vivendo l’Europa è apparsa tanto impotente. Sull’epidemia non è stata capace di organizzare e coordinare una risposta comune e ogni paese ha fatto per sé, ma, peggio, le istituzioni di Bruxelles non hanno saputo neppure creare le condizioni di una risposta sul piano dello spirito pubblico, se non con qualche fatua riunione di ministri. Sulla nuova ondata di profughi l’Unione sembra rassegnata ad avallare, esplicitamente o con il silenzio, le misure che paura e corrività per gli istinti diffusi detteranno ai singoli stati: ora la Grecia e la Bulgaria e poi, via via, tutti gli altri a risalire il fiume dei profughi verso il nord.

Ora le due emergenze precipitano l’una nell’altra e c’è davvero da avere paura.  Si potrebbe, almeno, richiamare il governo ultraconservatore di Atene al rispetto di un minimo di civiltà verso i profughi richiamando l’articolo 6 del Trattato che prevede sanzioni per gli stati che non rispettino i diritti fondamentali costitutivi dell’Unione. Si potrebbero interrompere i finanziamenti alla Turchia. Sarebbe il minimo.

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Sul confine tra Turchia e Grecia. La guerra dell’Europa agli emigranti

Da giorni, ai confini di terra e di mare tra Turchia e Grecia, è in atto un altro capitolo della guerra dell’Unione Europea e dell’Italia agli emigranti dal Medio Oriente e dall’Africa.

Delle brutalità e infamie di questa guerra ci arriva solo qualche frammento: sappiamo di due ragazzi uccisi negli ultimi giorni dalla polizia greca, di un bambino morto a Lesbo; sappiamo di attacchi omicidi in mare di questa stessa polizia alle povere imbarcazioni degli emigranti a rischio di affondarle; sappiamo di spedizioni punitive contro di loro (e contro qualche giornalista testimone scomodo) organizzate dai fascisti di Alba Dorata, forza di complemento degli apparati democratici; sappiamo di un clima di intimidazione e repressione estremo nei campi profughi e attorno ad essi, che sta portando a respingimenti di massa di siriani, afghani, pakistani, e altri profughi di guerra, in violazione non solo del diritto internazionale (la cosa non ci sorprende affatto), ma anche delle norme non scritte del “diritto del mare” prodotto dai pescatori e dai marinai.

Saviano ed altri concentrano le loro denunce contro il “criminale Erdogan”, che cinicamente gioca il destino e la vita di centinaia di migliaia di profughi medio-orientali sul tavolo della spartizione della Libia. Ma, senza abbonare nulla ad Erdogan e al carattere reazionario delle velleità e delle manovre militari turche in Libia, in Siria, in Kurdistan, massima – è per noi – la criminalità dell’Unione europea e – in essa – dell’Italia del governo Conte bis e della sua opposizione di destra, pienamente solidali in questo genere di crimini anti-proletari. L’ex-ministro della difesa tedesca e attuale presidente della Commissione europea Ursula van der Leyen, in visita al confine greco-turco, ha predicato ieri  “sangue freddo” (il sangue freddo dei killer di professione) e proclamato la Grecia “scudo” dell’Unione europea contro le minacciose orde dei barbari alle porte, fuggitivi dalle guerre e dai disastri generati anche dall’Unione europea. E, insieme a medici, equipaggiamenti, tende, etc., ha assicurato alla Grecia ciò che più conta in queste faccende: sei pattugliatori costieri, due elicotteri, un aereo, imbarcazioni off-shore e almeno altre cento guardie di frontiera. In tempi di vacche magre anche per il bilancio europeo, i fondi per aumentare le dotazioni di Frontex, la polizia di frontiera, non mancano mai. Le priorità restano priorità, e questa guerra agli emigranti/immigrati che ha fatto in vent’anni almeno 30.000 morti nel Mediterraneo e il doppio nel Sahara, è una delle priorità intoccabili del capitale europeo non solo e non tanto come arma di distrazione di massa, quanto per comprimere indefinitamente il valore della forza  lavoro e spaccare il fronte dei lavoratori lungo linee nazionali e “razziali”.

