Brasile: il Pantanal assediato dalle dighe

di David Lifodi

Il Pantanal, il santuario della biodiversità latinoamericana che si estende per oltre 210mila chilometri quadrati tra Bolivia, Paraguay e soprattutto Brasile, è sotto assedio, minacciato dalla costruzione delle centrali idroelettriche e dal fenomeno del land grabbing, entrambi frutto del turbocapitalismo verso cui è proteso il gigante verdeoro.

L’agroindustria, specialmente la monocoltura della soia, ha provocato un aumento della deforestazione, così come l’estrazione mineraria, soprattutto aurifera, ha profondamente modificato l’assetto del territorio, sia portandosi dietro i garimpeiros, i cercatori d’oro, sia inquinando i fiumi che scorrono nel Pantanal. L’agenzia di notizie Adital riporta la testimonianza di un missionario italiano, il sacerdote Pasquale Forin, che vive da 25 anni nel Pantanal. Il Rìo Tacuarí, uno dei principali affluenti del Rìo Paraguay, è stato deviato e i fertilizzanti chimici hanno alterato la biodiversità marina: sono davvero poche le creature acquatiche che vivono ancora nel fiume, per la disperazione dei piccoli pescatori che traggono sostentamento dalla pesca artigianale. Del resto, i dati forniti dall’Incra, l’Istituto Nazionale per la Riforma Agraria parlano chiaro: la pesca sul Rìo Tacuarí è diminuita dalle 485 tonnellate del 2002 alle 62 del 2012. I profondi cambiamenti dell’ecosistema si riflettono sugli abitanti che vivono nel Pantanal: molti di loro finiscono per condurre una vita di stenti e difficoltà nelle periferie delle megalopoli brasiliane, a cui arrivano spinti dall’improduttività degli appezzamenti di terra, ormai ridotti ad uso esclusivo della monocoltura della soia o dell’eucalipto.  La Commissione Pastorale della Terra spiega che la maggior parte dei conflitti legati alla questione agraria avviene nel Mato Grosso, dove si trova buona parte del territorio del Pantanal: qui va di moda il grilagem, la pratica di appropriazione della terra da parte dei latifondisti. Il problema della terra, legato a quello delle dighe, rappresenta la punta dell’iceberg per l’intera area pantaneira: la Giustizia Federale ha vietato la concessione di nuove licenze ambientali per la costruzione di centrali idroelettriche nel bacino del Rìo Alto Paraguay, che comprende gli stati del Mato Grosso e del Mato Grosso do Sul. Su entrambi gli stati pesava la costruzione di 126 nuove dighe: se solo una parte di queste centrali fosse davvero edificata, il Pantanal sarebbe inondato. Inoltre, la giustizia trova numerosi ostacoli sul suo cammino. Alla fine di maggio, nella più completa impunità, il proprietario di una fazenda del Mato Grosso è stato multato dall’Instituto Brasileiro do Meio Ambiente e dos Recursos Naturais Renováis (Ibama), per aver effettuato dei lavori nel letto del Rìo Tacuarí senza alcuna licenza ambientale, segno dell’impunità su cui i grandi latifondisti hanno potuto contare finora. La multa comminata al fazendeiro ammonta a due milioni di reais: i tecnici dell’Ibama e la Polizia Federale si sono accorti che il proprietario terriero aveva messo in campo tutti gli strumenti per costruire autonomamente cinque centrali idroelettriche per la chiusura delle rive del fiume che, per certi tratti, inondavano le sue terre, peraltro ottenute illegalmente e senza alcun titolo di proprietà, ma con la forza e la prepotenza che caratterizzano i fazendeiros. Inoltre, bisogna sottolineare che, secondo la legge brasiliana, i due milioni di reais corrispondono solo al 20% della multa massima che avrebbe potuto essere applicata, ma va anche riconosciuto che i pubblici ministeri del Mato Grosso do Sul e del Brasile hanno denunciato il Planalto e il governo dello stato per inadempienza di fronte allo scempio del Rìo Tacuarí. Non solo: i pubblici ministeri hanno imposto il divieto di intervenire ulteriormente sul fiume e hanno segnalato l’urgenza di svolgere una mappatura delle inondazioni causate dalle dighe. Sul Rìo Tacuarí si è aperta una vera e propria battaglia tra i fazendeiros, che non intendono perdere le loro terre a causa delle inondazioni causate dal fiume e i piccoli pescatori, secondo i quali i proprietari terrieri sono i primi responsabili dell’aumentata mortalità dei pesci e dell’alterazione del ciclo di riproduzione animale. I pubblici ministeri hanno riconosciuto le ragioni dei ribeirinhos e dei pescatori, la cui vita è progressivamente peggiorata a causa delle omissioni dello stato, che ha lasciato agire i fazendeiros in maniera del tutto indisturbata. La partita sull’energia elettrica brasiliana si gioca però anche ad un livello più alto dell’eterno scontro tra latifondisti e comunità locali, pescatori, indigeni o contadini che siano. Il Brasile non avrebbe bisogno di nuove dighe per rifornirsi di energia, ma il Planalto, anche sotto Lula e Dilma Rousseff, ha aperto il mercato energetico agli investitori stranieri e all’impresa privata. In tutto il paese i tagli della luce alle comunità che rifiutano di pagare le bollette dell’energia elettrica o provvedono autonomamente con allacci clandestini non sono una novità, al pari delle imprese che erogano il servizio elettrico e arbitrariamente si arrogano il diritto di costruire le dighe e tentano di condurre il paese sulla strada della liberalizzazione energetica selvaggia. In questo settore, come in altri, il Partido dos Trabalhadores (Pt) ha scelto la strada del dialogo, se non dell’accordo vero e proprio, con la borghesia industriale, commerciale e finanziaria: si spiega in questo senso la svolta petista verso l’apertura del settore elettrico al libero mercato, l’estrazione mineraria, l’agronegozio e, più in generale, per una politica che delegittima i beni comuni e le risorse naturali.

Il Pantanal rappresenta quindi una fonte inesauribile (ma fino a quando?) per l’approvvigionamento e la vendita di energia elettrica, l’appalto per la costruzione delle dighe e un terreno fertile per l’agroindustria:  questi sono i principali interessi economici e politici sul più grande santuario della biodiversità.

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