Ahmed Ben Bella: morte di un’icona dimenticata

Ben Bella e Boumediennedi Karim Metref

In questi giorni è morto all’età di 96 anni Ahmed Ben Bella, il primo presidente della Repubblica Democratica e Popolare Algerina. Ben Bella, per tutta una generazione di Italiani è una icona assoluta. Simbolo della vittoria dei popoli contro il colonialismo. Invece è morto dimenticato da tutti, sia in patria che all’estero.

L’icona di una generazione

C’è tutta una generazione di over 50 italiani, di sinistra, per la quale la sola parola Algeria fa brillare gli occhi. Quanti ricordi, quanti ricordi! La vittoria del bene sul male. Il trionfo di una rivoluzione popolare sull’imperialismo. Il film di Pontecorvo, le esperienze di autogestione dell’industria e dell’agricoltura, il paese che per più di 15 anni diventa meta di tutti i rivoluzionari del mondo: Che Guevara, Fidel Castro, Ho Chi Minh, Malcolm X, le Black Panters che si ribellano in un carcere di alta sicurezza, sequestrano le guardie e chiedono un aereo per andare… a Algeri, Nelson Mandella, Il festival Panafricano dove ci sono tutti i movimenti di liberazione dell’Africa, tutte le, allora giovani, star della rinascita musicale africana, C’è il più grande tra tutti: the president, Fela Kuti, c’è un giovanissimo Manu Di Bango con il suo già ptente sax…e c’è anche Miriam Makeba che canta sulla piazza principale di Algeri, Mamma Africa e Patapata… Gli occhi si inumidiscono, fissano immagini che sembrano riemergere dalla nebbia del tempo… che bello, che bello! E poi? E poi niente! L’Algeria è scomparsa. Il paese ha avuto altre gatte da pelare e il mondo anche.

Una domanda imbarazzante

Dopo queste rievocazioni, una domanda sorge quasi sempre, spontanea:

– Che fine ha fatto quello lì… l’ex presidente, Ben Bella?

– Vive in esilio da molti anni ormai. – rispondo io, cercando già di guardare altrove.

– Ma è ancora popolare in Algeria? Cosa ne pensi?

E lì… inevitabilmente mi trovo in difficoltà…

– Mah… sa, ormai sono passati molti anni. I giovani non sanno nemmeno chi è. Invece quelli della mia generazione se lo ricordano. Per noi era un nome. Un nome per chiamare qualcosa di non molto definito… Sono successe molte cose…Hum hum.

Quando avevo diciotto anni se qualcuno mi mostrava una icona e diceva: Questo è Santo questo o santo quello, ed che è capace di questi o quei miracoli… avrei detto: Che me ne frega, a me. Io non credo nei santi e ancora meno nei miracoli.

Ma il tempo, i viaggi e l’esperienza mi hanno insegnato a rispettare le icone. Soprattutto quelle degli altri. Ho capito che per molti credenti le icone sono ancora più importanti della lettera stessa della fede. E che rimetterle in causa li offende profondamente… E chi sono io per andare a offendere le persone nelle convinzioni? O a pretendere che solo le mie siano degne di essere dette e ascoltate.? Allora ho imparato anche a spostare la discussione dal senso religioso dell’icona al valore artistico e materiale dell’oggetto.

Che bella! È pittura ad olio? È bronzo? Di che epoca è l’opera? Interessante. Ah… è un pezzo unico? Bello! Proprio bello.

E ci si ritrova a parlare di arte e di storia e ci si allontana così dal terreno scivoloso della fede, dove spesso ci vuole tempo, calma, riflessione, ascolto e approfondimento… tutte cose impossibili in una chiacchierata occasionale di poche battute.

E una altra cosa che mi ha insegnato il tempo è che persone come Ben Bella -almeno in Italia- hanno da tempo lasciato la casa dell’analisi storico politica razionale per abitare quella dell’iconografia e della simbologia mistica.

Simbolo di un sogno di giustizia, dei Davide che sconfiggono i Golia, del trionfo del bene sul male, di una emancipazione dei popoli sottomessi e della fine dell’oppressione coloniale e neocoloniale… cioè di un sogno impossibile.

Chi era Benbella e cosa ne pensa l’algerino medio?

É sempre difficile rispondere a una domanda come questa. Cosa può ben pensare un popolo così grande, così diverso, così diviso su molte cose, su una sola persona? Fosse anche un personaggio storico.

La cosa di cui sono sicuro, per aver fatto l’insegnante per 10 anni nel mio paese, è che le nuove generazioni se hanno sentito il nome, perché ufficialmente primo Presidente della Repubblica Algerina, non ne pensano assolutamente nulla. Né bene né male.

