Brynard, Camilleri, De Giovanni, Ellroy, Vignali e due antologie

7 recensioni (giallo-noir) di Valerio Calzolaio

Andrea Camilleri

«Il cuoco dell’Alcyon»

Sellerio

254 pagine, 14 euro

Vigàta e Mediterraneo. Una fine di maggio di qualche anno fa. Il commissario Salvo Montalbano continua a fare brutti sogni e arriva tardi in ufficio. I due vice sono entrambi assenti, accorsi alla manifestazione degli operai davanti allo stabilimento della fabbrica di scafi in crisi, ora mal gestita con licenziamenti e cassa integrazione dall’antipatico (figlio del vecchio proprietario) Giovanni Giogiò Trincanato, un quarantenne elegante e palestrato, dedito solo al gioco e alle donne. Un operaio disperato si è impiccato e Trincanato chiede a Salvo solo di levargli il cadavere “dai coglioni”, si becca uno schiaffo non certificato. Qualche ora dopo, mentre da tutt’altra parte l’impenitente “fimminaro” di Mimì Augello sta ricevendo una denuncia di scippo e oltraggio subiti da Joan, una meravigliosa giovane americana ventenne, ex Miss Dallas, ora escort extralusso, dodicimila a botta, proprio Trincanato arriva a la persuade a non sporgerla; è lui che ha chiamato Joan e un’altra collega per servizi particolari su una grande leggera barca a vela, una goletta da diporto con bandiera boliviana, venticinque metri di lunghezza per sette di larghezza. Il commissario è stufo di firmare carte, indagherebbe volentieri, però il questore lo blocca, intorno a Trincanato e alla nave ci sono crimini e complotti. La burocrazia interviene con dati ineccepibili: Salvo ha accumulato diritto alle ferie, questa volta ce lo mandano per dovere. L’ufficio personale della questura ha controllato: ha accumulato una tale quantità di ferie non godute che potrebbe restare ormai sempre a casa fino alla pensione. Per il graduale smaltimento iniziano col dargliene dieci giorni, Salvo parte per Boccadasse. Il questore lo vuole scansare del tutto, intende solo allontanarlo da un’indagine delicata o, viceversa, affidargliene una riservata? Anche i collaboratori vengono rimossi, separati, collocati altrove, sembra esserci di mezzo addirittura la Fbi. Mentre nel Mediterraneo continuano a morire poveri migranti nei naufragi.

Il maestro di scrittura e cultura Andrea Calogero Camilleri (Porto Empedocle, Agrigento, 1925) una decina di anni fa scrisse un soggetto per un film italo-americano, poi la coproduzione non fu più realizzata. Il delizioso nuovo romanzo ha, dunque, un’origine non letteraria e non tradizionale: molti cambi di scena e capitoli con lunghezze diverse; incursioni hard-boiled; usi, costumi e personaggi non siciliani. Come sempre, la narrazione è in terza fissa su Salvo, opere pensieri sogni mangiate nell’argot vigatese-camillerese stretto, questa volta con ancor più ricette di varia derivazione e, soprattutto, l’opportunità del commissario di sperimentarsi in cucina (da cui il titolo), spachetti alla Norma e gattò di patiti piaceranno a molti ma non a tutti. Formalmente è il trentesimo della serie, ma Salvo qui è ancora lontano dalla pensione, ha energia da vendere, Enzo (in trattoria, a comanda) e Adelina (a casa, in forno o frigo) gli hanno trasmesso molta arte e lui chiede altri lumi, il gusto già lo possedeva. Fra i memorabili tranquilli pranzi marinari al ristorante (con successiva passeggiata sul molo) e le solitarie succulente cene pronte, rimira un mare con un’imbarcazione per ricchi. Il pranzo preparato da Livia a Genova lo butta proprio, va un pochino meglio (pur senza appetito) al Porto Antico. Dal salumiere lui prende prosecco, il vizioso e viziato Trincanato cinquanta “buttiglie di sciampagne” (otto a testa). La televisione locale avversaria dà conto di tutte le traversie dei nostri amici, con breve interruzione solo per l’eclisse totale di luna. Ancora una volta la lettura è gradevole, colta, interessante; sullo sfondo le prime dinamiche degli sbarchi nel sud della Sicilia, tanti morti annegati per cattiverie o complicazioni, nonostante i porti aperti delle coste e delle isole.

