Brasile: i mondiali si avvicinano. Intervista a tutto campo con Julio Monteiro Martins

di David Lifodi

Manca poco più di un mese ai campionati mondiali di calcio che faranno impazzire non solo la popolazione brasiliana, ma quella di tutti i continenti. In attesa del calcio d’inizio, in programma il 12 giugno, un’intervista con Julio Monteiro Martins, docente di Lingua portoghese e traduzione letteraria all’Università di Pisa e direttore della rivista culturale Sagarana (www.sagarana.net) che racconta come il Brasile si sta preparando al grande evento planetario. Un confronto piacevole e a tutto tondo, utile per comprendere tanti aspetti del gigante dell’America Latina, che parte dalla più importante competizione calcistica per snodarsi sui temi dell’economia, dei diritti e delle questioni sociali: sullo sfondo le elezioni presidenziali previste per il 5 ottobre.

D. L’economia brasiliana è in continua e costante crescita e il paese si sente ormai parte di quel primo mondo a cui aspirano anche altri stati del continente. Il brasiliano medio percepisce la disputa dell’imminente campionato mondiale di calcio (e anche delle Olimpiadi di Rio 2016) come un fattore d’orgoglio, oppure sono in molti a condividere lo slogan dei movimenti sociali Copa para quem?

R. Prima di tutto non credo che la distinzione tra “Primo mondo” e “Terzo mondo” abbia ancora un qualche significato. Oltre al fatto che il cosiddetto “Secondo mondo” è scomparso da più di vent’anni, ci sono stati dei forti travasamenti culturali tra i vecchi paesi industrializzati e quelli in via di industrializzazione o addirittura di economia esclusivamente primaria, un nuovo sistema di “vasi comunicanti”, con i satelliti, la televisione e internet a fare da ponte, che fanno sì che le differenze si siano ridotte nella percezione e nelle aspirazioni di tutti, anche se in molti casi queste sono aumentate dal punto di vista della concentrazione del reddito. Si parla molto della globalizzazione economica e troppo poco della globalizzazione della soggettività, che invece è quella più pregnante. L’intensificarsi dei flussi migratori è in gran parte conseguenza di questa sensibilità più omologata, delle nuove identità bloccate nelle frontiere, della crescente mondializzazione delle aspettative. Quanto al mondiale di calcio, molti brasiliani percepiscono l’evento e la costruzione dei costosi stadi secondo gli standard della Fifa come un’imposizione esterna, una prepotenza nei loro confronti che hanno ben altri bisogni e che hanno dovuto subire decisioni prese da parte di altri. Questa percezione è stata aggravata dal fatto che i biglietti delle partite sono stati venduti a prezzi esorbitanti e soprattutto all’estero, cosa che ha impedito ai brasiliani poveri di avervi accesso. I problemi reali del Paese sono legati a strutture pubbliche insufficienti, scuole, ospedali, trasporto urbano, medicinali… Giustamente, quindi, a molti brasiliani sembra uno spreco di risorse la spesa di miliardi per i nuovi stadi (anche se il Governo afferma che spenderà un totale 16 miliardi di euro e incasserà fino all’anno prossimo 45 miliardi solo dal mondiale) – così come, a breve, per gli impianti dei Giochi Olimpici 2016. La democrazia, che è stata restituita ai brasiliani ormai da trent’anni, produce questi sani effetti collaterali: le manifestazioni pubbliche della cittadinanza in difesa di quello che ritiene siano i suoi legittimi interessi.

D. Le operazioni di riqualificazione urbana in alcuni quartieri delle metropoli brasiliane che ospiteranno il campionato mondiale di calcio, insieme alle grandi opere (vedi il trem bala che dovrebbe collegare i quartieri di Fortaleza per portare i tifosi allo stadio) rappresentano davvero un’occasione per tutto il paese o ne beneficeranno i soliti noti, dalle multinazionali come Odebrecht e Camargo Correa agli istituti bancari?

