Brasile: le Olimpiadi hanno nascosto le proteste contro il golpe

Tra pochi giorni inizia la sessione finale per destituire Dilma Rousseff

di David Lifodi

 

AFTER RIO (1)

I giochi olimpici appena terminati si sono svolti all’insegna delle proteste contro il governo del presidente golpista Temer, ma sono stati caratterizzati anche dalle innumerevoli manifestazioni che hanno denunciato Rio 2016 come vetrina esclusiva delle multinazionali ed escludente per gran parte degli abitanti delle favelas, costretti a subire numerose e ripetute operazioni di pulizia sociale ad opera della polizia. Se ne è accorta perfino Repubblica, che, a pochi giorni dall’inizio delle Olimpiadi, in un reportage fotografico pubblicato sulla propria edizione online, riportava il parere contrario ai Giochi di buona parte dei cittadini di Rio de Janeiro. La Rai, invece, ha pensato bene di nascondere le immagini delle proteste e, ad eccezione di un bel servizio sull’ex campione di pallavolo e commentatore televisivo Andrea Lucchetta, recatosi per conto di Action Aid nella favela di Maré per lavorare con i bambini, ha riservato pochissimo spazio al clima di grande effervescenza sociale e politica presente in Brasile. Ad esempio, durante la maratona femminile, non appena le atlete sono passate accanto ad uno striscione gigantesco su cui era scritto Fora Temer golpista, le inquadrature sono cambiate immediatamente e gli invasori della pista sono stati bollati come disturbatori, ma il loro scopo non era quello di danneggiare le marciatrici, quanto piuttosto mostrare i cartelli anch’essi con la scritta Fora Temer.

Sul collasso sociale, politico ed economico di Rio de Janeiro non è stata spesa una parola. Eppure, da quando sette anni fa un entusiasta Lula celebrava la città carioca come la prima dell’America Latina ad ospitare le Olimpiadi, sembrano passati secoli. Per la verità, fin da allora, i movimenti sociali avevano contestato sia Rio 2016 sia la Coppa del mondo che si sarebbe svolta nel 2014, denunciando sia la militarizzazione del paese sia la criminalizzazione delle organizzazioni popolari, ma allora il paese rappresentava la quinta economia del mondo, veniva universalmente riconosciuto come leader regionale e milioni di brasiliani erano usciti dalla miseria grazie ai piani sociali del lulismo, sebbene di carattere prevalentemente assistenzialista. Oggi Leonardo Boff, teologo della liberazione e vincitore del Premio Nobel Alternativo nel 2001, ha definito i giochi olimpici come “una vergogna per il Brasile” per via della persecuzione politico-giudiziaria contro Lula e Dilma Rousseff, tuttavia non si può far a meno di ricordare che sono stati proprio loro a scommettere sulle Olimpiadi e sulle grandi infrastrutture che sarebbero state costruite. Una cosa, però, è certa: i Giochi si sono svolti in una situazione di forte conflitto sociale. Nelle scuole pubbliche sono in corso, da mesi, scioperi e occupazioni, negli ospedali sono state chiuse alcune camere per riservarle unicamente agli atleti dei Giochi, sono stati registrati scioperi nel trasporto pubblico e tra pompieri e poliziotti, da tempo senza stipendio. In pratica, il mega evento sportivo ha finito per far risaltare ancora di più, per giunta in maniera drammatica, le profonde disuguaglianze di una megalopoli come Rio de Janeiro, che poi riflettono quelle di un intero paese. Ad esempio, il sindaco di Rio de Janeiro, Eduardo Paes, ha pubblicamente chiesto agli abitanti carioca di non affollare il centro della città per decongestionare le vie d’accesso agli eventi sportivi poiché gli atleti temevano di arrivare in ritardo alle gare e, nonostante lo sproporzionato schieramento di agenti di polizia, non sempre sono state evitate situazioni spiacevoli come quella capitata alla squadra di basket cinese, trovatasi molto vicina, all’uscita dall’aeroporto, ad una sparatoria tra agenti e narcotrafficanti. I favelados hanno denunciato lo sgombero di quasi ottantamila persone nei mesi precedenti ai Giochi e per questo motivo, in corrispondenza con l’arrivo della torcia olimpica al Maracaná, hanno organizzato il passaggio della “torcia della vergogna”, di colore nero e circondata da mani rosso sangue che indicano le violenze e i crimini commessi dalla polizia contro la gente delle favelas. Probabilmente, la polizia resterà in forze nelle periferie d Rio de Janeiro anche al termine dei giochi olimpici e del resto il tema della sicurezza è al centro delle elezioni municipali che si svolgeranno il prossimo ottobre.

In questo scenario, tra alcuni giorni avrà inizio la sessione finale del processo contro Dilma Rousseff allo scopo di estrometterla definitivamente dalla presidenza. Serve una maggioranza di 2/3 per farla fuori dal punto di vista politico, ma, nonostante due imputazioni nei suoi confronti siano già cadute, sembra difficile che Dilma riesca a spuntarla. L’avvocato difensore della presidenta, José Eduardo Cardozo, ha paragonato il processo nei suoi confronti a quello che, nel 1927, dichiarò la condanna a morte per mezzo della sedia elettrica agli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Per far capire l’aria che tira, il senatore Magno Malta, pastore evangelico tra i più influenti nel mondo delle sette pentecostali che infestano il Brasile, ha già dichiarato che non intende certo cambiare opinione e che per lui “questa cantilena è durata anche troppo: Dilma merita la condanna”. Oltre alle accuse contro Rousseff procedono speditamente anche quelle nei confronti di Lula, in modo tale da estrometterlo dalla corsa per le presidenziali del 2018, nelle quali molti sondaggi già lo indicavano come favorito. Si tratta di un golpe giudiziario a tutti gli effetti, favorito inoltre dai giochi olimpici che sono riusciti, grazie a potenti campagne di marketing, a relegare la protesta contro il colpo di stato in secondo piano. Le politiche sociali, l’istruzione, la salute e tutte le conquiste dell’era lulista e di Rousseff rischiano di essere sacrificate sull’altare del capitale e dei gruppi più conservatori e autoritari della società brasiliana.

Può darsi che Temer riesca a rimanere in sella fino al 2018, e probabilmente il suo sarà un vero e proprio percorso ad ostacoli, ma ciò che sconcerta è maggiormente riguarda il black out informativo. In occasione delle Olimpiadi sono andati in onda una miriade di servizi su Rio de Janeiro, descritta come una città da cartolina, ma sono stati davvero pochi i giornalisti che hanno scelto di denunciare quanto sta accadendo realmente in Brasile, ad esempio Ivan Grozny per il manifesto. Per fortuna, all’inaugurazione delle Olimpiadi, tra i 206 paesi che hanno partecipato ai Giochi solo 45 delegazioni hanno confermato la presenza dei loro primi ministri rispetto ai 95 di Londra e agli 86 di Pechino. Forse si tratta di un primo rifiuto internazionale, per quanto tardivo e assai blando, del golpe in corso.

 

Le vignette sono di Vincenzo Apicella

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *