Buondonno, Carofiglio, Lipperini, Menzione, Scarlini, Spallino e Stassi,

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Fabio Stassi

«Angelica e le comete»

Sellerio

pag. 140, euro 12

Kalamet (più o meno in provincia di Trapani), Sicilia. Oggi e intorno al 1860. Fabio Stassi, bibliotecario alla Sapienza, sposato con una figlia, risiede a Viterbo e tutti i giorni lavorativi fa avanti e indietro con Roma in treno. Clemente, il suo librario di fiducia (a San Lorenzo) gli ha dato un elenco di bei volumi d’antiquariato. Lo scorre e trova il proprio stesso nome in cima alla scheda relativa a Angelica e le comete, “una pantomima in tre chiavi per voce, pupi e piccola orchestra da camera”, un esemplare imperfetto col dorso rovinato, rilegato in rosso e illustrato con una decina di disegni. Pare che racconti la storia di una ballerina in una compagnia di marionette siciliane. Si ricorda di avere immaginato di scriverlo, non di averlo davvero fatto. Eppure Clemente trova il volume e glielo consegna. Si ricorda di aver buttato giù solo un paio di pagine, di averle spedite a Bufalino, che gli rispose con una bella lettera, tutto lì. Ora ha il volume in mano, lo sfoglia, torna subito a casa, lo legge e rilegge. Caterina è una graziosa minuscola stupefacente zingara danzatrice scalza, in carne e ossa, con fare da bimba ma non giovanissima (aveva già lavorato come nana in un circo), capelli sciolti sulle spalle, capace di capriole che nemmeno i gatti. La compagnia gira con la carrozza e debutta a Kalamet, una delle aree siciliane di chiara influenza araba, ai tempi dell’Unità d’Italia, incrocia Garibaldi e i Mille. Per lo scontroso padrone poliglotta analfabeta Lo Spagnolo e il fedele cocchiere gigante Bruciavento è Cate, per i pupi (compresi il furioso Orlando e l’innamorato Ardesio dalla “pelle” scura) la bell’Angelica nell’opera rappresentata, in mezzo a conflitti e avventure, vari altri animali e marionette con vita propria.

Il bravo bibliotecario di origine siciliane e gran lettore Fabio Stassi (Roma, 1962) ormai giunto a una decina di bei romanzi (il primo del 2006) gioca ancora una volta all’incastro del libro col libro, riprende intreccio e protagonisti di un precedente racconto e dà libero corso con autoironia alle fantasie e magie di cappa e spada, degli eserciti carolingi e degli accampamenti saraceni, dei cavalieri d’armi e degli amori cortesi, di duelli e battaglie mosse da fili. Una vicenda esile e garbata: il corpo del romanzo è il libro antico, con frontespizio della prima edizione e illustrazioni originali, prima e dopo parla e spiega qualcosa l’autore (di entrambi). Ci sono i tempi, i contesti, i modi, i pensieri di chi legge (ora), di chi rappresenta storie orali (alla fine del Regno delle Due Sicilie), delle storie (guerre del passato, altrove), non sovrapposti, piuttosto innestati con linguaggi appropriati che si integrano. I pupi hanno sentimenti e impulsi propri, Cate è sfruttata ma non ha fili, ognuno ha rimandi letterari e relazioni autonome. I notevoli eleganti incastri del romanzo sono quelli fra la lettura e la scrittura, fra le pagine scritte e la vita reale, fra le vicende materiali e i sogni, un influsso costante e reciproco. “A volte penso che sono vecchio di secoli, non per le cose che mi sono accadute ma per i libri che ho letto. Sono i libri che invecchiano e fanno disperare, i libri di cui non si trova il sigillo, le istruttorie che restano senza esito e non si possono archiviare”.

Giuseppe Buondonno

«Il soggetto rivoluzionario. Attualità di Walter Benjamin»

Ombre corte

pag. 142 euro 13

Walter Benjamin nacque a Berlino nel 1892 e morì suicida in fuga dal nazismo a Portbou sui Pirenei il 26 settembre 1940. Fu grandissimo filosofo e scrittore, anche critico letterario e traduttore. L’appassionato docente marchigiano Giuseppe Buondonno (Fermo, 1963) consegna finalmente alle stampe lo studio “Il soggetto rivoluzionario. Attualità di Walter Benjamin”. Nella prefazione Illuminati spiega “il proposito benjaminiano di costruire il soggetto contro la macchina-storia, contro il continuum della storia dei vincitori”. Fra la nitida introduzione e la selezionata bibliografia vi sono tre densi capitoli: Il soggetto storico, Costellazioni, Radicalità, per rifondare un pensiero critico e un movimento di trasformazione. L’autore motiva con acume l’attualità degli strumenti interpretativi di Benjamin a partire dalla fondamentale concezione della storia (non lineare, diversamente razionale), cercando di pensare anche a questo turbolento presente in termini rivoluzionari.

 

Adelaide Spallino

«Tre monologhi»

Navarra

pag. 64 euro 10

Un palcoscenico, tre voci. Sergej si rivolge ai presenti, racconta di sé, è un derelitto. Dopo un’infanzia presto orfana e un’adolescenza a cinghiate, si era sposato con Elsa e generato un maschio e una femmina, aveva lavoro e amici, una finta vita felice. Capì di essere poco affidabile, andò tutto a puttane, da allora vaga con pochi stracci. Dietro una vetrina intravede la commessa di un negozio, un giorno la segue a casa, un altro la vede portare il figlio in un parco giochi e mettersi a leggere su una panchina, per lui è Marie. I ragazzini giocano, il pallone rotola ai suoi piedi, gioca con loro. Ora sulla scena c’è Antonio (anche lui nel parco quel giorno), parla al pubblico con un premio letterario in mano. E infine Marie narra la sua storia di madre sola, in allerta ma appagata con Auguste. Sono “Tre monologhi” (il primo ottenne un premio nel 2016) di umani che si incrociano drammaticamente la bella opera prima di Adelaide Spallino (Bivona) sensibile e delicata.