R. Bisogna conoscere bene la realtà di ogni situazione, qualche opera sarà più socialmente utile di altre, ma ad esserne maggiormente beneficiate saranno senza dubbio le grande imprese. Comunque, una parte delle opere faraoniche annunciate non sono state realizzate, forse nemmeno la metà. Quanto alla questione della riqualificazione urbana, non c’è dubbio che vengano mobilitati grandi interessi economici, ma il fenomeno della gentrification dei quartieri poveri con la conseguente rimozione e sostituzione della popolazione che ci abitava, e con i centri storici consegnati ai più ricchi, purtroppo è un fenomeno mondiale. Pensa a quello che è successo a New York, a Detroit, a Chicago, a Berlino, alla periferia di Roma o a Milano con l’Expo. Il caso della cosiddetta “pacificazione” delle favelas di Rio è forse quello più difficile e più drammatico di tutti. È interessante osservare che, cercando di evitare lo scontro violento e proporre soluzioni negoziate, la polizia e l’esercito brasiliano hanno scelto di annunciare le invasioni delle favelas con giorni di anticipo per dare il tempo ai trafficanti di scappare, rinunciando all’effetto a sorpresa e agli arresti per non mettere a rischio la popolazione residente con eventuali sparatorie. Hanno creato questo curioso motto: “Nelle guerre annunciate muore solo chi vuole morire”. Nonostante questo, la verità è che muoiono soprattutto bambini, donne e adolescenti poveri, tutti estranei alle guerre dello Stato contro il narcotraffico.

D. La Fifa viene in Brasile come una qualsiasi multinazionale che si presenta nel continente: il suo scopo è quello di imporre le sue regole e trarre il massimo dal punto di vista del profitto. C’è nel paese, la percezione di essere manovrati o comunque nelle mani di un’istituzione che per un mese imporrà ai brasiliani una serie di diktat, dal monopolio della vendita dei biglietti a prezzi astronomici all’obbligo di poter vendere esclusivamente il merchandising ufficiale, riducendo sul lastrico un indotto informale composto da venditori ambulanti che si troveranno in grandi difficoltà economiche da un giorno all’altro?

R. Puoi stare tranquillo che i venditori ambulanti troveranno come sempre il jeitinho brasileiro per vendere le loro merci. Una cosa sono i diktat, altra ben diversa sono i controlli, impossibili e tutto sommato inutili. Comunque, non penso che queste imposizioni della Fifa siano molto diverse da quelle del mondiale del Sudafrica o di Corea/Giappone. Il Governo brasiliano pensa invece di poter lucrare in altre forme, attraverso la visibilità, l’immagine internazionale e l’incremento del turismo, oltre ai miliardi di euro che spera di incassare direttamente dall’evento. Si tratta di un gioco dove tutti credono di guadagnare, un gioco win-win direbbero gli americani. Ma i brasiliani non la pensano così e protestano in massa, si sentono esclusi da ogni beneficio. A questo punto immagino che Lula e Dilma Rousseff si siano anche un po’ pentiti della loro decisione di cinque anni fa, o almeno della modalità con cui la decisione sul mondiale è stata presa senza una consultazione aperta, una sorta di referendum, una campagna pubblicitaria di convincimento. Ma poi è diventato un fatto compiuto e non c’è stato modo di tornare indietro. Restava soltanto una campagna di persuasione a posteriori, che è quello che la Rousseff cerca di fare ogni settimana via radio e televisione, sperando forse che un successo della nazionale brasiliana, una conquista del Hexa, del sesto titolo mondiale per il Brasile, ripristini la sua popolarità e faccia dimenticare le frustrazioni generali.

D. I mondiali di calcio, e la loro organizzazione, finiranno necessariamente per ripercuotersi sulle presidenziali in programma il prossimo 5 ottobre. Le destre approfitteranno dei ritardi nei lavori per la costruzione o l’ammodernamento degli stadi per mettere in difficoltà Dilma Rousseff? E al tempo stesso, il capitalismo “temperato” della presidenta come è percepito dalla sinistra sociale, movimentista ed extraparlamentare, dal Psol (Partido Socialismo e Liberdade) alle organizzazioni urbane popolari?