 

Karin Brynard

«I nostri padri»

traduzione dall’inglese di Silvia Montis

Edizioni e/o

342 pagine, 19 euro

Sudafrica. Tarda estate-inizio autunno 2010 (marzo-maggio). L’ispettore bianco poco più che quarantenne Albertus Markus Bert Beeslar, due metri di altezza, capelli neri e occhi verde scuro, tratti solidi e forti, pallido e corrucciato, sbirro vecchia scuola, spesso rude e sgarbato, pauroso solo dei ragni, vent’anni di servizio nella SAPS (la polizia sudafricana) perlopiù a Soweto (Johannesburg) e ora nel Western Cape, la polvere ruvida del Kalahari, decide di trascorrere qualche giorno di vacanza dal suo amico e mentore Balthazar Blikkies Bliksem van Blerk, un collega sessantenne appena andato in pensione, collocatosi in una residenza per anziani a Stellenbosch, dove vive la figlia Tertia. Proprio lei lo chiama mentre è in viaggio: il padre è morto. Naturalmente. Fa in tempo a partecipare alla cerimonia funebre e viene coinvolto nelle chiacchiere su strane vicende che accadono all’interno della casa di riposo. Poi arriva una telefonata: qualcuno ha ucciso la bella moglie del figlio di una delle ospiti più anziane, che gli chiede di aiutarli sostenendo che nelle forze dell’ordine i neri sono incapaci e demotivati, soprattutto quando ci sono di mezzo ricchi e/o afrikaner. La responsabile dell’indagine è il capitano xhosa Vuyokazi Qhubeka, giovane ma anche lei molto legata a Blikkies. Forse suo malgrado, di fatto Albertus si trova coinvolto. Nelle stesse ore il suo ex figlioccio meticcio Jannes Ghaap si è trasferito e sta provando a fare l’inesperto aitante sergente nell’enorme agglomerato di Soweto, quasi due milioni di persone. Gli rubano macchina e pistola, rischia salute e provvedimenti, finché arriva la chiamata che denuncia la scomparsa della rossa Gerda incinta e del figlio di venti mesi. Nelle foto di casa c’è Beeslaar, era la sua amata, accidenti!

La giornalista politica Karin Brynard (Koffiefontein, 1975) conferma le qualità letterarie e la densità emotiva (mostrate all’esordio) anche nel secondo ottimo romanzo della serie, uscito nel 2011 in afrikaans, poi tradotto in inglese nel 2016. Dall’arido contesto selvaggio del veld, l’azione si sposta parallelamente nella terra vitivinicola per eccellenza e nella township connessa a Johannesburg. La narrazione è in terza varia, alternativamente fissa sul punto di vista dei tre connessi protagonisti: Albertus, Jannes, Gerda; memorabili le telefonate fra i due, emozionanti e più brevi i capitoli sul violento rapimento della donna che sta per partorire una bambina concepita proprio con Beeslaar (anche se lui non lo sa), compiuto da due minorenni violati che l’hanno rinchiusa, legata e imbavagliata, con gli occhi coperti, in compagnia di una iena in gabbia. Finalmente scopriamo cosa era accaduto anni prima fra lei e Albertus, a legarli e allontanarli contemporaneamente e drammaticamente per la vita. I padri del titolo sono i nostri, quelli di ogni figlio, comunità, popolo; continui riferimenti ai meticci e al meticciato; le ferite dell’apartheid risultano ancora tutte aperte. E molto si racconta e si riflette su come i maschi esercitano la paternità, più o meno irresponsabile. Le descrizioni sociali sono accurate e approfondite, riguardo sia ai ricchi boeri dell’imprenditoria immobiliare che alle contraddizioni di classi e colori nelle persistenti townships. Il vino di Stellenbosch andrebbe assolutamente degustato. Beeslaar si addormenterebbe volentieri con i concerti per corno di Mozart.

