Brasile: la battaglia degli indigeni Munduruku contro le dighe

di David Lifodi

Quaranta dighe per mettere a rischio buona parte dell’Amazzonia e la vita degli indigeni Munduruku: l’ultima grande opera brasiliana parte dalla centrale idroelettrica sul fiume Tapajós, affluente del Rio delle Amazzoni, per poi estendersi e soddisfare così la voracità di Eletrobras, Camargo Corrêa, Èlectricité de France e molte altre imprese.

Al mega progetto, che fa impallidire quello già mastodontico di Belo Monte, sarebbero interessate anche General Electrics e VoithHydro. Il Complexo Hidrelétrico Tapajós, lanciato dal governo federale nel 2008, inizialmente prevedeva l’edificazione di sette dighe nell’ovest del Pará, che sarebbero andate ad impattare direttamente sulle comunità dei quilombolas, dei pescatori artigianali e dei ribeirinhos, nel territorio indigeno della comunità Munduruku. Nonostante nel 2012 i Munduruku avessero espresso il loro rifiuto nei confronti della grande opera, la terra indigena Sawré Muybu, dove vivono, ha già subito numerosi allagamenti dovuti ai primi lavori per la costruzione del progetto, interrotto solo parzialmente. Di fronte alle orecchie da mercante del Planalto, che ha cercato in ogni modo di evitare che l’ente governativo della Fundação Nacional do Indio (Funai) proseguisse nell’opera di demarcazione del territorio Munduruku, la comunità indigena ha scelto di procedere autonomamente con la demarcazione, in risposta al rifiuto del governo di far svolgere una consultazione sull’opportunità di costruire questa grande opera. Secondo il rapporto di Greenpeace, “Amazzonia sbarrata”, la diga di São Luis do Tapajós, la più grande fra quelle progettate, sarà alta 53 metri, lunga 7,6 chilometri ed avrà una capacità installata di 8.040 watt. Il Movimento dos Atingidos por Barragens (Mab), che ha sostenuto e appoggiato la ribellione dei Munduruku, evidenzia che la loro mobilitazione ebbe inizio nel 2010, quando nella zona cominciarono ad arrivare le imprese dedite ai primi scavi nel terreno, peraltro compiuti senza alcun permesso da parte degli abitanti. Già adesso i lavori per la costruzione delle megadighe hanno stravolto profondamente il territorio dei Munduruku. Luvia Heidy Soares Lima, militante del Mab, spiega che già molte famiglie hanno deciso di abbandonare il territorio, mentre tra coloro che rimangono quelle a soffrire maggiormente sono le donne. In particolare, non si contano i casi di adolescenti abbandonate in stato di gravidanza da uomini venuti a lavorare per conto delle imprese, così come sono in aumento i casi di violenza sessuale. Inoltre, un’informazione manipolata cerca di prospettare gli effetti benefici della megaopera alla comunità. In questa operazione si distingue l’ambigua organizzazione non governativa Diálogos Tapajós, che fa parte del gruppo di studio Tapajós, messo in piedi da Eletrobras, EletroNorte, Gdf Suez, Camargo Corrêa ed Èlectricité de France per convincere la comunità ad abbandonare la resistenza contro le dighe con le false promesse di un lavoro facile e un buono stipendio. Água e energia não são mercadorias, ripetono Munduruku e Movimento do Atingidos dos Barragens e molte altre organizzazioni popolari. “Diciamo no al Complexo Hidrelétrico Tapajós per proteggere fiumi e foreste della nostra Amazzonia”, hanno ribadito i movimenti e le comunità che si oppongono alla costruzione delle dighe, perché “sono violati i diritti delle persone e le imprese entrano nelle comunità senza avere alcun permesso, causano conflitti e dividono le stesse comunità”. Finora, l’unica soluzione proposta da Eletrobras è stata quella di suggerire lo spostamento dei Munduruku in un’altra area che non sarà inondata come la terra indigena Sawré Muybu, ma tutto ciò è incostituzionale poiché l’articolo 231 della Costituzione vieta espressamente la rimozione delle comunità indigene. Il riconoscimento della terra Sawré Muybu e la sua demarcazione, secondo i Munduruku, devono essere considerati imprescindibili dallo Stato e rappresentano l’unica arma nelle mani delle comunità affinché i loro diritti siano rispettati. Il legame dei Munduruku con la loro terra è storico e, se fossero cacciati, la loro riproduzione fisica e culturale sarebbe messa a forte repentaglio a causa della costruzione delle centrali idroelettriche. “L’alternativa migliore al megaprogetto idroelettrico sul fiume Tapajós sarebbe una combinazione di eolico, solare e biomasse, fattibile solo se il governo cambierà gli indirizzi della sua politica energetica”, ha scritto Greenpeace nel suo rapporto, ma un cambiamento di rotta da parte del Planalto sembra assai difficile poiché già le presidenze petiste di Lula e Dilma Rousseff avevano scommesso sui progetti legati alle grandi centrali idroelettriche.

I Munduruku chiedono solamente che venga riconosciuto il diritto a vivere nelle loro terre, ma la mancanza della partecipazione popolare in merito al Complexo Hidrelétrico Tapajós non lascia presagire nulla di buono a causa della sete di nuove dighe delle imprese e del governo.

NOTA: Greenpeace informa che lo scorso 8 agosto, l’Istituto Brasiliano delle Risorse Naturali Rinnovabili e Ambientali (IBAMA) ha annunciato l’annullamento della licenza di costruzione del mega-progetto di São Luiz do Tapajós e ora questo tratto di foresta, abitato dagli indigeni Munduruku e da tantissime specie rare è salvo, ma la battaglia contro la costruzione delle dighe in tutto il Brasile prosegue.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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