R. La destra politica in Brasile è debole in questo momento, ma si sta rinforzando, approfittando anche delle croniche difficoltà di comunicazione del Governo. La Rousseff non è esattamente una persona simpatica, sembra nella sua rigidità una preside di scuola media, si esprime in modo che sembra sempre arrabbiato, al contrario della tenerezza, dell’eterno buon umore e della capacità di sdrammatizzare qualsiasi problema del suo predecessore. La destra è da tanti anni che non arriva sopra il 30% delle intenzioni di voto. Nelle ultime elezioni presidenziali è praticamente scomparsa e il vero confronto è stato tra la Rousseff e Marina Silva, le due candidate di sinistra. Non credo però che la destra vorrà approfittare dei ritardi nella conclusione degli stadi perché questo significherebbe che era stata d’accordo con la loro costruzione. In ogni caso, comunque, scommetto che le opere verranno terminate in tempo; i brasiliani, infatti, sono soliti fare le cose all’ultimo momento, ma in extremis sanno accelerare e portare a termine il lavoro per l’inaugurazione. Un esempio è il gigantesco ponte Rio-Niterói, concluso proprio alla vigilia del mandato del general-presidente che doveva inaugurarla. La destra, semmai, cercherà di cavalcare le proteste contro il governo del (Pt) Partido dos Trabalhadores , dicendo che il mondiale è stato una spesa inutile, soprattutto se la nazionale brasiliana non arriverà in finale. Ma se lo farà, sarà credibile? E poi, non dimentichiamoci che quelli che protestano oggi stanno più a sinistra della sinistra di Governo e, quindi, non credo che la destra potrà ricavare dei dividendi elettorali adulando i manifestanti. Succeda quel che succeda, credo sia improbabile che Dilma Rousseff non venga rieletta presidente a ottobre. Forse, nel caso in cui Marina Silva decida di allearsi con la destra spinta dal suo elettorato evangelico – che lei coltiva diligentemente nonostante la sua immagine di ecologista di sinistra – le cose all’inizio potranno complicarsi un po’ per la Rousseff, ma finirebbe comunque per vincere al ballottaggio. E, nella peggiore delle ipotesi, il Partido dos Trabalhadores hanno sempre il “proiettile d’argento”, la candidatura di Lula a presidente nuovamente, al posto della Rousseff. Considera che, oltre allo smarrimento della destra, anche la sinistra “movimentista” è molto minoritaria e frammentaria, non avrà un candidato suo, uno che avrebbe potuto agglutinarla, e così non sarà in grado di cambiare il risultato elettorale.

D. L’avvicinamento al mondiale è stato caratterizzato da numerosi episodi di violazione dei diritti umani (ad esempio gli sgomberi di comunità indigene e di favelados) e dei diritti sindacali, vedi ad esempio le condizioni disumane di lavoro degli operai al celebre Maracanã, senza le benché minime garanzie di sicurezza. Il Planalto avrebbe potuto gestire, o comunque monitorare in maniera più costante e puntuale, un evento di queste dimensioni, ad esempio offrendo il suo sostegno alla Campanha Jogue Limpo?

R. Queste non sono questioni semplici come sembrano, sono questioni complesse, alle quali è pericoloso applicare un ragionamento manicheo senza conoscere in profondità i fatti, anche perché la stampa è ancora in mano alla destra e le campagne di disinformazione in Brasile sono moneta corrente, le notizie deturpate o inventate vengono chiamate factóides. Per esempio, è stato dato grande rilievo nella stampa italiana all’espulsione dei “residenti” di una favela vicina al Maracanã. Ho cercato di informarmi meglio con alcuni amici giornalisti brasiliani e da quello che ho capito i veri residenti erano già stati indennizzati e si erano trasferiti mesi prima dei confronti. Sembra che la mafia locale, gestita dai trafficanti, abbia invaso e occupato le casupole e le baracche lasciate vuote per forzare uno scontro e per ottenere dei vantaggi o nuovi indennizzi, ed è stato contro di loro che il Governo ha mandato la polizia, non contro gli antichi residenti. Con questo non voglio dire che a volte non ci siano soprusi e irregolarità, o atti di violenza, voglio solo dire che bisogna informarsi meglio prima di rendere pubbliche queste versioni “minimaliste” dei fatti.

D. Il Brasile è quasi un continente autonomo rispetto al resto dell’America Latina: lo dimostra l’autorità con cui ha blindato l’approvazione della Lei Geral da Copa e la continuità tra la presidenza Lula e quella di Dilma Rousseff per quanto riguarda il Programma di Accelerazione della Crescita (Pac), entrato nella fase due con la presidenta al Planalto: è come se fossero stati consegnati poteri speciali agli amministratori delle città brasiliane per poter fare carta straccia della Costituzione e degli accordi internazionali in nome dei due megaeventi internazionali, mondiali di calcio e Olimpiadi. Cosa ne pensi?