 

James Ellroy

«Cronaca nera»

traduzione di Alfredo Colitto

Einaudi

108 pagine, 12 euro

New York e Los Angeles. 28 agosto 1963. 12 febbraio 1976. Il grande scrittore americano Lee Earle James Ellroy (Los Angeles, 1948) utilizza materiali d’archivio, rapporti di polizia e sapienti espedienti letterari per raccontare (retrospettivamente) due eclatanti reali casi criminali. Il primo, Career Girl Murder, riguarda l’omicidio efferato di due donne in un appartamento di Manhattan (avvenuto proprio lo stesso giorno del celebre discorso a Washington di Martin Luther King), per il quale fu costretto a confessare l’innocente ragazzo nero George Whitmore. Il secondo, Clash by Night, riguarda l’omicidio a pochi passi da casa dell’attore (bi- e omo-sessuale) Salvatore Sal Mineo (1939-1976), partner di James Dean in Gioventù bruciata (1955). Chi narra ora la “Cronaca nera” di ricerche ed errori sono i poliziotti americani, ormai anziani e appartati, che erano stati allora incaricati delle (clamorose) indagini.

 

Gino Vignali

«La chiave di tutto»

Solferino

238 pagine, 16 euro

Rimini. Inverno. Il barbone Vagano è stato pestato e carbonizzato sotto una panchina nella rotonda del Grand Hotel, ha ingoiato una chiave prima di morire, la storia si rivelerà complicata anche per l’intelligente simpatica magnifica vice questore (al maschile, così vuole) Costanza Confalonieri Bonnet (12 giugno 1981), capelli lunghi e mossi. Il grande autore televisivo e teatrale Luigi Gino Vignali (Milano, 1949) è conosciuto e apprezzato in coppia con Michele per successi in vari campi dello spettacolo oltre che per la mitica serie letteraria delle formiche, antologie delle battute. Dal 2018 si dedica al genere giallo, crimini efferati raccontati con umorismo, “La chiave di tutto” è il primo degli annunciati quattro della serie, uno per stagione. L’allegra godibile narrazione è in terza quasi fissa sulla nobildonna questurina, una leggerezza seria, piena di giochi di parole, di citazioni argute, di riferimenti a donne e uomini della vita mondana milanese e nazionale.

 

Aa Vv (Costa, Malvaldi, Piazzese, Recami, Robecchi, Savatteri, Simi, Stassi)

«Cinquanta in blu. Otto racconti gialli»

Sellerio

426 pagine, 15 euro

Italia. Qui e là, ora e sempre. Ampelio, il nonno di Massimo Viviani, ha il diabete e sta peggiorando, i disturbi cominciano a essere seri. A metà giugno riescono a portarlo dal medico e il direttore del reparto di Diabetologia della clinica Santa Bona sita in Pineta intima un cambio di cura e dieta ferrea: niente frutta ma broccoli a volontà, legumi al posto della carne. Il rischio è che i pasti siano brevi e insoddisfacenti, invece lunghe e rumorose le soste al bar dove Massimo lavora. Alice Martelli, fidanzata di Massimo e vicequestore, sta intanto indagando sul professore che pare si sia gettato dalla finestra della sua camera d’albergo a Pisa e che stava per tenere una conferenza (insieme all’ex compagno d’università di Massimo) sull’identità di Geoffrey Holiday Hall, lo scrittore americano della cui biografia nessuno finora sa molto (niente luogo e data di nascita, forse si tratta di uno pseudonimo) pur avendo pubblicato nel 1949 un celebre capolavoro, The End is known (in Italia meritò poi l’introduzione di Sciascia). Il morto era soprattutto un esperto d’identificazione di testi scritti attraverso il calcolo matematico delle frequenze nell’uso delle parole, veniva coinvolto in varie perizie anche all’estero. Il suo computer portatile è scomparso, ci vorranno scienza e acume per risolvere i misteri. Massimo e Alice riusciranno a collaborare alla grande, la coppia funziona e si conclude abbastanza bene la prima delle otto avventure. Seguono Lorenzo La Marca a Palermo negli anni novanta (in prima persona), Amedeo Consonni a Milano quasi una ventina di anni fa, Saverio Lamanna fra Màkari e l’ultimo Salone del Libro di Torino (in prima), Dario Corbo a Viareggio d’estate (in prima), Angela Mazzola a Palermo, Vince Corso a Roma (in prima), Carlo Monterossi a Milano. Coi soliti amici e parenti intorno.

