Brasile: i lavoratori informali nella crisi del coronavirus

Intervista rilasciata il 25 marzo a “Marco Zero” da Ricardo Antunes sull’impatto della pandemia sui lavoratori informali brasiliani.

 

 

Quale sarà, secondo Lei, l’impatto della pandemia del nuovo coronavirus nella vita dei lavoratori, ora che in Brasile sono state approvate la legge sull’esternalizzazione e le riforme del lavoro e della previdenza sociale?

 

Se si ha una classe lavoratrice stabile e dotata di diritti, qualsiasi decisione presa dai governi e dalle aziende deve fare i conti con tali diritti. Che cosa succede, però, quando i diritti dei lavoratori sono stati cancellati, specie a partire dal 2016? Questo è lo scenario che abbiamo oggi di fronte. Una massa enorme di lavoratori intermittenti costretti a lavorare otto, dieci, dodici e perfino quattordici ore al giorno. Costretti a lavorare, perché se non lavorano non hanno nulla. Un lavoratore di Uber, Rappi, Ifood e quant’altro, come farà ora? Che diritto ha di stare a casa e aspettare che questa tragedia passi? La élite politica, lo stato e il capitalismo brasiliano non gli garantiscono questo diritto. Ecco perché la chiamo schiavitù digitale [qui Antunes fa riferimento al suo ultimo libro O privilégio da servidão. O novo proletariado de serviços na era digital, Boitempo, 2018 – Il privilegio della schiavitù. Il nuovo proletariato dei servizi nell’era digitale]. Questi lavoratori sono imprigionati nell’informalità che caratterizza le piattaforme digitali. Su di loro si è costruita una gigantesca manipolazione che li definisce fornitori di servizi; non sono salariati e, di conseguenza, non possono avere diritti. Tutti i lavoratori uberizzati che ho intervistato erano metalmeccanici, ingegneri e perfino un veterinario. Tutti hanno detto che hanno bisogno di lavorare 12 ore, sette giorni su sette, per ottenere una media di 3.000 Reais netti [ndr. 550 €]. Le spese per la benzina, la pulizia, la sicurezza, la formazione, il cibo, il telefono cellulare, le applicazioni e tutto il resto, sono a carico del lavoratore.

Cosa faranno ora? In passato ho definito la società brasiliana di oggi “società dell’esternalizzazione totale”: è stato quando Temer, il signore delle paludi, ha dato il via libera all’esternalizzazione totale. Fu chiaro allora che si sarebbe gettata un’enorme massa di lavoratori nella tragedia. Questo quadro è stato accentuato dalla riforma del lavoro di Temer, che io definisco contro-riforma del lavoro. Il lavoro intermittente è ora considerato “legale” e “formale”. Ma si tratta di una legalità che legittima l’illegalità. È il formale che legittima l’informale. Bolsonaro ha fatto ciò che Temer non è riuscito a fare: lo smantellamento del welfare. C’è una massa enorme di uomini e donne che non ha modo di incontrare la formalità e si registra presso il Micro Entrepreneur Individual (MEI), che non è altro che un tentativo di coprire il sole con il setaccio. Chi lavora 12 ore al giorno non è un microimprenditore di sé stesso, ma un “proletario di sé stesso”. E la domanda è: “E adesso, José?”. Ci sono più di cinque milioni, alcuni parlano di cinque milioni e mezzo di giovani che lavorano con le applicazioni. Come faranno? Consegneranno forse il cibo quando tutti sono a casa? Viviamo in una società selvaggia che ha realizzato una corrosione senza limiti del lavoro e il risultato è una massa di individui privi di tutele e di assistenza sanitaria.

 

Ci sono quelli che lavorano con le applicazioni, ma esiste anche il commercio informale, dove spesso sono collocati gli immigrati e altri segmenti di popolazione, i più vulnerabili dal punto di vista economico e sociale. Come vede la situazione di queste persone di fronte allo scenario pandemico?