R. Non mi sembra francamente che le risorse per il mondiale di calcio abbiano qualcosa a che vedere con i rapporti tra il Brasile e gli altri Paesi dell’America Latina. Comunque, penso che molte delle opere previste nel Pac, soprattutto quelle legate alle infrastrutture, avranno ripercussioni positive dal punto di vista sociale, anche per ciò che riguarda le ricadute nel campo della comunicazione, della sanità, dell’istruzione e della mobilità. Non dimentichiamoci inoltre che il Brasile ha un Congresso funzionante e libero, sovrano, e che tutte queste leggi e programmi sono stati approvati dalla maggioranza della Camera e del Senato. L’Esecutivo, dalla fine degli anni ’70, non può prendere alcuna decisione in merito ai provvedimenti in maniera autonoma, e anche i decreto-leggi devono essere approvati in seguito dal Parlamento o la loro efficacia decade prima che possano essere attuativi.  Siccome il panorama politico brasiliano è ancora più frazionato in decine di sigle di quello italiano, non è mai un compito semplice per l’Esecutivo ottenere la maggioranza: oltre alle questioni squisitamente ideologiche, ci sono i ricatti, gli scambi di potere, di appoggi e di candidature, negoziazioni dure e complesse che fanno sì che dopo il presidente l’incarico più importante del Governo sia quello di Chefe da Casa Civil, di negoziatore politico con i partiti. Oltretutto, se l’Esecutivo provasse a fare “carta straccia della Costituzione” come hai detto, il Supremo Tribunale, guardiano della Costituzione, interverrebbe subito ed efficacemente, come abbiamo visto in casi recenti di grande ripercussione. Qualcuno addirittura accusa il Supremo oggi di acquisire poteri eccessivi, aspirando a diventare il Poder Moderador, un quarto potere, che era quello esercitato dall’Imperatore nel Brasile nell’Ottocento, e portando a una certa immobilità gli altri poteri della Repubblica. Quello che purtroppo in Europa si fa fatica a capire o ad accettare è che il Brasile è una democrazia solida e compiuta istituzionalmente, e che la divisione dei poteri della Repubblica lì funziona davvero e non è negoziabile.

D. I progetti urbani in vista degli eventi sportivi avranno un impatto urbanistico, ambientale e sociale devastante. Da tempo, la Plataforma Brasileira de Direitos Humanos Econômicos, Sociais, Culturais e Ambientais (Dhesca) denuncia le ripetute violazioni dei diritti umani, ad esempio della Prefeitura di Rio de Janeiro, che ha sempre rifiutato di riconoscere il diritto costituzionale alla terra e alla casa. L’unica cosa che interessa è lo sviluppo del mercato immobiliare. Non può costruire un pericoloso precedente la ridisegnazione degli spazi urbani e sociali a scapito delle fasce di popolazione più povere delle metropoli? Non si corre il rischio di prestarsi ad un’opera di pulizia sociale ai danni del proletariato e del sottoproletariato urbano?

R. Anche qui, bisogna conoscere ciascun progetto specifico. Alcuni avranno ricadute sociali positive, per esempio i progetti legati alle nuove arterie urbane che uniscono aree ancora isolate delle grandi città, i progetti di produzione di energia solare come nel caso del nuovo stadio di Recife e quelli che interessano lo sviluppo del trasporto ferroviario e metropolitano, meno inquinanti. Molti lavoratori brasiliani perdono ogni giorno ore preziose di sonno cercando di arrivare o di tornare dai luoghi di lavoro, spesso bloccati nel traffico. Il termine “devastante” che hai usato mi sembra fuorviante, troppo semplicista, forse si dovrebbe utilizzare l’aggettivo “problematico”, che invita a un’analisi meno parziale e più oggettiva della complessità e dell’ambiguità della realtà brasiliana.

D. I riots di giugno 2013 hanno sorpreso ma solo fino ad un certo punto: è stata smascherata una delle maggiori contraddizioni, a mio avviso, del Brasile: caratterizzarsi come potenza sub imperialista a livello continentale e, al tempo stesso, promuovere programmi meramente assistenzialisti, senza però impegnarsi seriamente a combattere le cause strutturali della povertà. “Un paese muto è un paese che non cambia”, era scritto su tanti striscioni che in quei giorni furono esposti durante i cortei per le strade delle città brasiliane. Sei d’accordo?

