Brasile: l’uomo nero ad un passo dal Planalto

Bolsonaro si presenta al ballottaggio del 28 ottobre con quasi il 20% dei consensi in più del petista Fernando Haddad. Festeggiano la bancada ruralista, i produttori delle armi e le elites bianche del paese. Per sovvertire i risultati del primo turno la strada è tutta in salita.

di David Lifodi (*)

Il prossimo 28 ottobre è assai probabile che Jair Bolsonaro diventi il nuovo presidente del Brasile. Con quasi il 47% dei consensi rispetto al petista Fernando Haddad, che ha raggiunto a fatica il 29%, per l’ex capitano dell’esercito la probabilità di conquistare il Planalto è molto alta. Ammesso che Haddad riesca a superarlo sul filo di lana, solo grazie ad una vasta rete di alleanze, per il delfino di Lula la vita da presidente non sarebbe comunque facile poiché il suo destino politico finirebbe per essere indissolubilmente legato ad una eterogenea quanto variegata coalizione in grado di condizionarlo e ricattarlo a proprio piacimento. Il risultato del primo turno delle presidenziali per Bolsonaro è andato ben oltre le più rosee aspettative e la bancada militare sogna di riconquistare il potere dopo il ventennio di dittatura tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta.

L’exploit di Bolsonaro non rappresenta una novità per l’America latina, nonostante sembri paradossale che un aperto simpatizzante del regime militare, noto per le sue posizioni politicamente scorrette, possa giungere alla guida di un paese che ha vissuto la dittatura sulla propria pelle. Pochi anni fa, in Guatemala, è accaduta la stessa cosa. Jimmy Morales, ex comico, tra proclami parafascisti, slogan all’insegna della pulizia sociale, il compiacimento di circoli di ex militari autori dell’operazione tierra arrasada, che ha provocato il genocidio maya nei primi anni Ottanta, e spacconate di ogni tipo ha conquistato la presidenza di un paese più volte messo in ginocchio da dittatori sanguinari e senza scrupoli.

Bolsonaro, con la stessa tecnica, fatta di frasi dirette ai peggiori istinti dell’elettore medio, la minimizzazione dei crimini del regime militare e un modo di fare tipico del buffone è riuscito a conquistare oltre 49 milioni di voti, provenienti in gran parte delle elites bianche, ma anche da una classe media desiderosa di cambiamento, certo animata da un viscerale antipetismo, ma non necessariamente tutta omofoba, razzista o fascista. È così che il serbatoio di voti del tucano Geraldo Alckmin è stato praticamente prosciugato, tanto da non raggiungere nemmeno il 5% dei consensi. Sarà forse l’ex governatore di San Paolo, con il suo elettorato, l’ago della bilancia, ammesso che Haddad riesca a rimontare una distanza così abissale.

Dal canto suo, se lo stesso Haddad vuol provare a prendersi il Planalto, dovrà promuovere una serie di alleanze a sinistra e, al massimo, al centro. Non è detto che basti per riprendere per i capelli la presidenza del paese, ma dar vita ad una coalizione unita solo dal “no” a Bolsonaro potrebbe essere controproducente. Il Partido Socialismo e Liberdade di Guilherme Boulos, molto attivo nelle strade e nei quartieri delle megalopoli brasiliane (ma ancora con un basso numero di consensi nonostante la presenza di consiglieri in un buon numero di municipi), ha già dichiarato che sosterrà Haddad, anche se per il braccio destro di Lula, catapultato nella campagna presidenziale all’ultimo tuffo, una volta preso atto dell’inarrestabile persecuzione politica contro l’ex presidente, sarà decisivo l’appoggio di Ciro Gomes, il quale ha fatto sapere che di fronte al pericolo fascista sosterrà il candidato petista. Esponente del Partido Democrático Trabalhista, definito da alcuni come una corrente del lulismo e fermo sostenitore degli ideali laburisti, Gomes ha ottenuto il 12,5% delle preferenze e, ad un certo punto, sembrava poter divenire anche l’anti-Bolsonaro per evitare quella polarizzazione del voto su cui aveva invece scommesso il Partido dos Trabalhadores, convinto che ciò sarebbe bastato per bloccare la crescente onda nera.

L’intellettuale e sociologo Emir Sader ha scritto che Lula confida in un ribaltamento dei risultati al ballottaggio e che rimane fiducioso, tuttavia la montagna da scalare resta impervia. Innanzitutto il sistema mediatico ha svolto un ruolo di primo piano nel favorire il successo di Bolsonaro, convincendo in ogni modo le elites a votare per un impresentabile pur di sbarazzarsi definitivamente di Lula, di Haddad e del petismo. Ad esempio, nell’ultimo dibattito televisivo tra candidati presidenziali, Bolsonaro ha scelto di disertare il confronto in onda sulla conservatrice Tv Globo per presentarsi a Tv Record, di proprietà di un pastore evangelico (Edir Macedo) che lo sostiene, e condurre un vero e proprio comizio elettorale senza contraddittorio e in barba alla legge.