 

Si tratta delle estremità più precarie del sistema. Solo i disoccupati stanno peggio di loro, perché sono già in piena disperazione. Chi è collocato nel lavoro informale di strada è il tipo di lavoratore sottoutilizzato, che si dirige verso il lavoro informale perché non trova spazio nel mercato formale. Il Brasile ha il 40% della popolazione occupata nel settore informale, in diverse capitali del Nordest la percentuale supera il 50% e il 60%. Non è un caso che alcuni di questi lavoratori siano immigrati: è quello che succede in Europa o negli Stati Uniti. Il lavoratore immigrato è la punta più precaria del lavoro precario su scala globale. Un lavoratore lascia l’Africa, l’Asia, il Medio Oriente solo per andare in Europa o negli Stati Uniti, considerati “più sviluppati”, perché nel proprio paese vi è già una totale assenza di lavoro. Se il mercato formale, il mondo della valorizzazione del capitale, è a un punto morto su scala globale e il mercato azionario sta precipitando a livelli spettacolari, cosa succede con il mercato del lavoro informale? È l’assenza come tragedia. In primo luogo, abbiamo l’assenza di un acquirente, che si traduce nella mancanza di risorse minime per la sopravvivenza. La terza assenza è quella di un sistema di previdenza e sicurezza sociale e, come se non bastasse, c’è anche l’assenza di un servizio sanitario pubblico in grado di assistere i lavoratori informali. Il Brasile ha il Sistema Sanitario Unico (SUS), che è molto importante, ma nel corso del tempo è stato distrutto. La PEC, che vieta l’incremento delle risorse per la salute, l’istruzione e la sicurezza sociale, approvata durante il governo di Michel Temer, fa sì che i lavoratori e i loro familiari non ottengano negli ospedali alcuna cura anche se contraggono l’infezione da coronavirus. Questa tragedia non è stata causata dal coronavirus, precede la situazione attuale, ma è amplificata in modo esponenziale dalla pandemia.

Se confrontiamo la situazione brasiliana con quella dei paesi scandinavi, come la Svezia, o con la Danimarca dove i tassi di lavoro informale sono più bassi, le persone sono tenute a casa e saranno pagate, usufruiranno (in qualche misura) di un servizio sanitario pubblico. Nei paesi periferici come il Brasile, i lavoratori informali e precari vengono gettati per strada, e quelli colpiti più duramente sono gli immigrati e i neri. Se fossimo nei paesi dell’America ispanica, come la Colombia o il Perù, per esempio, i più colpiti sarebbero gli indigeni. Siamo sull’orlo di un profondo collasso sociale. Non è una novità perché il Brasile sta crollando. Abbiamo visto l’ex capitano Jair Bolsonaro andare alla manifestazione a sostegno del governo federale, proprio mentre è molto dubbio se egli sia contaminato dal virus o meno, in quanto non ha mostrato alcun documento rilasciato da una qualsiasi agenzia sanitaria che attesti la sua negatività… come ha potuto andare a un tale incontro e salutare la gente? Per non parlare della truffa e della dimensione irriflessiva di questi movimenti. Ci sono orde di fascisti e alcuni ingenui in mezzo a loro che, nei momenti di caos, cercano di creare agitazione: è una caratteristica molto importante del fascismo. Fu così in Italia e in Germania. Per quanto riguarda il Brasile, ci troviamo in una situazione tragica. Negli Stati Uniti, le grandi aziende cercano risorse per ridurre al minimo la tragedia. In Brasile il neoliberalismo ha un carattere devastatore, le aziende non pagheranno i lavoratori che non lavorano, tutti coloro che lavorano con le applicazioni non saranno pagati perché considerati fornitori di servizi. Il sistema di welfare sarà chiuso per loro, e la salute pubblica dipenderà dalle cure e dai letti esistenti nella precaria situazione della sanità pubblica, che è stata distrutta dai governi neoliberali in Brasile.

 

Aziende come Uber, 99, Rappi e Ifood hanno annunciato la creazione di fondi per i lavoratori contaminati e incapaci di lavorare nonché la distribuzione di kit igienici per chi lavora. Si nota che la preoccupazione è quella di mantenere i servizi funzionanti, non quella di garantire la salute delle persone che lavorano. Ritiene che queste misure corrispondano, a un certo livello, alle esigenze dei lavoratori?

