Bettini, Ciotti, Di Bartolomei, Ingrao, Leone, Norwich, Pacchioni, Uson

8 recensioni di Valerio Calzolaio

Luigi Ciotti

«Lettera a un razzista del terzo millennio»

edizioni Gruppo Abele

78 pagine, 6 euro

A noi, italiani. Ora, in questo secolo. È appena arrivata una lettera. Redatta da un uomo che in genere scrive poco e agisce molto, preferisce i fatti con il loro linguaggio, silenzioso ma vero. Rivolta non solo a me, chi altri avrà voglia di leggerla scoprirà che ci interessa tutti, come compatrioti. Un sacerdote famoso, don Luigi Ciotti, ha deciso di scriverci di fronte all’ingiustizia che monta intorno a noi. Di ogni cosa che non va si dà la colpa ai migranti, non è d’accordo. Le migrazioni non vanno sottovalutate ma governate in un modo intelligente ed è necessario parlarne senza rimozioni. Così ci ha provato. E ci è riuscito. Prende in esame tutte le paure, ne condivide l’origine, ci si confronta, allarga lo sguardo su altre emozioni e su altri fatti. Inizia dalle ingiustizie, non le nega certo, anzi conferma subito che non viviamo in un bel mondo, troppe povertà disoccupazione disuguaglianze. Prendersela con chi non c’entra nulla non fa che aggravare il problema. L’inversione di tendenza, quando cioè i figli hanno iniziato a stare peggio dei padri, è cominciata già alla fine degli Ottanta, e dunque ben prima che nel nostro Paese si affacciassero ampie immigrazioni. Eppure, il razzismo dirotta la rabbia sociale contro il capro espiatorio dei migranti, incombe come pulsione ostile e aggressiva nei confronti di chi è percepito diverso: per il colore della pelle o per abitudini di vita, lingua, religione. Si susseguono insulti e gesti quotidiani di intolleranza, di emarginazione, di odio; il linguaggio di alcuni media getta benzina sul fuoco e alimenta pregiudizi; alcune leggi contribuiscono a dare diritto di cittadinanza al razzismo con un inasprimento repressivo che non c’entra niente con la sicurezza. Il testo è molto descrittivo e minuzioso nelle citazioni e negli esempi, soprattutto per sfatare i luoghi comuni dell’invasione in corso, del «prima gli italiani», dei muri, dell’«aiutiamoli a casa loro» o dell’«uomo solo al comando».

Pio Luigi Ciotti (1945) ha deciso di trovare parole semplici e giuste per contrastare l’onda xenofoba e razzista. Non si sente, comodamente e presuntuosamente, dalla parte giusta. La parte giusta non è un luogo dove stare; è, piuttosto, un orizzonte da raggiungere. Insieme. Non mostrando i muscoli e accanendosi contro la fragilità degli altri. Ascoltando, ribattendo, approfondendo, agendo. Sicurezza è vivere in libertà insieme agli altri, non a scapito di altri; è costruire una società responsabile, fondata su diritti e doveri, dove ogni persona sia riconosciuta nella sua inviolabile dignità. Così ci ha scritto una lettera aperta, chiara, ferma, costruttiva, colma di rispetto e pietà per ciascuno di noi, senza pulpiti, con tanti palpiti. Coglie l’occasione per offrire spunti autobiografici sulla propria vocazione e fede, sul Gruppo Abele, sul comune percorso di impegno. La sua e la loro parrocchia è la strada. Segnala di essere anche lui un migrante, trasferitosi dalla provincia di Belluno a Torino per il lavoro operaio del padre. Ricorda con precisione l’ex medico divenuto clochard, il cruciale incontro che a 17 anni cambiò la sua esistenza. Spiega i primi passi del Gruppo fra drogati, prostitute, immigrati, carcerati, disadattati, emarginati. Richiama spesso le parole di Papa Francesco e i passi dell’Enciclica, cita altri donne e uomini che hanno detto o scritto frasi significative. Conclude con la speranza e la voce dei bambini. Un libro magnifico che si legge in 30 minuti, che si può portare in tasca, che ci fa con-vivere meglio, che può aiutarci a non subire come inevitabile ineluttabile l’onda imperante contro la libertà di migrare e contro il valore di ogni persona.