Per parte nostra, troviamo di una sconcertante ingenuità o di un irriducibile conformismo legalitario quanti, pur denunciando questa catena di orrori, continuano a nutrire speranze in un cambio di rotta della Unione europea, o – almeno – di un’azione di interdizione a questa guerra da parte del parlamento europeo, del Consiglio di Europa, della Corte europea dei diritti dell’uomo, della Corte di Giustizia UE del Lussemburgo, della Corte penale internazionale, o vagheggiano un ruolo improvvisamente “umanitario” di Frontex o puntano sull’apertura di striminziti corridoi umanitari che non risolvono se non casi individuali e beneficiano più i loro padrini che i pochissimi richiedenti asilo coinvolti. La politica UE/italiana della esternalizzazione delle frontiere e del terrore contro gli emigranti per addomesticarli prima del loro ingresso in Italia e in Europa, non potrà essere battuta dall’invocazione di articoli delle convenzioni internazionali, che sono carta straccia per i loro stessi estensori; potrà essere battuta solo dalla lotta unitaria degli emigranti e dei proletari e militanti autoctoni pronti a battersi al loro fianco.

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Redazione
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3 commenti

  • Ettore Fasciano

    Inoltro per “completare” il quadro, per chiarezza…. Certo questo secolo non si può dre che si prospetti migliore del precedente “secolo terribile” di due guerre mondiali…. La domanda che ci dovremmo porre è se questo che inizia così, sarà “degno figlio” del precedente. Purtroppo.
    Circa il precedente c’è stato la pssibilità di scagliarci contro i “Padri” del male, come Hitler.
    Ora quanti “suoi figli” ne hanno raccolto l’eredità ??!!

    Sia chiaro che … i profughi che tentano oggi
    di attraversare il confine greco (e bulgaro)
    NON hanno nulla a che vedere con i profughi siriani di Idlib
    che fuggono i bombardamenti di questi giorni.

    Tra il confine turco-siriano (sud Turchia) dov’è Idlib
    e quello turco-greco (estremo nord-est turco / isola di Lesbo Grecia)
    c’è la distanza tra Milano e Reggio Calabria !

    I rifugiati ai quali Erdogan sta aprendo i recinti ad est
    (non tutti siriani, ma genericamente mediorientali),
    sono quelli che già deteneva dal 2016
    con gli accordi dei 6 miliardi di €, con l’Europa.

    Con questa provocazione Erdogan non vuole altri soldi,
    ma che l’Unione Europea — e possibilmente gli USA
    e possibilmente la NATO, non disdegnando la Russia … —
    lo sostengano nel suo disegno di ricacciare
    i siriani, i curdi e gli ostili a lui
    all’interno della Siria
    per sgomberare una fetta di confine
    e potersi liberare così del frittomisto,
    attualmente ospite nei campi turchi
    (oltre 3,5 milioni di rifugiati,
    pari a quasi al 4,5%
    della popolazione
    turca).

  • domenico stimolo

    Idlib e confine greco-turco: uno scempio

    Dichiarazione della Presidente nazionale Anpi Carla Nespolo, sui fatti di Idlib e del confine greco-turco – 6 marzo
    “Quello che sta succedendo ad Idlib, città siriana, e al confine greco-turco è una indicibile vergogna mondiale, un atto di lesa umanità. L’intera responsabilità politica e morale – ha dichiarato la Presidente nazionale Anpi Carla Nespolo – ricade sul presidente turco Erdogan, che ha invaso e occupato il territorio della Siria cacciandone i curdi, e ha aperto le frontiere verso la Grecia, cioè verso l’Europa, sollecitando la migrazione di decine di migliaia di civili siriani stremati dalla guerra. Fra gli altri, ne fanno le spese i bambini che muoiono di freddo, di bombe e di ogni altra forma di violenza. Erdogan sta perseguendo cinicamente un sogno neoimperiale e dimostra a tutti lo scempio a cui porta il moderno nazionalismo. Altro che ingresso della Turchia nell’UE! Si alzi finalmente unita la voce dell’UE che non può e non deve accettare il nuovo ricatto di Erdogan, ma può e deve accettare di accogliere chi fugge dalla guerra, dalle sofferenze, dalla morte. Il governo italiano intervenga immediatamente presso l’UE. Nessuno può girarsi dall’altra parte! Nessuno rimanga in silenzio!”.

    https://www.patriaindipendente.it/ultime-news/idlib-e-confine-greco-turco-uno-scempio/

  • domenico stimolo

    “PER I DIMENTICATI DI IBLID”: ACCENDIAMO I LUMINI!

