Bolivia: probabile sconfitta di Evo Morales nel referendum del 21F

In corso il riconteggio dei voti. Al successo del “no” hanno contribuito le tante contraddizioni interne al Mas

di David Lifodi (*)

In Bolivia si va profilando un vero e proprio scempio. La situazione è confusa, si attende ancora l’ufficialità sull’esito del referendum del 21F, ma, anche ammesso che si raggiunga un pareggio tecnico, i grandi sconfitti sono Evo Morales e Álvaro García Linera, per quanto costi ammetterlo. Sotto un certo punto di vista si tratta di una pessima notizia per l’intero campo bolivariano, che ancora una volta esce dalle urne malconcio. Inoltre, non è fuori luogo parlare di scempio poiché il Mas (Movimiento al Socialismo) ci ha messo del suo nel dilapidare il sostegno popolare, mentre si apre una fase di vera e propria resa dei conti all’interno della sinistra boliviana. D’altra parte, lo schiaffo subito potrebbe servire per far cambiare rotta alla bancada masista. In tutto ciò, le destre boliviane, continentali e l’ingombrante vicino Usa si fregano le mani e sfruttano con facilità le contraddizioni in seno al Mas nella speranza di riconquistare presto un’altra pedina che, nel dicembre 2005, si era emancipata ed era uscita dal cortile di casa sbattendo la porta con la prima affermazione elettorale di Evo Morales.

Personalmente, immaginavo che il discorso moderato e conciliante di Evo avrebbe finito per garantirgli una vittoria del “si” al referendum, da cui sarebbe derivata la modifica al famoso articolo 168 della Costituzione che avrebbe potuto consentire al ticket Morales-Linera di ricandidarsi a partire dal 2019. E invece è avvenuto un proceso de cambio, in senso inverso a quello sbandierato finora dal primo presidente indigeno nella storia della Bolivia. Con quasi il 100% delle schede scrutinate, il “no” sarebbe in vantaggio con il 51,3% dei voti rispetto al “si”, fermo al 48,7%. Il Mas punta sul riconteggio del voto indigeno e contadino e parla di matonaje electoral della destra boliviana e non solo, magari anche a ragione, ma è difficile giustificare la sconfitta quando il “no” sembra prevalere in tutte le principali città  e in buona parte dei dipartimenti del paese. Al tempo stesso, il gran rifiuto opposto a Evo potrebbe provenire non solo da destra, ma anche da alcuni settori dei movimenti sociali da tempo assai critici verso il Mas e stufi di essere additati come golpisti e vendepatrias ad ogni accenno di dissenso verso Palacio Quemado. Sono giorni complessi per Evo Morales, Álvaro García Linera e l’intero paese. Da sinistra si dice che Evo è stato sconfitto dal popolo, come scrive su Rebelión Alex Contreras Baspineiro, indicando nei tanti casi di corruzione che hanno coinvolto il Mas, e sfiorato il ticket presidenziale, una delle possibili ragioni della sconfitta. Non si può far altro che ripetere la parola “scempio” per descrivere quanto dilapidato, in termini elettorali, da Morales e dal Mas. Il presidente boliviano fu eletto per la prima volta, nel 2005, con il 54% dei consensi, nel 2009 raggiunse il 64% e nel 2014 si mantenne a Palacio Quemado con un ottimo 61%. Poi è iniziata una lenta caduta, nonostante il linguaggio politico si mantenesse anticapitalista e antineoliberista. Baspineiro porta alcuni esempi che hanno contribuito, secondo lui, a determinare la sconfitta. In prima istanza, la corruzione che ha coinvolto alcuni sindaci del Mas nell’ambito del programma “Bolivia Cambia, Evo Cumple” per poi allargarsi al Fondo Indigeno e a diversi dirigenti dei movimenti sociali. In secondo luogo, gli appalti aggiudicati dall’impresa cinese Camc di Gabriela Zapata Montaño, con cui lo stesso Morales aveva avuto una relazione, hanno contribuito a scalfire l’immagine di Evo. E ancora, la vicinanza del Mas con le transnazionali del petrolio, dell’agrobusiness e delle miniere, che non si sono fatte scrupoli nel saccheggiare le risorse del paese, di certo non hanno rafforzato i dubbi che già nutriva su Morales una parte dell’elettorato. Per anni la Bolivia ha rappresentato uno dei fari dell’America Latina ribelle, e la speranza è che torni ad esserlo in un contesto molto difficile per le forze progressiste dell’intero continente, ma attualmente Evo e Álvaro García Linera, più che parlare di frode (per quanto non sarebbe da sorprendersi se qualcuno ci avesse messo lo zampino e ancor meno se ne avesse approfittato per fare proseliti e sfruttare l’incerta situazione della Bolivia attuale), dovrebbero impegnarsi per far tornare il Mas a ciò che era durante i primi anni di vita. Paradossalmente, la campagna di Morales per il “si” si è fondata sugli ottimi risultati economici raggiunti in questi ultimi anni in qualità di discepolo modello della finanza internazionale, ma non più di tanto sull’appoggio popolare.

Tuttavia, Morales ha comunque altri quattro anni di governo per trasformare di nuovo la Bolivia in quel paese a cui in molti, anche dall’Europa, guardavano con speranza, ed ha il compito di mantenere la barra dritta del campo bolivariano. C’è tempo e modo per raddrizzare la situazione, ma sarebbe necessario un mea culpa da parte del Mas e dei movimenti sociali cooptati dal governo per evitare che la Bolivia torni ad essere quella di Sanchez de Lozada. Tutto ciò in attesa dei risultati definitivi dalle urne con la speranza, anche se remota, di un sorpasso del “si”.

(*) tratto da www.peacelink.it del 24 febbraio 2016

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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