Su quelli un po’ più grandi invece è più complicato. È complicato come lo sono tutte le faccende legate alla guerra di liberazione nazionale algerina. Perché ancora 50 anni dopo non si riesce a raccontare con un minimo di distanza e di distacco. Sembra ancora tutto lì: dolori, sofferenze, lutti, alleanze, coraggio, eroismo e lealtà, paure, divisioni, vigliaccherie e tradimenti… tutto ancora vivo, anche se le donne e gli uomini che l’hanno fatta sono ormai rimasti molto pochi, almeno quelli veri.

Se, per l’Italiano medio over 50 di sinistra, la guerra di liberazione nazionale algerina vuol dire battaglia di Algeri e Ben Bella, per gli Algerini questi due elementi sono tra i più marginali di quella storia. Se chiedi ad un Algerino della mia generazione o di quelle precedenti di dire 3 nomi rappresentativi della rivoluzione, sono pronto a scommettere che in 99% dei casi Ben Bella non verrà citato. Ma sono anche sicuro che la classifica sarà molto diversa tra una persona e un’altra.

Questo è dovuto al fatto che la lotta per l’indipendenza algerina non ha mai avuto una icona unica, mai una forma gerarchica molto forte, soprattutto fin che era veramente rivoluzionaria, prima della presa di potere da parte dei militari.

6-9-22 leader rivoluzionari

Dopo anni di lotta politica e di partecipazioni elettorali alle quali l’amministrazione coloniale ha risposto con disprezzo, frodi, corruzione, menzogne e soprattutto violenza, tanta violenza… al ritorno dal fronte della II° guerra mondiale molti soldati del Centro e Est del paese hanno trovato le loro famiglie decimate dai massacri del 8 maggio 1945 conosciuti come “i fatti di Setif, Guelma e Kherrata”. Decine di miglia di civili massacrati in una settimana per aver osato manifestare e chiedere più diritti, più pane, più dignità. Già da quell’anno, i primi ribelli decisero di prendere la strada della macchia. Ma l’apparato del Partito del Popolo Algerino (PPA) che diventerà poi, dopo la messa al bando di questa prima sigla, Movimento per il Trionfo delle Libertà Democratiche(MTLD), partito indipendentista molto popolare in quelli anni, era diviso sull’opportunità o meno di intraprendere la via della lotta armata. Il suo leader, Messali Elhadj, era invecchiato e il suo carisma non bastava più a tenere unito il movimento.

Nel 1945 il PPA è più che mai squartato tra le posizioni della sua ala rivoluzionaria denominata Comitato Rivoluzionario per L’Unità e l’Azione (CRUA) e i “Centristi” raggruppati intorno al vecchio leader. La parte più attiva del CRUA da un colpo definitivo alla morte annunciata del vecchio partito e chiama tutte le forze patriottiche a raggiungere un fronte comune, il Fronte di Liberazione Nazionale, per la lotta armata. I firmatari sono 6, sei uomini di terreno, alcuni già in montagna da anni: Krim Belkacem, Mostefa Ben Boulaïd, Larbi Ben M’Hidi, Mohamed Boudiaf Rabah Bitat e Didouche Mourad.

Dai sei, il nuovo fronte che nasce dall’appello, passa a 22 leader storici: Mohamed Boudiaf, Mustapha Benboulaïd, Larbi Ben M’hidi, Mourad Didouche, Rabah Bitat, Othmane Belouizdad, Mohamed Merzougui, Zoubir Bouadjadj, Lyes Derriche, Boudjema Souidani, Ahmed Bouchaïb, Abdelhafid Boussouf, Ramdane Benabdelmalek, Mohamed Mechati, Abdesslam Habachi, Rachid Mellah, Saïd Bouali, Youcef Zighoud, Lakhdar Bentobbal, Amar Benaouda, Mokhtar Badji, Abdelkader Lamoudi. Un anno dopo, Krim Belkacem convince un giovane intellettuale di sinistra, Abbane Ramdhane, a raggiungere il Fronte. Il giovane Abbane diventa il teorico del Fronte e facilità con il suo programma politico moderno, laico e lucido la confluenza sia dei partiti della piccola borghesia colta come l’Union démocratique du manifeste algérien (UDMA) di Ferhat Abbas e il Movimento islamico moderato dell’Unione degli Ulema Algerini dell’Imam Abdelhamid Ibn Badis sia il Partito Comunista Algerino di Bachir Hadj Ali e il potente sindacato UGTA di Aissat Idir.

Come si vede di Ben Bella anche in questa fase di confluenza di movimenti e leder non c’è traccia. Eppure il giovane militante fa parte da tempo del movimento autonomista. Ma non ha mai avuto ruoli di commando. Era uno dei 9 leader del CRUA, ma alla proclamazione della guerra d’indipendenza era latitante all’estero e rimase tra i 3 assenti.

