Bologna: scienza medica in fumo (marca Philip Morris?)

di Vito Totire (*)

Sembra il festival del sapere capitalista. Eppure un’altra medicina è possibile.

Per la quarta volta Bologna accoglie una kermesse internazionale della scienza medica (**). Ma di quale scienza? Una medicina ridotta a ruolo ancillare nei confronti del potere economico non serve a “tutti” ma a (i soliti) pochi…

E poi la gaffe plateale: cosa c’entra Philip Morris?

Purtroppo non siamo più ai tempi delle grandi lotte popolari per la salute e della collana di libri “Medicina e potere” diretta da Giulio Maccacaro. La capacità critica della medicina alternativa si è affievolita…ma dobbiamo riprendere in mano il discorso.

La manifestazione bolognese appare una parata dell’armata industrial-farmaceutica (i nomi delle industrie si deducono dal programma) ed è in sostanza il festival della medicina del capitalismo mondiale. Nonostante la presenza e il contributo di decine di ricercatori che anelano spesso all’indipendenza (auguriamo loro di mantenerla e/o raggiungerla). Dal programma emerge un’impostazione dei lavori focalizzata sulle ultime mirabolanti tecnologie terapeutiche: onnipotenza della medicina riparativa ma si rinuncia alla prevenzione. Infatti di prevenzione non si parla mai nel programma. Forse si farà accenno al tema in qualche conferenza ma probabilmente con la constatazione e il rammarico (sincero o no?) di chi ha perso l’autobus ma spera nella (immediata?) disponibilità dell’auto personale e di grossa cilindrata per rimontare lo svantaggio accumulato, cioè – fuor di metafora – nella medicina riparativa.

Ora noi riteniamo che la ricerca scientifica sia essenziale e irrinunciabile nella nostra società ma che occorra prendere alcune precauzioni:

  1. Non fare delle tecnologie un surrogato postumo della prevenzione;
  2. Dominare le tecnologie e non esserne dominati;
  3. Usarle per aumentare le occasioni di libertà e non per produrre nuovi strumenti di controllo biologico e sociale;
  4. Affrontare la relazione fra primato della prevenzione e tentativo di onnipotenza terapeutica a posteriori.

Quello che traspare dal festival della scienza è una fiducia aprioristica nella onnipotenza delle tecnologie che “casualmente” sono gestite da gruppi di potere economico i quali “non sempre” (diciamo così) sono in grado di distinguere tra il profitto soggettivo e il bene collettivo;

Traspaiono con grande evidenza ruolo e regia dell’industria farmaceutica e di altri gruppi privati. Molto defilato appare invece il ruolo delle istituzioni pubbliche sanitarie se non quando alleate su obiettivi comuni come quello dell’incremento parossistico dell’uso di massa dei vaccini (su cui ci sarebbe molto da discutere, evitando invettive e guerre di religione).

Certo qualche spazio viene riservato – ma pare solo coreografico e marginale se non asfittico – alla relazione (teorica?) fra medico e paziente. Ma i rapporti di potere rischiano di essere mascherati dalle chiacchiere sull’apparente partecipazione;

Le tecnologie garantiranno la salute a tutti? Oppure garantiranno ancora più salute a pochi mentre lo stato di salute della grande maggioranza della popolazione mondiale continuerà a peggiorare a dispetto delle tecnologie esistenti ma comunque non accessibili?

Non appare casuale che nel Festival non si parli mai di “gradiente socio-economico nella realizzazione del diritto alla salute”. Non vediamo fra gli invitati studiosi come Michel Marmot, Giuseppe Costa, Di Vico, vale a dire chi ha evidenziato come il miglioramento della salute della popolazione dipende da tante variabili fra le quali le tecnologie, pur utili e necessarie, hanno un ruolo marginale;

Discutibile è poi l’approccio proposto dal professorPietro Pietrini dell’IMT di Lucca nella conferenza di domenica: un approccio forse sfuocato dalle modalità di presentazione da parte dei media. Ma ci pare che porre l’accento –per quel che riguarda la violenza sulle donne – sui disturbi psichiatrici degli aggressori e sull’abuso di alcool enfatizzi aspetti marginali o secondari (certamente dal punto di vista numerico e statistico) rispetto al dato principale – che pure Pietrini cita – cioè quello socio-culturale di una cultura violenta e maschilista.

