Brasile: Vale… poco

Il disastro di Brumadinho (stato del Minas Gerais) del 25 gennaio scorso non è stato un semplice incidente, ma un crimine. La colata di fango e detriti ferrosi ha provocato il crollo di una diga di scarti minerari, 58 morti e circa 300 dispersi. Sotto accusa la Vale do Rio Doce.

di Luigi EusebiEnnesimo disastro ambientale di proporzioni probabilmente apocalittiche in Brasile, nel Minas Gerais, alle porte di Belo Horizonte, per la precisione a Brumadinho, tre anni dopo un episodio simile per dinamica, conseguenze e responsabilità avvenuto nella stessa zona, a Mariana. Venerdì 25 gennaio un bacino artificiale costruito per contenere i residui di una grande miniera di ferro di proprietà della multinazionale Vale è crollato, rompendo a catena una dopo l’altra le successive cinque dighe, che a loro volta si sono dissolte trascinando a valle fino a confluire nel fiume Paraopeba dodici milioni di metri cubi di detriti. Acqua, fango e detriti hanno travolto gli uffici della Vale e la mensa, giusto dopo pranzo, fino ad arrivare a Brumadinho, distruggendo ogni cosa si trovasse sul cammino. Al momento si sommano 60 vittime ma ci sono 305 dispersi, il che significa a tre giorni e tre notti dall’incidente, una previsione di almeno 300 morti. Volume di detriti e numero di decessi portano già ora a considerare questo episodio come il più grave disastro ambientale del Brasile e nell’ambito della “minerazione” probabilmente del mondo.

Strazianti sono le scene viste in televisione di migliaia di familiari degli scomparsi, i quali disperati vorrebbero entrare direttamente nell’area coinvolta e scavare a mani nude, non fosse altro che per recuperare i corpi dei loro parenti, senza considerare che sono già stati recuperati corpi smembrati di abitanti della zona, tipica area rurale povera dell’immenso “interior” del paese, o di dipendenti della Vale. Si stanno incrociando i dati tra le liste dei lavoratori della Vale in servizio venerdì scorso e le denunce dei familiari

Repetita (non) iuvant

Quanto descritto sommariamente potrebbe essere la fotocopia della cronaca di analogo incidente avvenuto nella cittadina di Mariana, nel novembre ’15, più o meno nella stessa zona. Allora i morti furono 19, ma le conseguenze ambientali furono ancora peggiori, il volume totale dei detriti era cinque volte superiore a quello attuale. L’intero ecosistema del fiume Sao Francisco, uno dei più importanti del Brasile (e tra i dieci più lunghi del mondo), che sbocca nell’Oceano Atlantico, fu compromesso causando danni e perdite economiche gigantesche in un’area popolata da oltre cinque milioni di abitanti.

La strage di Brumadinho come quella di Mariana sono disastri al momento impuniti: l’inchiesta aperta dalla magistratura nel caso di Mariana è ferma al palo grazie ai ricorsi continui presentati dalla compagnia Vale, una multinazionale potentissima, leader mondiale nel campo della minerazione, presente in oltre venti paesi del mondo, con ramificazioni e partnership ovunque. Fino a venti anni fa si trattava di impresa statale, con il nome di Vale do Rio Doce. Sono testimone diretto, avendo lavorato e vissuto per quattro anni in area indigena in Amazzonia tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, delle responsabilità avute dalla Vale nello sterminio diretto o indiretto di migliaia di indios e comunità isolate, le quali avevano il torto di vivere sopra giacimenti infiniti di minerali preziosi.

Da allora poco è stato fatto per migliorare la tutela dell’ambiente e la messa in sicurezza delle oltre 400 dighe esistenti nella zona. Ciò vale anche per i quasi 15 anni di governi progressisti in Brasile (due mandati di Lula ed uno e mezzo di Dilma Rousseff). Figuriamoci adesso, con un presidente come Jair Bolsonaro e un’equipe di governo a completo servizio del capitale nazionale e internazionale, a cominciare dal ministero dell’ambiente.