L’originalità di quest’ultima (quattordicesima) raccolta di racconti gialli inediti degli otto grandi autori (questa volta tutti italiani) della scuderia Sellerio sta nello spunto comune: ognuno doveva scegliere un vecchio romanzo della collana “La Memoria” (giunta qui al titolo numero 1140) e utilizzarlo come elemento significativo della trama del testo con il proprio protagonista. Missione riuscita, il filo “blu” (il titolo richiama il cinquantenario della casa editrice e il colore dei volumi) riesce a essere sia unitario che diversificato, rispettoso dei differenti stile e sensibilità; forse non è in assoluto la raccolta con tutti i migliori racconti, certo è molto gradevole e stimolante la lettura. La lunghezza è abbastanza omogenea (più lungo Savatteri, più breve Stassi), risulta davvero fertile una contaminazione che non inficia i paradigmi noti e amati di ogni autore, come d’abitudine solo alcuni in prima persona. Appare indispensabile citare il personale abbinamento dei romanzi a ogni autore. Illustrato diffusamente per Malvaldi, gli altri sono: Ignazio Buttitta (1899-1997) La vera storia di Salvatore Giuliano per Piazzese, Louise de Vilmorin (1902-1969) I gioielli di Madame de*** per Recami, Anatole France (1844-1924) Il procuratore della Giudea per Savatteri, Manuel Vázquez Montalban (1939-2003) Assassinio al Comitato Centrale per Simi, Salvo Licata (1937-2000) Storie e cronache della città sotterranea per Costa, Gesualdo Bufalino (1920-1996) La luce e il lutto per Stassi, Hans Fallada (1893-1947) Ognuno muore solo per Robecchi. Ovviamente vini e canzoni non mancano e vanno riferiti ai personaggi e ai contesti dei singoli scrittori.

 

AA. VV.

«Classici del Giallo e del Noir nell’illustrazione del secolo XX in Italia»

Catalogo Giallo

Fondazione Rosellini Senigallia

108 pagine, 20 euro

Italia. Dal 1929 in avanti. Ci voleva proprio una monografia dedicata agli illustratori delle copertine del genere poliziesco-noir-criminale, soprattutto quando le foto erano in b/n e ancora non c’era la tv. Opere d’arte a colori su sfondo giallo, legate all’editore che investì su quel tipo di romanzo popolare, Mondadori. Due grandi protagonisti: Abbey negli anni trenta, Jacono dopo il 1950 (per oltre 35 anni). A Senigallia presso la Fondazione Rosellini per la letteratura popolare c’è una miniera per gli appassionati: la raccolta di quasi tutti i libri gialli pubblicati in italiano, con illustrazioni originali, accanto alle collezioni di forme e generi della letteratura popolare. Durante l’estate 2019 è stata organizzata l’apposita mostra “Classici del Giallo e del Noir nell’illustrazione novecentesca” con ottimo catalogo, entrambi suddivisi in 7 “stanze”, per cronologia e argomento, l’ultima dedicata alle 12 splendide copertine fotografiche imposte da Simenon per i primi Maigret.