R. Quanto alla percezione del continente no, non sono d’accordo. Per cominciare, i rapporti tra il Brasile e i paesi dell’America ispanica sono paritari e consensuali. Il Brasile cerca, insieme all’Argentina, al Venezuela e all’Uruguay, di rinforzare istituzioni multilaterali come l’Unasur, il Mercosur e il più recente Consiglio Sudamericano di Difesa, allo scopo di promuovere una maggior integrazione del continente ed essere in grado di proteggersi dallo strapotere militare degli Stati Uniti e dalla crescente egemonia commerciale cinese nel continente. In un certo senso si tratta di qualcosa di simile alle motivazioni che hanno portato nei decenni passati alla formazione della Comunità Europea. Anche in ambito economico, gli Stati Uniti cercano di far prevalere le proprie configurazioni di alleanze, come il defunto Nafta e la recente Alleanza del Pacifico. Il Brasile è percepito oggi nel resto dell’America Latina, al contrario di ciò che afferma insistentemente una certa stampa troppo sbilanciata, non come una pericolosa “potenza sub-imperialista”, bensì come un organizzatore, un aggregatore. La sua crescita a partire dagli anni ’50 lo ha messo sempre di più di fronte a nuove responsabilità, continentali ma anche mondiali. Il nuovo Marco Civil, approvato dal Parlamento in questi giorni, disciplinando Internet attraverso la creazione della sua prima Costituzione, ordina e democratizza la Rete, rendendola finalmente meno dipendente dagli Stati Uniti e dallo spionaggio delle agenzie di sicurezza del Governo statunitense, e riaffermando il diritto universale alla privacy nelle comunicazioni. È la dimostrazione della nuova rilevanza del Brasile nello scenario internazionale, con prospettive di successo, anche perché la difesa della privacy e della libertà intellettuale che il Marco Civil prevede, sono battaglie di civiltà. Il fatto che il Brasile rivesta un ruolo da protagonista a livello internazionale potrà a mio avviso rappresentare in futuro un beneficio per tutti. Quella brasiliana è una cultura pacifica e cordiale: il paese non partecipa a una guerra ormai da secoli (con l’unica e onorevole eccezione della Força Expedicionária Brasileira in Italia nel 1944, che ha sfondato la Linea Gotica dei nazisti sugli Appennini tosco-emiliani, con grandi perdite di vite umane) e, al posto del malaugurante “scontro delle civiltà”, pratica da secoli l’incontro pacifico tra le civiltà.

D. Dalle proteste dei movimenti sociali, proseguite (seppur con minore intensità), nei mesi precedenti ai mondiali di calcio, sorgerà un Brasile altro, o si tratterà di mobilitazioni destinate a rimanere di nicchia?

R. A mio parere queste proteste avranno nel medio e lungo periodo un effetto positivo. Attraverso l’intensificarsi delle pressioni sociali, si accelererà il ritmo delle soluzioni per i gravi squilibri che ancora persistono nella società. Ma bisogna tenere presente che grandi paesi hanno grandi problemi. E devono escogitare e attuare grandi soluzioni. Ad ogni modo, già a partire dal primo Forum Sociale a Porto Alegre, tenutosi ormai molti anni fa, il Brasile è riuscito a provare che “un altro mondo è possibile”, il mondo dell’inclusione, a fronte del ben più diffuso mondo dell’esclusione. Un mondo nel quale lo Stato tanto deriso dai neoliberali ha ripristinato il suo ruolo di promotore di benessere sociale e uguaglianza, a scapito delle iniquità promosse dall’ideologia del mercato sovrastante e delle privatizzazioni selvagge.

 