 

Ugo Leone

«Ambiente»

Doppiavoce

52 pagine, 10 euro

Da quando il pianeta Terra è abitato anche dalla biodiversità umana. Il professor Ugo Leone (Napoli, 1940) inaugura una nuova collana di un ottimo editore campano. «la parola alle parole». Ovviamente s’inizia dalla A e da Ambiente. Non è sinonimo di natura, né di ecologia. Ha origine dal participio presente del verbo latino “ambire”, che significare stare intorno, circondare. Nasce con noi, con l’umanità, indica ciò che ci siamo trovati intorno e abbiamo poi modificato, ampliato, umanizzato. Il sinonimo che preferisco è “contesto”, per rendere l’idea anche degli infiniti espansivi usi ai quali la parola viene di continuo sottoposta, pure metaforici. Ugo Leone ne dà ora efficace sintetico conto in “Ambiente”: la storia ambientale del nostro mondo (con bibliografia meditata), l’ambiente di vita e di lavoro, l’ambiente urbano e quello naturale, la scienza dell’ecologia. Per ora i volumi sono acquistabili sul sito www.doppiavoce.it, presto saranno in libreria.

 

John Julius Norwich

«Breve storia della Sicilia»

Sellerio

traduzione di Chiara Rizzuto

512 pagine, 15 euro

Sicilia. Dai greci a Cosa Nostra. Nel 1961 il visconte di Norwich John Julius Cooper (1929-2018) lavorava per il ministero degli Esteri. A ottobre capitò con la moglie in Sicilia, innamorandosene. Fu colpito dall’eccezionale varietà di popoli e culture che avevano lasciato tracce significative, manufatti non solo artistici, eventi sociali: greci, romani, bizantini, arabi, normanni, poi spagnoli e pirati, Borboni e francesi, garibaldini e carbonari, la Mafia e l’Italia. A partire dal medioevo la Sicilia era sempre appartenuta a qualcun altro. Da diplomatico studioso scoprì presto che c’erano pochi testi in inglese. Decise di dedicarsi a tempo pieno a colmare il vuoto e iniziò, inevitabilmente, con “I normanni nel Sud” (1967). Scrisse altri volumi, girò documentari, fece da guida. Dopo cinquant’anni di studi e ricerche John Julius Norwich firma un ultimo volume sulla triste “Breve storia della Sicilia”, che considera un “commiato” da luoghi che gli hanno donato grande felicità.

 

Luca Di Bartolomei

«Dritto al cuore. Armi e sicurezza: perché una pistola non ci libererà mai dalle nostre paure»

Baldini & Castoldi

108 pagine, 16 euro

Per cortesia leggetevi e leggete nelle scuole dati e statistiche del decalogo dell’insicurezza che riassume e chiude un limpido ottimo libro, “Dritto al cuore” di Luca Di Bartolomei (Roma, 1982). Premette un ricordo vivido: quando Agostino (1955-1994) si sparò fu l’ultima persona ad averlo visto vivo. Il padre si era alzato presto e, come sempre, era andato a svegliarlo per la scuola. Si salutarono con un bacio, Agostino era seduto in terrazza e la Smith & Wesson calibro 38 quasi certamente non l’aveva ancora presa. Luca prende spunto dal privato per riflettere sull’uso delle armi: in Italia i legali detentori di armi da fuoco sono responsabili di più morti dei ladri. Laureato in legge e consulente aziendale, padre di due bambini, innamorato di calcio e arte, offre ai decisori e a tutti un breve compendio di diritto e cultura per evitare che a un problema reale si risponda in modo sbagliato (come recenti leggi confermano) e dimostra che più armi si coniugano con più insicurezza.