Sostenuto da Paulo Guedes, il suo più stretto collaboratore, vicino ai think thank di estrema destra, Bolsonaro ha scommesso tutto sul refrain della classe media abbandonata e aggredita dalla sinistra, slogan amplificato dalle chiese evangeliche e dai fautori della sicurezza ad ogni costo, tema assai caro in un paese dove il tasso di omicidi è altissimo, spesso però a scapito di attivisti come Marielle Franco, dei favelados e dei militanti delle organizzazioni popolari. Ai grandi gruppi imprenditoriali, all’oligopolio mediatico e alla bancada ruralista non è parso vero di sostenerlo, mentre dai pulpiti delle chiese evangeliche si gridava contro l’aborto, il femminismo e più in generale si predicava quegli ideali di sinistra peraltro incarnati assai timidamente da Fernando Haddad. È così che, con una serie di dichiarazioni ad effetto, a partire dalla promessa di liberalizzare la vendita di armi fino alle dichiarazioni xenofobe, passando per le esternazioni del suo vice, il generale Hamilton Mourao, per il quale il ritorno alla democrazia, nel 1985, non ha portato nulla di buono, Bolsonaro punta ad instaurare una sorta di dittatura, pur avallata dal voto popolare.

Di fronte alla crescita di Bolsonaro e del suo piccolo partito (Partido Social Liberal), il Pt ha commesso numerosi errori, a partire da un tentativo di conciliazione di classe sia con Lula sia con Dilma Rousseff (che ha fallito l’elezione a senatrice nello stato del Minas Gerais), da cui sono derivate politiche alla fine insoddisfacenti sia per le classi popolari sia per l’agrobusiness, l’imprenditoria mineraria e le transnazionali legate alle centrali idroelettriche, peraltro lasciate libere di fare il bello e il cattivo tempo. Sulla stessa operazione Lava Jato, aldilà dell’evidente manovra politica per estromettere Lula dalle elezioni, il Pt non ha mai fatto autocritica, facendo inoltre da sponda a personaggi di dubbia moralità, ben lontani da quelle origini operaie che lo avevano trasformato nel più grande partito dei lavoratori dell’America latina. Già nel 2014, di fronte alla minaccia della destra conservatrice tucana, allora incarnata da Aécio Neves, in molti avevano votato per Dilma solo per scongiurare una sconfitta petista.

Il 28 ottobre Haddad dovrà battere non solo Bolsonaro nelle urne, ma anche l’industria delle armi, l’agronegozio, la parte più reazionaria del potere giudiziario, il latifondo mediatico e l’onnipotenza di ampia parte del mondo evangelico, ormai apertamente legato all’estrema destra, tanto da abbandonare Marina Silva, anch’essa ridotta a percentuali da zero virgola dall’uomo nero, e il suo “neoliberismo progressista”. Se Bolsonaro fosse davvero il nuovo presidente del Brasile, per tutto il continente si tratterebbe di un ulteriore passo indietro.

(*) articolo tratto da Peacelink – 8 ottobre 2018

A seguire, un’analisi di Gennaro Carotenuto sulle presidenziali brasiliane:

Brasile come l’Europa: il suicidio dei tucanos porta al fascismo

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

2 commenti

  • Gian Marco Martignoni

    Il rovesciamento politico in corso in tutta l’America Latina ci lascia con il fiato sospeso per quanto riguarda il ballottaggio brasiliano. Comunque vada, pur che tutti ci auguriamo la vittoria di Haddad, urge una riflessione approfondita sulle ragioni dell’involuzione latino-americana, anche se quanto sta avvenendo con Macri in Argentina ci dice che le vittorie delle destre , inevitabilmente , determinano l’esplosione di nuove contraddizioni sociali.Grazie a David per la chiarezza del suo articolo.

  • Gian Marco, concordo con te. L’involuzione in corso in America latina merita una riflessione approfondita, che secondo me parte dal tentativo, sotto certi aspetti andato in porto, condotto da partiti di centrosinistra come il Pt in Brasile, ma anche il Mas in Bolivia, di istituzionalizzare i movimenti e cercare di cooptarli al loro interno.
    In questo modo molti presidenti andati al governo hanno sollevato aspettative enormi, ma poi, costretti anche dalla congiuntura politico-economico-sociale in corso, hanno finito per cercare di raggiungere una sorta di pace istituzionale con la destra, le grandi multinazionali e le lobbies finanziarie e i risultati purtroppo si sono visti. Lula e Dilma, alla fine, sono stati fatti fuori, politicamente, da quello stesso sistema con cui avevano cercato di trovare un equilibrio, lo stesso è accaduto a Lugo in Paraguay (per mano del vice presidente Franco, che ha giocato lo stesso ruolo del brasiliano Temer) e anche in Argentina, non appena a giocarsi la Casa Rosada non è stata una figura con il carisma del kirchnerismo, Macri ne ha subito approfittato.
    Ne approfitto per lanciare una proposta: sarebbe bello aprire una sorta di tavola rotonda in Bottega su questo argomento con altri appassionati delle vicende latinoamericane.

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