Abbiamo citato prima la vecchia collana “Medicina e potere” e pare dunque pertinente il richiamo a Thomas Scheff e al suo «Per infermità mentale», posizioni da rimeditare se non vogliamo scivolare su stereotipi pre-Basaglia. Sostenere che la violenza contro le donne ha basi psicopatologiche è come dire che l’ostilità e le aggressioni contro gli immigrati sono frutto di “fobia” e dunque le politiche nazifascista non hanno responsabilità.

Fuor di polemica, dobbiamo ringraziare gli organizzatori di questa kermesse sia perché contribuisce alla diffusione di informazioni scientifiche e sui progressi delle ricerche in ambito tecnologico (neuroimaging, cure palliative, immunoterapie, ritmi circadiani) sia perché ci fa conoscere le tendenze del mercato capitalistico della sanità. Vengono in mente teorie del vecchio “movimento studentesco” quando ipotizzava l’uso parziale alternativo delle istituzioni; la neuroimaging sarà “al servizio del popolo” o servirà – come si sta già concretizzando – a controllare anche lo stato emotivo dei lavoratori irreggimentati in condizioni schiavistiche? Festival di questo tipo sono il contributo della medicina del capitale e non dei scienze mediche al servizio della collettività.

Si è voluto “strafare” con la PM (Philip Morris) che nientemeno si intratterrà sul tema della «sfida del XXI secolo contro i danni da fumo». Siamo all’assurdo; la PM ha prodotto merci che hanno concausato e concausano ancor oggi stragi in tutto il mondo ma ci viene a parlare su come prevenirle. Per facilitare una discussione concreta sul “tabacco che non brucia” PM avrebbe una soluzione molto semplice: smettere di produrre e vendere le sigarette tradizionali; poi si potrebbe discutere più serenamente del cosiddetto «impatto sanitario potenzialmente ridotto», formula “nuova” e inquietante che la Philip Morris sta cercando di introdurre nella comunità scientifica. Il danno viene descritto come “potenzialmente” ridotto, vale a dire che lo stesso produttore non è sicuro della riduzione né sa quantizzarla.

Una domanda: azzerare le sigarette, senza passare al “tabacco che non brucia” comporta una potenziale riduzione o un azzeramento dell’impatto sanitario?

Non capiamo che merce PM voglia produrre: quale la sua utilità sociale? Una sigaretta che non lo è ma serve a esercitare la muscolatura labiale? Un oggetto transazionale per chi voglia tornare ogni giorno a riesercitare una regressione alla fase orale?

E per questo – già che ci siamo – hanno cementificato vari ettari di terreno a Crespellano?

Troviamo disdicevole che “Genius Bononiae” abbia offerto un palco senza contraddittorio a PM anche se siamo grati di questa gaffe perché ci aiuta a comprendere meglio lo stile di lavoro e le finalità della organizzazione.

Nessun intento denigratorio, grazie anzi a tutti quelli che parteciperanno: anche da certi loro interventi (o “comizi”) coglieremo informazioni utili. Però non nascondiamo la contraddizione: quella in mostra è “una medicina”. Ma anche un’altra medicina è possibile.

(*) Vito Totire a nome di AEA (Associazione esposti amianto e rischi per la salute), del circolo Chico Mendes e del Centro per l’alternativa alla medicina e alla psichiatria “Francesco Lorusso”

(**) qui il programma:Festival della Scienza Medica – Bologna Medicina 2018

L’IMMAGINE – scelta dalla bottega – è “Teschio con sigaretta accesa”, una delle opere più macabre (e fra le meno note) di Vincent Van Gogh. E’ dell’inverno 1885/86 e si trova ora ad Amsterdam, ovviamente nel Van Gogh Museum.

 

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