 

Maurizio Bettini

«Homo sum. Essere “umani” nel mondo antico»

Einaudi

134 pagine, 12 euro

Antiche Grecia e Roma. Moderna organizzazione delle Nazioni Unite. A scuola tutti studiammo e studiate l’Eneide, poema epico scritto da Virgilio tra il 29 e il 19 a.C.. Narra la mitologica storia di Enea, figlio di Anchise e della dea Venere, eroe guerriero di Troia nell’antica Grecia, che riuscì a fuggire dopo la caduta della città e viaggiò profugo per il Mediterraneo fino ad approdare nel Lazio, diventando il progenitore dell’antico popolo romano. A scuola tutti studiammo e studiate la Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948 d. C., preambolo e trenta articoli di princìpi e obblighi, diritti e doveri, votata da 48 dei 58 Stati allora membri dell’Onu (8 astenuti, 2 assenti, l’Italia ancora non ne era parte), in vigore non vincolante. È all’origine di una settantina di patti globali vincolanti e risulta purtroppo ancora violata da molti Stati e governi in giro per il mondo (a motivata detta di istituzioni, corti di giustizia e organizzazioni internazionali). Un grande latinista antropologo prova a relazionare il senso di umanità che emerse e si espresse migliaia di anni fa nelle culture classiche con il testo della moderna dichiarazione universale, attraverso uno studio comparato di termini e locuzioni, aiutandoci a valutare le drammatiche cronache attuali e, soprattutto, a indignarci per i troppi cadaveri che fluttuano ora nei nostri mari. Prima il naufrago troiano riuscì perigliosamente a sbarcare con pochi altri superstiti a Cartagine (la Libia di allora, la Tunisia di oggi). Didone, la sovrana regnante, memore di essere stata a suo volta costretta ad abbandonare Tiro (la patria fenicia) spiegò a tutti che le frontiere si chiudono di fronte agli aggressori, non a disgraziati e miseri, li soccorse e diede aiuto; offrì loro di restare a parità di diritti con i locali o mezzi e viveri per rimettersi in mare verso Sicilia o Italia. Occorre approfondire bene quali convinzioni ed emozioni erano alla base di una tale opzione umanitaria, senza enfatizzare pietà e retorica, vedendo somiglianze e differenze.

Maurizio Bettini (Bressanone, 1947) insegna Filologia classica all’Università di Siena e, dopo aver ha scritto decine di interessanti saggi oltre che centinaia di acuti articoli, ci offre adesso uno splendido originale studio sui diritti umani. La colta esplorazione linguistica e filosofica segue tre fili di raffronto: eventuali continuità o analogie, ovvi contrasti e scarti, problemi equivalenti perché inerenti la storia e la geografia umane. L’Eneide ha emblematicamente contribuito a creare la consapevolezza culturale che ha portato all’elaborazione di quei principi di rispetto e garanzia, rifiuto della barbarie e buoni costumi, che poi sono stati chiamati “diritti umani”. L’autore rilegge meticolosamente la Dichiarazione Universale mettendo sullo sfondo espressioni e percorsi della cultura greca e romana: un qualche rapporto è evidente, soprattutto nel rifiutare l’attributo umano per violenza, brutalità, efferatezza, e nel connettere giustizia a cultura ed educazione. Così come emergono divergenze e opposizioni, innanzitutto rispetto all’effettiva eguaglianza fra tutti gli umani: per i greci gli stranieri tendevano a essere in sostanza “barbari” (balbettanti), ridicoli e inferiori, una posizione in certo senso egemone anche fra i romani (pur con vari necessari distinguo). Oltre all’ineguaglianza delle donne, la questione cruciale era la schiavitù, pratica che faceva strutturalmente parte della società e dell’economia, legittimata per innumerevoli secoli da filosofi ed ecclesiastici. Il terzo filone è quello più stimolante, le categorie, i miti, i termini e i modi di pensiero interni alla cultura classica che richiamano a loro modo principi poi contenuti nella Dichiarazione del 1948: l’individuazione di doveri e obblighi umani, per quanto iscritti in un orizzonte di carattere religioso, in particolare il sostegno operativo a erranti, fuggitivi e migranti (e qui si rinvia all’articolo 13). Il filologo usa continue competenti citazioni dei grandi autori ed evidenzia specificità e contrapposizioni: Seneca e l’umanesimo stoico si spinsero certo molto avanti verso una visione di cosmopolitismo, non ponevano limiti alla generosità interumana, ma fu il commediografo Terenzio che scrisse (da cui il titolo): Homo sum, humani nihil a me alienum puto; «sono uomo, niente di umano ritengo mi sia estraneo». Nessuno è figlio di una “propria” terra, ogni fondazione è un rimescolamento: i romani credevano davvero nella virtù della mescolanza, la sperimentarono e propugnarono. Loro.

