Bologna: un suicidio?

A proposito di Cheikou Oumar Ly, morto in questura venerdì 22 settembre

di Vito Totire (*)

Il circolo Chico Mendes e il Centro Francesco Lorusso avanzeranno istanza di costituzione di parte civile se vi sarà un procedimento di indagine, che a noi pare doveroso, sulla morte di Cheikou Oumar Ly. Le informazioni che sinora abbiamo sono solamente quelle riportate dalla stampa e pare necessario attendere le valutazioni medico-legali e autoptiche.

Se si è trattato di suicidio dobbiamo riaffrontare un problema complesso: prevenire un evento di questo genere non è mai stato facile neppure per Franco Basaglia. Tuttavia se si è verificato un suicidio evidentemente le strategie di prevenzione adottate non sono state sufficienti. A questa evenienza fa riferimento il Siulp quando riferisce di un sistema di vigilanza lacunoso; ammesso che di solito sia adeguato e sufficiente (e non lo è) a sopperire alle carenze di personale.

Ovvio che la prevenzione non deve fare affidamento solo o soprattutto su un sistema custodialistico di tipo fisico. La vigilanza deve essere dinamica e personalizzata tenendo conto di variabili culturali e psicologiche.

Si dice che Cheikou avesse fatto un gesto autolesionista; qualcuno si è affrettato a definirlo “non grave”. In verità i segni premonitori di un comportamento autolesionista grave possono essere anche meno evidenti ma occorre saperli decodificare. Occorre prevedere le reazioni che quella singola persona in osservazione potrebbe avere.

In questa luttuosa vicenda, se di suicidio si è trattato, occorre ricostruire tutti i dettagli e i segni precedenti all’atto. Un atto che peraltro – semprechè di suicidio si tratti – non fa pensare a un rischio cronico ma a una reazione improvvisa di violenza agìta dalla persona contro se stessa. Questa ipotesi aggiungerebbe rammarico al sentimento di lutto che ci colpisce perché in gesti di violenza a 360 gradi, se si riesce a prevenire conseguenze estreme è facile che il rischio sfumi nel tempo, a differenza di quelle condizioni che la psichiatria definisce nosograficamente come “depressioni”;

MA VOGLIAMO E DOBBIAMO CAPIRE IN CHE COSA E’ CONSISTITO IL PIANO DI PREVENZIONE, VISTO IL TRAGICO EPILOGO.

Di prevenzione dei suicidi si parla più concretamente dalla metà degli anni novanta del secolo scorso quando fu affidato uno studio allo psichiatra Paolo Crepet. Si cominciò a prestare attenzione ai “nuovi giunti”. Oggi questa attenzione va arricchita dagli elementi che conoscono tutti: la mediazione culturale per esempio. I segni premonitori del suicidio possono essere diversi per gli africani da quelli degli occidentali, per fare un esempio.

Cheikou è stato considerato un “nuovo giunto”? E’ stato visitato, ha sostenuto un colloquio con uno specialista? O vogliamo tranquillizzarci la coscienza con la frase che rimbalza sui quotidiani secondo cui “si era calmato”?

Gli eventi suicidari fra persone private della libertà sono stati spaventosamente frequenti nel 2017. Occorre un piano strategico che prescinda dalla ricerca di capri espiatori. A questo punto di sfascio delle “istituzioni totali” il monitor che non funziona può essere solo la goccia che fa traboccare il vaso ma il diritto alla vita delle persone ristrette e dunque la affermazione dei diritti sanciti dalla Costituzione repubblicana dipendono solo in maniera molto marginale da una “buona” videosorveglianza.

Non vogliamo sorvolare su questo punto: IRRITA LA “GEOMETRICA POTENZA” DELLA VIDEOSORVEGLIANZA A TUTELA DELLA PROPRIETA’ PRIVATA O DELLA PREVENZIONE DEI GRAFFITI A FRONTE DELLA – DICHIARATA – AVARIA DEL SISTEMA QUANDO E DOVE POTEVA ESSERE UTILE PER PREVENIRE UN SUICIDIO. Due pesi e due misure?