    Rilanciata anche da Avvenire l’iniziativa congiunta “per i dimenticati di Iblid”. Chiunque desideri partecipare l’appuntamento è domenica 8 marzo alle ore 11.15 davanti alla Sala Stampa Vaticana.
    Si può aderire firmando l’Appello, riportato subito sotto, ed inoltrarlo al seguente indirizzo presidente@focsiv.it
    APPELLO

    «Avvertiamo il bisogno civile e umano di ringraziare papa Francesco, l’unica autorità mondiale che ha ricordato il dramma dei civili di Idlib, nel nord ovest della Siria. Siamo sconvolti dalle rare immagini di quei bambini assiderati, a volte da soli, a volte con i loro genitori o parenti. Da una parte sono costretti a fuggire dalla Siria verso la Turchia da bombardamenti a tappeto che violano le regole più elementari del diritto umanitario internazionale e dall’altra sono impediti a trovare salvezza da un muro invalicabile e a oggi non valicato. Non è un’emergenza improvvisa, tutto questo va avanti da mesi! Si calcola che ormai siano almeno un milione gli esseri umani in fuga ammassati al confine, alcune stime parlano di un milione e cinquecentomila, in gran parte bambini. Se non si trovasse una soluzione, urgente, le operazioni militari raddoppieranno gli sfollati, per i quali non ci sono neanche tendopoli. Per tutti costoro ci sono soltanto due sottili corridoi umanitari aperti dall’Onu per portar loro qualche genere di prima necessità: questo è inammissibile. Avvertiamo dunque l’urgenza di manifestare la nostra gratitudine a papa Francesco e dimostrare al mondo che il suo appello per questa umanità abbandonata e tradita non è caduto nel vuoto. Questi nostri fratelli e queste nostre sorelle non possono essere dimenticati. Per questo domenica otto marzo, giornata dedicata alle donne di tutto il mondo, anche le madri disperate di Idlib, saremo in Piazza San Pietro. Ci incontreremo alle 11,15 davanti alla sala stampa vaticana per andare in Piazza San Pietro con un solo striscione: “Per i dimenticati di Idlib”»

    Adesioni organizzazioni
    Ass.ne Giornalisti amici di padre Dall’Oglio
    Amnesty International Italia
    Articolo21
    Ass.ne culturale islamica in Italia
    Caritas Italiana
    Centro Astalli, sezione italiana del Jesuit Refugee Service
    Comunità di Sant’Egidio
    Comunità siriana in Umbria
    Coordinamento dei Siriani Liberi di Milano
    Fesmi, Federazione della stampa missionaria italiana
    Fondazione Migrantes
    Focsiv, Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario
    Magis, Movimento e azione dei gesuiti italiani per lo sviluppo
    Siria Libera e Democratica
    Ucoii, Unione delle Comunità Islamiche d’Italia
    UCSI, unione cattolica stampa italiana
    Prime adesioni individuali
    Paolo Borrometi, vice direttore AGI
    Stefano Corradino, direttore Articolo21
    Asmae Dachan, giornalista italo siriana
    Vittorio Di Trapani, Segretario UsigRai
    Anna Foa, Università La Sapienza di Roma
    Giuseppe Giulietti, Presidente FNSI
    Raffaele Lorusso, Segretario FNSI
    Elisa Marincola, portavoce Articolo21
    Antonella Napoli, Articolo21 e direttrice Focus on Africa
    Roberto Natale, Articolo21
    Paolo Perucchini, presidente Ass. Lombarda dei giornalisti
    Daniele Rocchi, giornalista
    Antonio Spadaro, direttore La Civiltà Cattolica
    Marco Tarquinio, direttore Avvenire
    Gianfranco Cattai,presidente FOCSIV
    Chiara Zappa, giornalista

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