 

L’unica soluzione possibile ora sarebbe quella di eliminare il PEC da fine del mondo e di smetterla con il porre limiti di spesa per la sanità, l’istruzione e il welfare. Le misure palliative sono inaccettabili. Kit d’igiene per il lavoratore disoccupato che torna a casa da una famiglia che potrebbe essere contaminata? Il minimo che dovremmo avere è la garanzia di uno stipendio pieno pagato dallo Stato. La cosa importante non è salvare le compagnie, perché abbiamo sentito: “Salviamo le compagnie aeree” (ma si salverà la compagnia senza licenziare nessuno?). Che senso ha dire “finanziare le aziende” senza dire che è loro proibito licenziare? Il problema centrale è che abbiamo una classe dominante senza igiene. Parlo in senso metaforico: intendo dire che è priva di un senso umano e sociale. In Francia, in Spagna, o anche nei tribunali di Londra, si sta cercando di stabilire che i lavoratori e le lavoratici che lavorano per le aziende delle applicazioni devono avere diritti sul lavoro. E quando non possono lavorare, devono stare a casa e ricevere contributi dallo Stato e dalla previdenza pubblica. Ma il nostro paese è stato completamente distrutto da un governo che ci sta portando ogni giorno di più allo sfascio. L’ordine del giorno è stato quello di mantenere un malgoverno che è un esempio di debacle inimmaginabile. Paulo Guedes (il ministro dell’Economia) è stato definito da un grande economista del capitale finanziario, uno che trae profitto dal capitale finanziario, un “liberista primitivo”. E chi paga il conto della borghesia primitiva sono gli operai e i lavoratori, e più sono privi di diritti, più questo processo sarà violento nei loro confronti. Non può durare a lungo, non c’è una società che sostiene così tanta devastazione. Nel dire questo non ho certo la sfera di cristallo. È il caso del Cile, dove sono già trascorsi quattro mesi dall’inizio delle proteste. Non c’è stata una settimana senza una manifestazione e la polizia agisce brutalmente perché l’esercito lì è fascista, la polizia è rimasta pinochetista. Poi arriva il massacro, e la popolazione risponde con più scontri.

 

Abbiamo visto la popolazione pretendere risposte efficaci per questa pandemia, sia attraverso i gruppi sia attraverso i social network, visto che parte della società oggi è dentro le case. In Portogallo, i lavoratori di un centro commerciale hanno protestato per avere il diritto di rimanere a casa e di non esporsi alla contaminazione. Pensa che in Brasile le rivolte della classe operaia possano intensificarsi?

 

Servirebbe un’analisi più approfondita per capire perché ci troviamo in questo quadro di relativa smobilitazione e apatia dei movimenti popolari. Quello che posso dirvi è: una cosa sono le rivolte e le ribellioni organizzate, un’altra cosa sono le rivolte e le ribellioni delle persone disperate, perché non hanno niente da mangiare, non possono muoversi o lavorare. E se sono anziani, non hanno una pensione. Il Cile è stato il modello che ha ispirato il sistema pensionistico di Bolsonaro e Guedes, i poveri anziani non hanno una pensione. Non ce l’hanno! Dopo decenni di lavoro, ricevono una somma irrisoria, che a volte è un terzo del salario che guadagnavano come lavoratori, che in tutta l’America Latina non è certamente alto. Anche senza avere canali di organizzazione, perché questi sono molto frammentati, arriva sempre il momento in cui i lavoratori si alzano in piedi. Se la popolazione sta morendo di malattia, ci si aspetta che muoiano senza reagire? Il film Bacurau è una bella metafora del mondo. Non c’era organizzazione nella metafora di Bacurau, è la fotografia della distruzione del paese. Arriva un momento in cui la popolazione s’indigna e, naturalmente, gli eserciti vengono a massacrare e trucidare. Ci sono circa 200 giovani in Cile che hanno perso la vista di almeno un occhio, lo sapete? La violenza della polizia e dei militari è così brutale che si concentra sugli occhi. Quello che succede in Brasile è che ci sono 12 milioni di disoccupati, cinque o sei milioni scoraggiati e sette-otto milioni sottoccupati. C’è anche il 50% di lavoratori informali e negli stati del Nordest, come nella città di Salvador, anche il 60%: sono indici reali, e non costruiti. Nel mezzo della pandemia la popolazione si renderà conto che questa può essere brutale in breve tempo: i dati provenienti dall’Italia mostrano che non sono solo gli anziani ad essere colpiti dalla malattia, ci sono dei giovani nei reparti di terapia intensiva degli ospedali del nord Italia. Arriva un momento in cui la popolazione, come in Bacurau, non ha più niente da dare. E andrà alla ricerca del gruppo che ha un nucleo di resistenza che strutturerà l’organizzazione per annientare l’invasore straniero. Un invasore desideroso di saccheggiare la ricchezza della nostra popolazione che lavora. Questa è la metafora che dobbiamo capire. Il film Parasite è un’altra metafora, perché la famiglia dei poveri coreani si è piegata il più possibile a una ricca classe media per ottenere il lavoro. Hanno fatto quello che dovevano fare, ma al momento della vendetta il padre della famiglia, che si era piegato per sostenere la famiglia, chi ha ucciso? Ha ucciso il responsabile di tutto questo, il suo capo. È simbolico. E non si può dire che fossero una famiglia di sinistra, erano semplicemente una famiglia di lavoratori che preparava scatole di pizza per la consegna. Il Brasile non è un paese docile, Gilberto Freyre con l’idea della cordialità ha contribuito a mascherare la realtà. Abbiamo una borghesia predatrice e la violenza fa parte del paese. Quante azioni militari sono state necessarie per far saltare in aria il Quilombo dos Palmares [una comunità di schiavi africani fuggitivi nel nord-est del Brasile]? E, allo stesso tempo, abbiamo molte storie di ribellioni in Brasile. Io non sto anticipando nulla, ma dovete ricordare che tre mesi fa la stampa citava il Cile come il più bell’esempio dell’America Latina. Ora, se si va in quel paese, tutto è saltato in aria, perché la popolazione si è stancata di sopportare. E ciò che ha causato questo sconvolgimento è stato l’aumento del biglietto della metropolitana, non la morte di 100 persone, ma l’accumulo di saccheggi e offese, di devastazioni sociali, di sottomissione e disumanizzazione, e di distruzione della dignità umana. Arriva un momento in cui l’uscita è la via del Bacurau, sapete? Non sto anticipando nulla. Ma dubito che una società possa essere devastata così tanto, senza limiti ed eternamente.

