Bologna: morte in carcere

Essere detenuti alla Dozza accorcia la speranza di vita? Appello per la costituzione di un comitato popolare di indagine

di Vito Totire (*)

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Viene spontaneo chiedersi se le condizioni cliniche della persona di 55 anni deceduta in carcere – alla Dozza – il giorno di Pasqua fossero compatibili con la detenzione.

Non è da oggi che ci occupiamo di questo problema; nel 1986 nella Dozza si impiccò J. B. Era in attesa di trasferimento in casa di cura. Il trasferimento non fu attuato… per mancanza di personale. Un suicidio annunciato? La detenuta aveva battuto per molte ore le sbarre gridando: «Mi ammazzo!».

La magistratura non riscontrò nessuna responsabilità…

Nel mese di febbraio 2016 c’è stato il suicidio di un detenuto di 27 anni. Adesso un decesso per “arresto cardiaco”: vuol dire tutto e niente; e gli esami tossicologici? Diranno qualcosa?

Ovviamente morti e suicidi avvengono anche fuori dal carcere; citiamo il caso del signor Mignano, 37 anni, morto nel dicembre 2015 al sant’Orsola. Sviluppi dell’inchiesta? Non ne sappiamo nulla pur se abbiamo avanzato istanza di costituzione di parte civile.

Non cerchiamo colpevoli, cerchiamo verità.

LANCIAMO LA PROPOSTA DI COSTITUZIONE DI UN COMITATO POPOLARE DI INDAGINE.

Si tratta di capire come si fa prevenzione. E non ci pare che la prevenzione consista nell’accentuare provvedimenti custodialistici. (è stata trovata eroina in cella?) Evitiamo la ricerca unilaterale di spiegazioni “rassicuranti”: parliamo concretamente di «accoglienza per i nuovi giunti».

Circa l’ultimo luttuoso episodio di decesso, proprio il giorno di Pasqua, raccogliamo diverse notizie diffuse in un contesto in cui è difficile cogliere il confine tra privacy/segreto istruttorio e preoccupazione di “assolvere” l’istituzione totale.

Pesano però alcuni interrogativi:

è adeguata l’accoglienza per i “nuovi giunti” ? Se ne parla da almeno 20 anni ma non si ancora capito se c’è una condivisione di criteri accettabili;

il nuovo giunto viene collocato in celle da tre persone di cui due stranieri, magari quelli più in difficoltà a recepire chiamate di aiuto?

le condizioni di sovraffollamento e di degrado della Dozza non hanno nessun ruolo? Lo abbiamo già detto per la vicenda del suicidio di febbraio: non è che il degrado sia di per sé direttamente suicidogeno ma la detenzione in una struttura “illegale” dal punto di vista delle norme di igiene edilizia non è da trascurare ulteriormente.

Le cronache dicono che in cella, la sera prima del decesso, si è fumato; prendiamo atto: infatti non abbiamo avuto nessun riscontro circa un nostro esposto sul tema «protezione da fumo passivo» alla Dozza. Sono quisquiglie? La legge 3/2003 nelle carceri è in vigore o le prigioni sono terra di nessuno? Vedremo in seguito.

Quest’ultimo detenuto morto ha fatto esami mirati a valutare il rischio cardiovascolare? Se fosse stato ricoverato, ovviamente piantonato, in una struttura specialistica, monitorato con ecg holter, la sua speranza di vita sarebbe stata analoga?

Non ci saranno analogie con il caso di J.B. del 1986 ? per esempio una diversa speranza di vita… se la persona fosse stata “custodita” in un luogo diverso?

Era difficile prevedere che una persona, autrice di un grave crimine, così pubblicamente esposta alla pubblica esecrazione – esecrazione che in tanti hanno ritenuto di “spiegare” – potesse essere al riparo da quelle reazioni da “crepacuore” che la medicina psicosomatica descrive da secoli?

Nel sistema carcerario rimangono problemi insoluti e dinamiche che non intendiamo “giustificare”.

Si apra una indagine popolare: il ruolo della magistratura, importante ed insostituibile, non pare possa essere considerato esaustivo.

Auspichiamo contatti dalla popolazione detenuta e dai lavoratori del carcere.

Bologna, 1.4.2016

(*) Vito Totire è portavoce del Centro “Francesco Lorusso” e del circolo “Chico” Mendes di Bologna.

 

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