 

Maurizio De Giovanni

«Il pianto dell’alba. Ultima ombra per il commissario Ricciardi»

Einaudi

268 pagine, 19 euro

Napoli. Luglio, anno XII (1934). Il ricchissimo barone commissario Luigi Alfredo Ricciardi di Malomonte, proprietario di mezzo Cilento, genitori morti e figlio unico, da un anno si è sposato con Enrica, è felice, stanno per avere un figlio. O una figlia, chissà? Vari famigli se ne intendono e hanno opinioni diverse su forme e segnali. Lui 34 anni (primo giugno 1900), enigmatico ciuffo ribelle e inquiete pupille verdi, scuro e ateo, taciturno e introverso, nervoso e malinconico, senza auto né patente; lei 26 anni (24 ottobre 1907), occhi neri e occhiali, miope gentile alta mancina, poco aggraziata, riservata e silenziosa, paziente e risoluta. Quella domenica primo di luglio Ricciardi è di turno, esce all’alba, saluta con un breve inchino del capo la moglie alla finestra che gli invia un bacio, si sente sereno e si dirige a piedi al lavoro in questura. Per strada trova il fido brigadiere Maione ad attenderlo, con accanto la domestica di Livia Lucani vedova Vezzi (di Ricciardi da anni innamorata), bella affascinante colta disinibita. La ragazza ha trovato sul letto di casa (odoroso di vino) la signora profondamente addormentata con una rivoltella in mano e l’amante con il buco di un colpo di pistola in testa, si tratta del maggiore della cavalleria germanica Manfred Kaspar von Brauchitsch, addetto culturale del consolato tedesco (spasimante di Enrica, tempo prima). Incombono guai sotto tutti i profili, giudiziari politici emotivi. Decidono di precipitarsi sulla scena del crimine facendosi accompagnare anche dall’amico medico (antifascista) Bruno Modo. Maturano un’idea circa l’accaduto ma sopraggiungono quattro uomini vestiti di scuro con i cappelli a tesa larga in una specie di divisa, la polizia politica. Vengono cacciati in malo modo. Pare che Manfred fosse una spia, c’è una lotta al vertice delle dittature sia in Germania che in Italia, Livia è caduta in disgrazia a Roma, non sono velate le minacce alle famiglie di tutti. Risulterà davvero difficile indagare, ancor più individuare e perseguire gli assassini.

Il grande scrittore italiano Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha più volte annunciato che la sua prima e più amata serie sarebbe giunta al termine con questo (dodicesimo) romanzo. Dopo gli esordi con le quattro stagioni del 1931, il seguito delle feste del 1932, passiamo qui dal maggio 1933 all’estate 1934. Gli eventi renderanno inevitabile abbandonare alla sua sorte l’amatissimo “diverso” commissario. Ricciardi era certo di essere pazzo, ora non più, però mantiene una peculiarità al limite del paranormale e non sa se possa trasmettersi alla prole: nei luoghi che frequenta percepisce tanto dolore, le voci di chi è morto, ascolta chiaramente ultime parole e sentimenti quando si trova sulla scena della dipartita (criminale o meno), chiama questo fenomeno il Fatto (conosciuto ora solo da Enrica, con la quale condivide tutto). La narrazione è in terza varia, Ricciardi ha tutte le sue donne attorno, in differente modo. Sa di aver ereditato la follia dalla madre, la defunta baronessa Marta, e lei gli appare spesso in testa per rimproverarlo. Prova un amore nuovo e profondo per la moglie Enrica e ha paura di metterla in pericolo perché si vogliono bene, perché lei è in procinto di partorire, perché lui deve affrontare subdoli criminali. Vuole salvare Livia e lei è comunque ancora perdutamente innamorata di lui. Come al solito lo aiuta la meravigliosa Bianca Borgati, ora ricchissima e sola, altra vittima del suo tetro fascino. La bruttissima giovanissima governante Nelide anticipa ogni suo desiderio, innanzitutto curandosi della gravidanza, ma questa volta s’inserisce pure nell’indagine seguendo in sogno i consigli di zi’ Rosa. E sono soprattutto le lettrici donna (l’ampia maggioranza di chi legge) che stanno protestando con l’autore per far tornare Ricciardi, prima o poi. Certo è che il romanzo è bello e la fine impeccabile. Il maestro del noir sentimentale evita con cura la tipologia degli altri finali annunciati, costruisce una trama originale e coerente, a più strati affettivi. Ovviamente si mangia (bene) cilentano. E le magnifiche appropriate canzoni napoletane illuminano ogni ora del giorno e ogni relazione di emozioni.

 

Redazione
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