 

Gianfranco Pacchioni

«L’ultimo sapiens. Viaggio al termine della nostra specie»

prefazione di Telmo Pievani

Il Mulino

214 pagine, 15 euro

Evoluzione della Terra sapiente. Prima, ora e dopo. È solo 10-12.000 anni fa che l’uomo si trasformò da cacciatore-raccoglitore in agricoltore, divenne stanziale, e creò le premesse per la nascita delle città e delle civiltà. All’inizio le cose andarono abbastanza lente, poi accelerarono, sempre più. La vita di una persona che lavora nei campi ha subito più trasformazioni negli ultimi 100 anni che nei precedenti 10.000. Tutto è cambiato verso la fine dell’Ottocento e non possiamo rinviare più di studiare meglio i possibili futuri dei “Tecno-sapiens”: intelligenza artificiale, biostampanti, vita sintetica, nanotecnologie, neuroscienze. Partendo sempre dai racconti del chimico partigiano Primo Levi (1919-1987) l’esperto chimico e docente Gianfranco Pacchioni (Milano, 1954) in “L’ultimo sapiensnarra con chiarezza e competenza come potrebbe finire la nostra specie, che da sempre coevolve con le tecnologie. Noi cambiamo il mondo, e il mondo prima o poi (più prima che poi) cambia noi.

 

Chiara Ingrao

«Migrante per sempre»

Baldini & Castoldi

408 pagine, 20 euro

1962-2006. Italia e altrove. Prologo nel 1956: il padre di Lina varca di notte da clandestino la frontiera di Ventimiglia, pullman fino a Palermo, poi treno verso Genova, dall’Italia alla Francia, deve mantenere la famiglia! Lina è nata povera nella Sicilia contadina (1962-69), anche lei sarà strappata agli affetti del suo paese, soprattutto alla nonna, e alla scuola, raggiungerà la madre in Germania per lavorare in fabbrica (1969-84). Ostinata e ribelle, Lina conquista lì una certa sicurezza sociale, anche nel rapporto con gli uomini, vive una duratura storia d’amore. Già madre e moglie quando torna in Italia a Roma, scoprirà che ci si può sentire stranieri anche in patria (1984-2006). Chiara Ingrao (Roma, 1949) mirabilmente affresca in terza persona corale l’esistenza, “Sempre migrante”, di A., una donna realmente incontrata, capace di donarle la propria storia. Non possiamo appartenere a una sola tribù, siamo tutti un poco meticci, portiamo l’eco di migrazioni antiche e moderne.

 

Clara Usón

«L’assassino timido»