Biografia di Julio Monteiro Martins

Julio Monteiro Martins nasce nel 1955 a Niterói, nello stato di Rio de Janeiro (Brasile). Si dedica alla scrittura fin da ragazzo e già nel 1976 pubblica i primi racconti. Nel 1979 partecipa allo International Writing Program della University of Iowa (USA), ricevendo il titolo di Honorary Fellow in Writing, e per un anno insegna scrittura creativa al Goddard College (Vermont, USA). Continua poi l’insegnamento presso la Oficina Literária Afrânio Coutinho (Rio de Janeiro), dal 1982 al 1989, e in seguito in Portogallo, presso l’Instituto Camões di Lisbona (1994) e presso la Pontifícia Universidade Católica do Rio de Janeiro (1995). Dal 1996 insegna all’Università di Pisa, dove attualmente tiene il corso di Lingua Portoghese e Traduzione Letteraria. Dirige inoltre il Laboratorio di Narrativa del Master di Scrittura Creativa, presso la Scuola Sagarana di Lucca. È fondatore e direttore della rivista culturale Sagarana (www.sagarana.net). All’attività di scrittore e docente affianca un impegno attivo in campo politico e sociale. Nel 1983 è uno dei fondatori del del Partido Verde brasiliano, e successivamente, nel 1986, del movimento ambientalista brasiliano “Os verdes”. Nel 1991, avendo affrontato studi universitari di indirizzo giuridico, è avvocato dei diritti umani per il Centro Brasileiro de Defesa dos Direitos da Criança e do Adolescente (ONG), occupandosi in particolare dell’incolumità dei meninos de rua chiamati a testimoniare in tribunale, in seguito all’orrenda strage della Chacina da Candelária, nella quale una squadra di poliziotti in borghese uccise nel sonno a colpi di mitra bambini abbandonati che dormivano in strada a Rio de Janeiro. La produzione letteraria di Julio Monteiro Martins comprende numerose opere sia in portoghese brasiliano sia in italiano, essendo quest’ultima la lingua attualmente preferita dall’autore. Pur prediligendo la forma narrativa, Monteiro Martins ha pubblicato anche poesie e pièce teatrali. Da alcune sue opere sono state tratte sceneggiature di cortometraggi. Di seguito i principali titoli. In portoghese: Torpalium (racconti, Ática, São Paulo, 1977), Sabe quem dançou? (racconti, Codecri, Rio, 1978) Artérias e becos (romanzo, Summus, São Paulo, 1978), Bárbara (romanzo, Codecri, Rio, 1979), A oeste de nada (racconti, Civilização Brasileira, Rio, 1981), As forças desarmadas (racconti, Anima, Rio, 1983), O livro das Diretas (saggi politici, Anima, Rio, 1984), Muamba (racconti, Anima, Rio, 1985) e O espaço imaginário (romanzo, Anima, Rio, 1987); suoi lavori sono inoltre apparsi in numerose antologie. In italiano: Il percorso dell’idea (poesie, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera, 1998), Racconti italiani (Besa Editrice, Lecce, 2000), La passione del vuoto (Besa, Lecce, 2003 ), Madrelingua (romanzo, Besa, Lecce, 2005) e L’amore scritto (racconti, Besa, Lecce, 2007); ricordiamo infine la partecipazione, assieme ad Antonio Tabucchi, Bernardo Bertolucci, Dario Fo, Erri de Luca e Gianni Vattimo, all’opera collettiva Non siamo in vendita – voci contro il regime (a cura di Stefania Scateni e Beppe Sebaste, prefazione di Furio Colombo, Arcana Libri / L’Unità, Roma, 2002). Nel 2011 è stata pubblicata la monografia sulla sua opera Un mare così ampio: I racconti-in-romanzo di Julio Monteiro Martins, di Rosanna Morace, per la Libertà edizioni, di Lucca. Nel dicembre 2013 è stata pubblicata la sua raccolta poetica “La grazia di casa mia” (Milano, Rediviva).

Redazione
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4 commenti

  • francescocecchini

    Definire il Brasile una potenza sub imperialistica continentale? A parte che il concetto di sub imperialismo andrebbe chiarito, significa dare del Brasile d’oggi una definizione non corretta. Concordo sostanzialmente con la risposta di Julio Monteiro Martins.

  • Le risposte di Julio Monteiro Martins sono brillanti e in chiusura la citazione al Forum Sociale Mondiale è perfetta. Molti europei hanno considerato il Forum Sociale Mondiale una sorta di “Woodstock” dei poveri o una sorta di “sogno utopico”, ma quell’iniziativa del Brasile (sì, devo sottolinearlo: una iniziativa brasiliana) ha dato il la per una serie di cambiamenti politici ed economici che vediamo sotto i nostri occhi.

  • Come sempre, la lucidità e l’equilibrio di Julio si fanno presenti in questa attualissima intervista. Le domande di Lifodi offrono a Julio l’occasione per darci una visione ottimistica del Brasile, nonstante i seri problemi che lo affligono.

  • VI SEGNALO ANCHE QUESTO
    Ma il mondiale in Brasile non doveva essere una catastrofe per il
    governo?

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