 

Siamo nel mezzo di una crisi pandemica che si verifica proprio nel momento in cui il neoliberismo avanza, il che significa una perdita di diritti e altre conseguenze sociali. Abbiamo contesti sociali nella storia recente del Brasile che possiamo paragonare al momento attuale?

 

Se questa conversazione avesse avuto luogo tra il 2011 e il 2013, direi che siamo in un’era di ribellioni spettacolari: la generazione Neet in Spagna, i precari inflessibili in Portogallo, Occupy Wall Street negli Stati Uniti, le esplosioni in Francia, Inghilterra e Grecia. Esplosione in diversi paesi del Medio Oriente. Abbiamo avuto un’era di ribellioni che non si è trasformata in un’era di rivoluzioni – ribellioni e rivoluzioni sono due cose ben diverse. Una cosa non è sinonimo dell’altra. Al contrario, un’era di ribellioni si è trasformata in un’era di controrivoluzioni. E abbiamo avuto l’elezione di Donald Trump, Boris Johnson in Inghilterra, e governi di estrema destra in Austria e Polonia. Attualmente viviamo in un’epoca di controrivoluzioni. L’onda viene dall’estrema destra, ma l’onda passa. Mi capisce? E sapete come può iniziare a passare? Trump ha buone probabilità di essere sconfitto dal coronavirus, da una crisi economica a cui non pensava di arrivare. E se Trump cade, Bolsonaro perde il suo idolo. I due sono grotteschi e molto farseschi. Parlo metaforicamente, ma se Trump perde le elezioni, il fascismo brasiliano perde il suo grande braccio del mondo. E potrebbe essere l’inizio di un’era di rivolte. Naturalmente il Brasile non è un’isola, la globalizzazione del capitale è anche globalizzazione delle ribellioni e delle lotte sociali. Ma la storia è imprevedibile. Scrivilo! È il professor Ricardo Antunes a parlare. Se fossimo nel 1988, e ti dicessi che l’Unione Sovietica sarebbe scomparsa, mi diresti che sono pazzo. Eppure, quella che era la seconda potenza del mondo è scomparsa nel giro di poche settimane. Perché la storia è spietata. Dove sono oggi Hitler e Mussolini? Nel cestino della spazzatura della storia.

Testo ricevuto da Il Cuneo Rosso

Redazione
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