BASTA ! … è ignoranza o un riscrivere la storia per i padroni/vincitori?
di Sandro Sardella
Con alcuni versi d’amore e di rabbia di Vincenzo De Marco
è sempre un piacere incontrare libri che raccontano il mondo della
fabbrica ..
è sempre un gran fastidio leggere recensioni a tali pubblicazioni:
“ .. Resiste ancora nella narrativa italiana, il romanzo della fabbrica che,
come un sottilissimo rivolo carsico, va ad alimentare .. .. La letteratura
industriale a cui nel Novecento hanno contribuito molti scrittori italiani,
da Ottieri a Volponi, da Bianciardi a Parise .. negli ultimi tempi alcune
incursioni interessanti da parte di scrittori come Angelo Ferracuti,
Stefano Valenti, Francesco Targhetta, e ha conosciuto declinazioni
autobiografiche con le narrazioni di operai –scrittori come Andrea Cisi
o Eugenio Raspi .. .. “ (da: Lotta di classe tra fratelli Fabbrica unico
destino – in «La Lettura/Corsera» – domenica 11 giugno 2017 – articolo
di Cristina Taglietti) .. dicevo .. è sempre un gran fastidio vedere come
la vulgata sulle scritture dal mondo del lavoro puntualmente salta
senza ritegno .. autori da dentro la fabbrica degli anni ’60 – ’70 – ’80 ..
come Vincenzo Guerrazzi – Tommaso Di Ciaula – Luigi Di Ruscio –
Ferruccio Brugnaro .. ..
è sempre questa dimenticanza .. ignoranza?! .. o riscrivere la storia
dalla parte dei padroni/vincitori??!! .. ..
così .. dopo questa annotazione .. ecco una intensa interessante
raccolta poetica di un operaio dell’Ilva di Taranto .. ..
Vincenzo De Marco: “Il Mostro – versi di rabbia e amore” – prefazione
di Alessandro Marescotti / introduzione di Laura Tussi – Les Flaneurs
edizioni – Bari – 2017 … …
una scrittura sincera scarna lirica e dura .. dove le parole sono vivificate
dal dramma del lavoro dal disastro ambientale dal desiderio di ..
ancora .. sognare & lottare per un mondo migliore .. ..
“La mia era una lotta impari: lottavo contro il Mostro d’acciaio,
armato solo di penna e di rabbia.”
*
Il Mostro
Per voi al di là della strada
lui è muto, silenzioso.
Parla con fumi, polveri e odori,
luci e bagliori.
È maestoso, è spaventoso
in egual misura, minaccia.
È onnipotente, costante,
è presente.
Per noi al di qua delle mura
lui è assordante, chiassoso,
gassoso e arrogante.
Lui parla, erutta
con tutto di sé, minaccia.
È odioso, veleno,
sudore, sacrificio: è lavoro.
È lavoro al mattino,
veleno al vicino,
veleno nel pane, veleno nel vino.
Orrore moderno.
Orrore continuo.
*
Di rabbia e d’amore
Di rabbia e d’amore il mondo
e intorno.
Di rabbia e d’amore il foglio
e intorno.
Io scrivo di rabbia e d’amore,
d’amore e di rabbia,
di sentimenti alterni:
e come la luce e il buio,
come il sole e la luna,
come l’acqua e il vino.
Di rabbia e d’amore il mondo
e intorno:
il pensiero e il cuore.
Di rabbia e d’amore il foglio
e intorno:
la penna e il sogno.
*
Leggo e respiro
Lavoro, son l’operaio di me stesso.
Scrivo,
sono il poeta di storie sbagliate.
Respiro,
respiro aria mista a ingordigia,
mista a merda e respiro,
ma, respirando, spero.
Leggo,
leggo di voi, leggo di noi
operai
e silenziosamente scrivo.
I vincitori, i padroni, scrivono e riscrivono sempre la “storia”. Magari non la fanno, nel senso della democratizzazione del cambiamento, della propensione alla condivisione e della critica alla “società dello spettacolo” di cui hanno necessità. Però delocalizazano il lavoro, lo impoveriscono di diritti e di saperi, lo annientano culturalmente. Sorretti politicamente, religiosamente, artisticamente; miseramente dalla povertà maggioritaria. Non è arte la loro: pur servendosi anche di artisti e di ignorantissimi critici che ignorano la storia stessa della letteratura italiana arricchita anche da creatori, artisti operai che con passione passano in egual misura dalla pagina scritta alla vita e viceversa. Si servono del “subliminale” LOR SIGNORI! e delle merci per impoverire ulteriormente il proletariato. Cialtroneggiano all’infinito dai video strombazzando le loro mignotte verità catodicamente certi dell’immortalità. Ma la poesia sfugge al controllo capitalistico; e sfugge Vincenzo De Marco “il corsaro” al controllo di fabbrica che irregimenta e che avvelena la vita; e lo fa in piena libertà, magari pedalando controvento ma sempre con una bellezza estrema pur velata dall’amarezza del sale della vità. Vincenzo non è roba da “gironi” è però dantesco quando disvela la realtà.
Michele Licheri