Secondo le relazioni di associazioni e ong ambientaliste, ovviamente contrarie alle miniere a cielo aperto e vicine a grossi centri abitati, almeno un centinaio di queste supposte dighe rappresentano una miccia accesa nei confronti della natura e della popolazione locale. Greenpeace e la sezione brasiliana del Wwf definiscono le dighe delle bombe a cielo aperto, pronte ad esplodere. La Vale è oggi la seconda società più importante del Brasile, seconda solo alla compagnia petrolifera Petrobras, quella coinvolta nei maggiori scandali di corruzione e mazzette dell’ultimo ventennio “brasileiro”. Le azioni della Vale, crollate nei mercati internazionali in 24 ore, valgono da sole il 10% di tutta la Borsa di San Paolo. Sono stati bloccati al momento i conti bancari della compagnia, fino ad oltre un miliardo di euro, come base di partenza per possibili azioni di indennizzo, su cui peraltro, visti i precedenti, non c’è da fare molto affidamento.

Esiste un movimento chiamato Mab, composto da cittadini danneggiati dalle dighe brasiliane, nato circa dieci anni fa per assistere le vittime delle conseguenze dell’attività mineraria. Il Mab si dichiara scettico sull’ondata di buonismo emotivo che si è scatenata nel paese e nella politica nelle ore successive al disastro (tutto il mondo è paese, come si dice, basti pensare al recente crollo del ponte Morandi a Genova…).

Jair Bolsonaro, presidente appena entrato in carica, rientrato dalla magra figura di Davos, esordio…in società sul palcoscenico globale, si è recato ieri sul luogo della tragedia e ha preferito non nominare nemmeno la Vale, parlando genericamente di un disastro causato dalla rottura di alcune dighe di un’impresa privata. Per la cronaca da oggi Bolsonaro è in ospedale per le sequele di un supposto attentato subito in settembre in piena campagna elettorale, tra l’altro proprio in zona, in Minas Gerais, quando fu accoltellato all’addome.

Effetti collaterali…

I detriti ci si augura si fermino quanto prima, comunque davanti ad una diga molto più grande posta a circa 220 km dall’incidente. Si calcola che il livello di acqua, fango, detriti dovrebbe alzarsi di quattro metri, mentre la capacità della diga citata di sopportare un livello maggiore dovrebbe arrivare a sei metri. In un territorio continuamente perforato, ogni mese si registrano incidenti ambientali, con l’inquinamento costante di fiumi e laghi. L’estrazione mineraria è da sempre, fin dai tempi delle colonie portoghesi a partire dal 1500, la cifra dello stato del Minas Gerais. Oro, argento, ferro, cassiterite ed altri metalli più o meno preziosi vengono scavati da secoli, difficile pensare che si possa fermare il sistema, specie in presenza di mammasantissima come la Vale. E non importa se la natura si ribella, a causa anche delle speculazioni edilizie e della scarsa cura dei fiumi, portandosi via centinaia di vite umane.

Nella giornata di oggi (27 gennaio) ci siamo riuniti, con circa 5.000 persone, nella piazza principale e più prestigiosa della capitale del Minas Gerais, Belo Horizonte, per manifestare e rappresentare la protesta popolare contro “imperi” economico-politico-mediatici come quello della Vale e per garantire giustizia, indennizzi, equità a vittime e famiglie della tragedia di Brumadinho. Il tema maggiormente sottolineato è stato il voler affermare una volta per tutte che queste vicende non sono calamità o disgrazie “naturali”, ma avvengono per gli effetti prevedibili di scelte scellerate in campo ambientale e di protezione civile ed hanno precise responsabilità, quasi sempre occultate dai media.

Una nota di colore finale, diciamo di “antropologia” della contestazione in salsa brasiliana. In quale altro paese del mondo e in quale manifestazione di piazza si potrebbero concentrare tutti insieme “sincretismi” e riti comunicativi come, in ordine sparso: slogan del maggio francese del 1968 – detti celebri di Che Guevara o Mao Tse Tung – intonare l’Internazionale – cantare l’inno nazionale brasiliano (un tantino militarista…) – recitare il Padre Nostro – cantare alcuni dei più conosciuti ritornelli del Carnevale di Rio.

In Bottega ci eravamo già occupati nel 2013 dei disastri ambientali di cui era stata responsabile Vale do Rio Doce

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Un commento

  • Sergio Mambrini

    Ricordiamo STAVA in val di Fiemme.
    Il 19 luglio del 1985 crollarono i bacini contenente i fanghi della miniera di fluorite. (ex Montedison)
    I morti furono 268.
    Processo e condanne irrisorie.
    La vergogna dell’Italia.

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