Esprimiamo sincere condoglianze a chiunque abbia sinceramente provato dolore nell’apprendere la notizia del decesso. A chi è più vicino, alla sua comunità, ai suoi familiari mettiamo a disposizione il nostro impegno per la verità e la giustizia.

24-09-2017

(*) Vito Totire è psichiatra e portavoce del Circolo Chico Mendes e del Centro Francesco Lorusso

L’IMMAGINE QUI SOPRA – SCELTA DALLA REDAZIONE – E’ RIPRESA DALLA RETE, CHE INDICA COME FONTE Nonciclopedia.  Chi poco sa di Bologna forse si chiederà cosa c’entri la “banda della Uno Bianca” con quel che è successo venerdì scorso. Il punto di vista di molte persone che vivono a Bologna o la conoscono è che l’ombra lunga (complicità e silenzi dunque una rete di ricattatori e ricattati) della Uno Bianca continui oggi ad allungarsi sulla questura di Bologna. Furono condannati, con varie pene, in 6: Roberto Savi, Fabio Savi, Alberto Savi, Marino Occhipinti, Pietro Gugliotta e il “pentito” Luca Vallicelli, tutti in polizia. Ma le indagini sono state subito bloccate. Chi pensa che 103 “azioni delittuose” – con 24 morti e 102 feriti – fra il 1987 e il 1994 possano essere avvenute senza una copertura o (a esser buoni) senza clamorosi errori investigativi crede alle favole. Ma se così è, e se quella questura non è stata “bonificata”, bisogna prendere in seria considerazione che fra polizia e magistratura vi sia stato (o Stato?) e – ancora dopo 20 anni – vi sia uno scellerato patto di silenzio. Per questo quel che succede nella questura di Bologna va guardato sempre con gli occhiali di chi non dimentica che lì si annidarono per anni gli assassini della Uno Bianca e lì probabilmente restano alcuni dei loro complici o comunque una logica di coperture/impunità. E comunque per chiunque entri vivo in una questura – sia un ferroviere anarchico oppure un senegalese che ha picchiato la moglie – ci dovrebbe essere la garanzia che vivo uscirà. [db]

 

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Un commento

  • Daniele Barbieri

    «Ancora una morte sospetta di un emigrato senegalese in Italia»: così inizia l’articolo pubblicato da “Horizon sans frontiere Senegal” (l’articolo è qui:http://cms.sennews.net/share.php?url=http%3A%2F%2Fwww.enqueteplus.com%2Fcontent%2Fmort-d%25E2%2580%2599un-s%25C3%25A9n%25C3%25A9galais-en-italie&id=85448) che continua poi – lo traduco per chi non conosce il francese – «l’organizzazione HSF sottolinea che questa versione (della polizia) è stata giudicata inverosimile da amici e parenti della vittima che hanno chiesto un’autopsia».
    Lo riproduco per intero qui sotto.
    «Encore une morte suspecte d’un émigré sénégalais en Italie ! Il s’agit de celle du nommé Cheikh Oumar Ly. Celui-ci aurait perdu la vie dans la nuit du 22 au 23 septembre, dans les grilles de sécurité de la Kestura (police) de San Vitale, à Bologne, où il était gardé à vue, suite à une dispute conjugale. Selon l’organisation internationale de défense des migrants Horizon sans frontières, c’est le lendemain, au petit matin, que la police a appelé la femme du défunt pour lui annoncer que son mari se serait suicidé par pendaison… avec son tee-shirt.
    HSF renseigne que cette version a été jugée ‘’invraisemblable’’ par les proches et amis de la victime et la communauté sénégalaise d’Italie qui a demandé une autopsie. Ladite demande aurait été rejetée par le procureur italien. C’est la raison pour laquelle l’organisation veut que ‘’la vérité soit établie sans l’ombre d’un doute et pour édifier la famille’’.
    Boubacar Sèye demande également au procureur ‘’d’user de ses pouvoirs pour éclairer l’opinion sur les circonstances de ce drame’’. Au passage, il exhorte l’Etat à une meilleure protection des Sénégalais de l’extérieur. Selon HSF, Cheikh Oumar Ly était ‘’l’espoir de toute une famille restée au Sénégal’’. Il était établi en Italie depuis plus de 4 ans, et est père d’une fillette de 2 ans dont la mère est d’origine italienne».

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