traduzione di Silvia Sichel

Sellerio

190 pagine, 15 euro

Spagna. Franchismo e post-franchismo. Sandra Mozarovski (Tangeri, 17 ottobre 1958 – Madrid, 14 settembre 1977) morì giovanissima e sarà sempre ricordata come bella attrice per gli scollacciati film sexy e porno soft, chiamati destape (spogliarello), concessi dalla dittatura come generosa limitata libertà espressiva. Clara Usón è nata in Catalogna poco più di due anni dopo Sandra, erano giovani nello stesso periodo finale del regime; laureatasi in diritto e divenuta avvocato, ha presto deciso di dedicarsi molto alla letteratura, esordendo nel 1998 col primo romanzo e conquistandosi poi un ruolo di magnifica sensibile affermata scrittrice dei nostri tempi. Lo spunto del nuovo libro è la caduta mortale dell’attrice dal balcone di casa, nemmeno 19enne. Un incidente, un suicidio, un omicidio? Fin da subito sono emersi vari sospetti e ipotesi sulle (eventuali) ragioni del gesto, se e quanto voluto e, in caso affermativo, quanto provocato da lei o da altri e, eventualmente, da chi e perché. Ci fu una versione ufficiale, non furono fatte inchieste, la voce più nota e diffusa allude al fatto che fosse un amante del re (39enne) Juan Carlos, incinta. Usón non investiga, narra. Ha visto più volte tutti i film, letto accuratamente le interviste e le cronache dell’epoca, studiato materiali e contesti, intervistato interlocutori che la conoscevano e sono ancora vivi. Descrive foto e cortometraggi, intuisce i percorsi e le emozioni, suggerisce possibilità nelle dinamiche relazionali, talora si immedesima o comunque compara la vita di Sandra alla sua per narrare pure di sé, senza compiacenze autobiografiche, come ulteriore dato di una realtà parallela di giovinezza femminile fino al 1977 (entrambe benestanti) e, poi, di donna autonoma. Pavese ricorre in molte forme, innanzitutto nel titolo che allude a una possibile definizione personale del suicidio (proprio o altrui).

Clara Usón (Barcellona, 1961) riesce a consegnare ai posteri uno splendido testo intriso di storia e di cultura. Non considera separate realtà e finzione, vi si immerge insieme con stile del tutto trasparente ed esplicito, in prima persona. Esiste una strutturale imperfetta doppiezza del linguaggio articolato simbolico della meticcia specie umana da qualche decina di migliaia di anni a questa parte: assegniamo sempre un nome alle cose ma abbiamo pure sempre bisogno di immaginare altre cose e di assegnare altri significati alle stesse cose. Nel pensier ci fingiamo, vorremmo vivere e non sappiamo come si fa, questo ci ricorda di continuo l’autrice! Ci parla del suicidio come pensiero immanente tanti momenti della vita di molti, masochismo invece che sadismo, ripercorrendo riflessioni e congetture di personalità come Wittgenstein e Pavese (molto), poi Čechov, Camus, Cervantes, Russell e tanti altri. Ci parla dell’essere figlie di madri, esseri generati e sessuati spesso accanto a fratelli e/o sorelle, come pensiero carnale conturbante ogni anfratto delle successive esistenze per molti. Ci parla della morte e della vita, vitali entrambi per tutti. Ci parla di sé stessa, mette a nudo la propria storia e i propri sentimenti. Ci parla della Spagna, dei dittatori e dei monarchi non solo spagnoli. E ripercorriamo la colonna sonora dei padri e dei ragazzi, una filmografia non solo nazionale. Sandra nacque da padre russo (diplomatico) e madre spagnola, prima di tre figli, mostrò subito talento artistico e recitò la prima volta già a dieci anni. Aveva una bellezza slava: occhi verdi leggermente a mandorla, bocca grande dalle labbra piene, incarnato pallido, chioma castana e folta, lineamenti perfetti, corpo scultoreo (che i registi volevano mostrare quel tanto nudo che bastasse). Molti dei suoi viaggi e incontri ebbero pubblica rilevanza. Per lei la svolta fu il cinema e Usón investiga su cosa abbia comportato, prova a mettersi nei suoi panni, visto che perlopiù le coetanee non ebbero quella (contingente) fortuna, fra l’altro così prossima temporalmente a una terribile fine.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Gian Marco Martignoni

    Concordo con Valerio a proposito del pregevole libro di Luigi Ciotti, che didatticamente è perfetto.Con ” Prima che gridino le pietre ” di Alex Zanotelli rappresenta al meglio un certo filone di pensiero, senza il quale saremmo con tutta probabilità orfani di quell’autorevolezza che la sinistra ha perso per strada.Mi auguro che il testo di Luigi Ciotti possa essere una strumento di educazione e di crescita dentro al mondo della scuola .

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *