Brasile: #Dilmais4anos. Una vittoria per tutta l’America Latina.

di David Lifodi

La buona notizia delle presidenziali brasiliane è che Dilma Rousseff ce l’ha fatta, anche se di un soffio: con circa il 3% dei consensi ottenuti in più del suo rivale Aecio Neves (51,6% contro il 48,3%), la presidenta sarà di nuovo alla guida del paese per i prossimi quattro anni. La riconferma di Dilma non era scontata: al primo turno Rousseff aveva ottenuto il peggior risultato dalla vittoria del Partido dos Trabalhadores (Pt) e di Lula alle presidenziali del 2002.

Il percorso di Dilma per rimanere al Planalto si era complicato a seguito dell’inaspettato ballottaggio fratricida a destra che a sorpresa aveva incoronato Aécio Neves su Marina Silva per ottenere il diritto a sfidare la Rousseff. Neves è un rappresentante di spicco dell’estabilishment conservatore brasiliano, uno che non si è mai fatto alcun problema, nel corso di tutta la sua campagna elettorale, a dire che il Brasile doveva uscire dall’asse integrazionista latinoamericano per associarsi agli Stati Uniti, come hanno sempre sostenuto il Partido da Social Democracia Brasileira (Psdb) e l’ex presidente tucano del paese Fernando Henrique Cardoso. Inoltre, c’era il forte timore che la sommatoria dei voti ottenuti da Neves e Marina Silva avrebbe finito per ritorcersi contro Dilma. E invece Marina, che aveva ottenuto consensi non solo dall’elettorato di destra, grazie al suo programma qualunquista, non è riuscita a convincere tutto i suoi simpatizzanti della necessità automatica di trasferire il voto da lei a Neves. Sebbene il suo discorso, volutamente antipolitico, le avesse fatto conquistare voti anche a sinistra, al momento del ballottaggio coloro che l’avevano appoggiata al primo turno solo per punire il Pt hanno scelto Dilma Rousseff, a partire, pare, da due mostri sacri della musica brasiliana come Caetano Veloso e Gilberto Gil. La classica competizione che ha animato la politica brasiliana, quella tra il Psdb (vittorioso nel 1994 e nel 1998) e il Pt (affermatosi nel 2002, 2006, 2010 e 2014), in realtà era decisiva anche per l’intera America Latina: se Neves avesse vinto, il Brasile si sarebbe allontanato dal Mercosur per aderire a quell’Alleanza del Pacifico a cui hanno dato impulso gli Stati Uniti con i paesi dell’America Latina loro alleati, dal Paraguay alla Colombia passando per il Perù. Nonostante le tante contraddizioni all’interno del Pt, a Dilma gli elettori hanno riconosciuto il raggiungimento di risultati importanti. Il programma Bolsa Familia ha permesso a milioni di brasiliani di uscire dalla povertà estrema, al pari del programma Mais Medicos, fortemente osteggiato dalla destra e che invece ha consentito ad un’ampia fascia sociale di persone di poter usufruire dell’assistenza sanitaria. In molti, a sinistra, consideravano la vittoria di Neves come una vera e propria sciagura per il paese. In una lettera aperta firmata da prestigiosi intellettuali si evidenziava come il voto per Dilma fosse decisivo per ricacciare indietro il neoliberismo, pur essendo consci che in questo secondo mandato, come del resto nel corso dei primi quattro anni al Planalto, difficilmente Dilma potrà davvero dare un’impronta socialista al paese, sia perché al Congresso la destra si è comunque rafforzata sia perché il Pt ha ormai abbandonato gli ideali che lo avevano contraddistinto dalla sua nascita negli anni ’80, nel segno della governabilità e della stabilità economica. La preferenza per Dilma, all’insegna del motto voto no Brasil para todos, não no Brasil para poucos, è stato un voto espresso anche per incoraggiare la presidenta a difendere il paese dagli avvoltoi di turno esterni (Fondo Monetario e Stati Uniti) ed interni (grandi imprese, bancada ruralista, evangelici fondamentalisti, latifondo mediatico e agrobusiness). A pochi giorni dal ballottaggio, la destra ha cercato apertamente la strada del golpe, magari soft, ma con l’intento di riportare indietro le lancette del paese. L’impero mediatico che fa capo a Globo ha utilizzato una forma di comunicazione già collaudata ai tempi in cui fu rovesciato Joao Goulart nel 1964, con titoli enormi che attribuivano a Dilma Rousseff la responsabilità della crescita dell’inflazione e della corruzione dilagante nel paese. Lo stesso sistema ha contribuito al rovesciamento del presidente Fernando Lugo in Paraguay e di Manuel Zelaya in Honduras grazie ad una campagna di stampa dei principali mezzi di comunicazione alleati della borghesia e del grande capitale. Per sventare tutto questo anche il Movimento Sem Terra, che pure non è mai stato tenero con Dilma Rousseff, ha scelto di appoggiarla, nella speranza che la riforma agraria, la riforma dell’istruzione e quella politica diventino realtà: Neves rappresentava quei settori del paese che avevano creato le condizioni per massacri come quello di Eldorado dos Carajás. Al tempo stesso, in chiave esclusivamente elettorale, il Partido Socialista Brasileiro (Psb), già diviso in occasione del primo turno (il coordinatore Carlos Siqueira si era dimesso dal ruolo di coordinatore della campagna per le presidenziali), quando non tutti i membri del partito erano convinti che appoggiare Marina Silva fosse la soluzione migliore, hanno continuato a dividersi anche in occasione del ballottaggio. Tutto ciò ha finito per indebolire non solo la Silva, ma anche Neves, che non è stato appoggiato ufficialmente da tutto il Psb. Se il successo di Dilma Rousseff è stato accolto con un sospiro di sollievo dalle sponde progressiste di tutto il continente, è anche vero che, per quanto possa essere difficile, Dilma Rousseff dovrà fare un governo davvero di centrosinistra e abbandonare alcune alleanza di orientamento conservatore,  in particolare quelle con le elites economiche, oltre che darsi da fare affinché la base del Pt torni ad essere quella dell’impegno sociale e civile e non infestata da tecnocrati. Difficile che il Pt torni a rappresentare un’alternativa di classe per la sinistra brasiliana, così come è evidente che, aldilà dei torni apocalittici utilizzati strumentalmente dalla stampa di destra, la riconferma di Dilma non rappresenti un’opzione propriamente di sinistra, ma come aveva scritto anche il quotidiano Brasil de Fato, votare Neves avrebbe significato portare alla rovina un paese che già al Congresso vanta un ampio schieramento conservatore che probabilmente riuscirà a paralizzare anche le più timide istanze progressiste del Pt. Il 5 ottobre scorso la coalizione di centrosinistra aveva già perso il governo di tre stati rispetto alla tornata precedente (da 18 a 15). Contemporaneamente, il Psdb aveva guadagnato terreno nel distretto federale di Brasilia, in quelli di Rio de Janeiro, San Paolo e Minas Gerais, che però alla fine è tornata petista dopo 12 anni di dominio tucano, compresa l’amministrazione dello stesso Aécio Neves.

In definitiva, per Dilma si è trattato di un successo tutt’altro che scontato, e raggiunto grazie all’ampia mobilitazione della sinistra e delle organizzazioni popolari. Adesso, per quanto possa essere difficile, la presidenta dovrebbe governare secondo le indicazioni della società civile e delle organizzazioni popolari e non stringere patti con il diavolo (estrazione mineraria, centrali idroelettriche, agrobusiness ecc…), altrimenti tra quattro anni la destra potrebbe approfittarne davvero: già questa volta ci è andata molto vicina.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

2 commenti

  • Alberto Chicayban

    Complimenti a David Lifodi! L’analisi realizzata sopra è la più corretta vista da me sulla stampa italiana che, abitualmente, copia le notizie delle agenzie di stampa nord americane oppure riscrive con altre parole gli articoli pubblicati all’interno dei principali periodici made in USA. Dilma Roussef ha vinto per un soffio e, con molta probabilità ci saranno in un futuro prossimo movimenti per cercare di destabilizzare il suo governo o spingerla a stringere accordi dissonanti rispetto gli interessi nazionali. Come abbiamo visto durante il processo elettorale in Brasile, le forze conservatrici e neoliberali possono contare sulla fedeltà di alcune delle principali testate giornalistiche del Paese, con orientamento neoliberale, due delle quali in situazione di tollerata illegalità per avere capitale nord americano nascosto (come le “Organizações Globo” e, molto probabilmente, la rivista “Veja”). Questo senza parlare nell’esercito di professionisti ingaggiati all’interno dei “social networks” che cercano di spingere ad una “primavera brasiliana” tramite manifestazioni surrealistiche che raccolgono parte della gioventù di classe media disinformata e manipolata. Comunque, in 21 anni vissuti in Europa, non ho mai visto tanto spazio occupato dalle questioni brasiliane sulla stampa internazionale come nel periodo delle recenti elezioni presidenziali, nella maggioranza dei casi con articoli che cercavano consensi contro la prospettiva della riconferma di Dilma Roussef e della manutenzione della leadership nazionale-progressista del Brasile nel Sud America. La sopravvivenza del sistema iniziato da Lula ha messo in subbuglio gli USA e i loro complici europei,

  • Ciao Alberto, grazie, ho letto molti articoli sulle elezioni, principalmente su Alainet, Adital, Carta Maior, Brasil de Fato, Correio da Cidadania più tutti quelli che mi ha inviato via via Julio Monteiro Martins. Concordo con il tuo commento. Tra l’altro, anche qui in Italia è stata data un’immagine totalmente distorta delle elezioni brasiliane e del Brasile, ma in ogni caso speriamo che Dilma possa davvero fare qualcosa di positivo, anche se lo scenario politico non è dei migliori.

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