Chi è Ben Bella?

Nato nel 1916 nella cittadina di Maghnia (Provincia di Orano), Ahmed Ben Bella ha avuto una vita lunga e piena. Figlio di genitori originari dall’Alto Atlante in Marocco emigrati in Algeria, come fecero molti contadini poveri, per lavorare come braccianti nelle tenute dei coloni europei nelle ricche terre dell’ovest dell’Algeria. Il padre, però, dopo un po’, migliorò sensibilmente la situazione economica della famiglia diventando commerciante. Ciò permise al giovane Ahmed di arrivare agli studi superiori, cosa rara all’epoca.

Ha combattuto nella seconda guerra mondiale con l’esercito francese, dove fu decorato per fatti d’armi e ferite riportate durante le varie battaglie alle quali prese parte tra cui quella di Monte Cassino.

Al ritorno come molti trovò l’Algeria sotto lo choc dei massacri del maggio 1945 e come molti si arruolò nel Partito del Popolo Algerino.

Presto entrò a far parte dell’ala rivoluzionaria e nel 1949, per conto del CRUA, partecipa alla rapina della posta di Orano. Pochi mesi dopo è arrestato. Evade di carcere nel 1952 e fugge in Egitto per raggiungere altri latitanti che formeranno poi la delegazione del Fronte di Liberazione all’estero.

Nel 1956 doveva recarsi dal Marocco in Tunisia su un aereo di Linea marocchino, insieme a 5 altri dirigenti del Fronte all’estero, il pilota francese dell’aereo ottempera all’ordine dell’esercito francese e atterra in terra algerina permettendo l’arresto dei leader rivoluzionari. Rimane in carcere fino al risultato del referendum per l’autodeterminazione nel 1961.

Inizio e fine di una brevissima leggenda

Nel 1962, per la prima volta  e l’ultima della sua lunga vita riesce a prendere il treno della storia e lo fa entrando trionfalmente insieme all’esercito delle frontiere, quelli che la guerra non l’hanno mai fatta. I combattenti dell’interno non riescono a opporsi. L’esercito delle frontiere nato nei campi profughi di Oujda in Marocco e Saghiet Sidi Yusef in Tunisia è formato da giovani ben armati, ben vestiti, attrezzati con artiglieria e veicoli blindati e ben addestrati da consiglieri militari accorsi da tutto il blocco socialista di allora. I partigiani dentro erano rimasti 5 gatti sfiniti da uno dei conflitti più violenti della storia: 1 milione di morti su 8 milioni di abitanti.Il nuovo esercito è forte anche del consenso delle nazioni arabe e del blocco socialista. Ma non dispiace nemmeno troppo all’occidente.

L’unico tra i leader storici pronto a mettere la faccia per dare un minimo di legittimità storica a questo golpe è il meno storico dei leader storici: Mohammed Ben Bella. Gli altri, quelli veri, si ritrovano prima marginalizzati nel tentativo di assemblea costituente. Poi arrestati, mandati in esilio o addiritura assassinati…

In quei momenti così drammatici, sbarcavano ad Algeri i fricchettoni di mezzo mondo per festeggiare la vittoria della rivoluzione dei poveri e trovarono ad accogliergli la faccia sorridente e paffutella di Ahmed Ben Bella. Così quel sorriso nella mente di milioni di giovani del mondo fu associato alla vittoria storica del FLN.  Lui anche non si privò dall’esibirsi in pubblico per un sì e per un no. Amava tanto i bagni di folla, i lunghi discorsi, pieni di slogan e di emozione … e vuoti di contenuti, e la compagnia delle star del terzomondismo.

L’idillio del neo-presidente con i colonelli non durò a lungo e, tre anni dopo la sua nomina, fu rovesciato dal più potente e deciso di questi, Houari Boumedienne, finora capo dello Stato Maggiore e ministro della diffesa. Il colonello, per 14 anni, sostituì su giornali e sugli schermi delle tv del mondo il sorriso da bambinone mai cresciuto di Ben Bella con il suo ghigno e la sua grinta da lupo affamato.

Da lì, pian pianino, il vecchio rivoluzionario pantofolaio ritornò nell’anonimato dal quale, forse -non avendo lasciato né pensiero degno di essere condiviso, né particolari azioni degne di essere ricordate-, forse, non avrebbe mai dovuto uscire.

Riposa in pace, vecchio signore simpatico e sorridente. Comunque sia, insieme alla tua generazione di giovani degli anni 50, nonostante tutto, avete preso le vostre responsabilità in mano e avevate deciso di cambiare il destino di tutto un popolo. Riposa in pace. Che la terra ti sia lieve.

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

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