 

Luca Scarlini

«Bianco tenebra. Giacomo Serpotta, il giorno e la notte»

Sellerio

pag. 152, euro 12

Il figlio, fratello e padre d’arte Giacomo Serpotta, nato e morto a Palermo ai tempi della dominazione spagnola (10 marzo 1656 – 27 febbraio 1732), fu grande scultore e decoratore italiano, che si distinse particolarmente nell’arte dello stucco e nella tecnica detta allustratura. Il saggista e drammaturgo milanese Luca Scarlini (1966) narra l’artista nella barocca capitale siciliana, guidandoci fra le piccole figure di gesso bianco, impertinenti e irriverenti per quanto reali, gli straordinari amorini putti ancor oggi splendidamente sparsi nelle chiese e negli oratori del centro storico: “Bianco tenebra. Giacomo Serpotta, il giorno e la notte”. Fino al 10 ottobre 2017 resterà aperta una mostra con oltre cento opere dell’artista (dipinti, disegni, stucchi) all’Oratorio dei Bianchi di Palermo. La visiteremo presto.

Gianrico Carofiglio

«Con parole precise. Breviario di scrittura civile»

Laterza

pag. 176, euro 10

Italia. Dall’inizio della scrittura in avanti. La citazione d’apertura è di Primo Levi: “Abbiamo una responsabilità, finché viviamo: dobbiamo rispondere di quanto scriviamo, parola per parola, e far sì che ogni parola vada a segno”. Carofiglio, ex magistrato ed ex senatore, da quindici anni è divenuto pure uno dei migliori scrittori italiani (romanzi, racconti e saggi di vari generi). Qui fa tesoro di tutte le proprie autorevoli esperienze d’uso delle parole per andare a segno e riesce a insegnarci molto, con semplicità e acume. Dopo il prologo sul linguaggio condiviso come primario contratto sociale, seguono undici capitoli di analisi di testi, citazioni specifiche, esempi concreti e consigli sapienti per riuscire a “dire la verità”, lasciando all’epilogo gli spunti su cosa sia la verità, per concludere con note e approfondimenti bibliografici e il multidisciplinare indice di nomi. All’inizio si accenna anche alla fiction: le parole sono decisive per poesie e romanzi, l’imprecisione può spesso essere deliberata e geniale, evocare ed emozionare sono compiti primari, nel poliziesco appare obbligatorio occultare seppur onestamente. Comunque anche queste scritture devono avere una loro coerenza narrativa, produrre un (qualche) senso. Ben presto la riflessione s’indirizza e concentra sulle lingue e sulle professioni del potere: giuristi, politici, legislatori e amministratori. Nel territorio dei doveri e dei diritti collettivi le parole possono appunto manipolare chi le subisce, ci vogliono assoluto rispetto e attenzione per gli altri, in particolare per la metafora, forma del pensiero e figura retorica, ben più potente (ed enigmatica) della similitudine. Berlusconi è spesso richiamato, insieme ad altre personalità come Bersani e Renzi. Il fatto è che le metafore devono aiutare a capire, non affermare supremazie, e che la democrazia vive di parole precise.

Gianrico Carofiglio (Bari, 1961) già nel 2010 aveva fatto un’incursione, erudita e affascinante, nei mondi della “manomissione delle parole”. Qui riprende e approfondisce quel discorso con un compendio agile e sintetico rivolto innanzitutto ai destinatari delle parole affinché impariamo tutti ad ascoltare e leggere meglio. Per capirci: quando partecipiamo a una riunione è chi convoca che deve garantire esiti non predeterminati e chi introduce che determina la qualità della discussione. Farsi capire è un dovere e capire è un diritto. Doveri e diritti richiedono impegno, fatica, tempo. Facciamo caso alle parole superflue, all’abuso di avverbi, ai sostantivi astratti, ai verbi generici, alla forma passiva che sterilizza, al latino e all’inglese inutile, agli pseudotecnicismi, all’eccessiva lunghezza delle frasi, all’ordine nella cura della sintassi, soprattutto a chi ci rivolgiamo, e con quale obiettivo. Scrivere vuol dire anche rileggere e riscrivere, rendere la propria comunicazione precisa ed essenziale, chiara e corretta. L’autore cita molti grandi scrittori, filosofi, linguisti, giornalisti e, raramente, dialoghi e passaggi di propri romanzi. E fa innumerevoli esempi di frasi contenute in leggi e decreti vigenti oppure in atti giuridici (come pure nelle trascrizioni delle intercettazioni e negli articoli di giornale) di quasi impossibile comprensione e attuazione. Sapere (e non saper) manipolare forma e linguaggio può implicare manipolare pensiero e contenuto, consenso e democrazia. Vengono presi seriamente in esame comitati e manuali di scrittura. Purtroppo non si sa bene chi deve può vuole insegnare a leggere e scrivere bene (con lealtà) nella scuola e nelle istituzioni, sapendo qualcosa di neuroscienze. E ancora non si è riflettuto abbastanza sui meccanismi oggettivi (nel giornalismo e in politica) che ostacolano chiarezza e lealtà, quanto sia preferibile per alcuni protagonisti scrivere male (per vendere copie o conquistare voti, per esercitare il proprio potere), con un’ambigua slealtà che non si paga. A futura memoria anche delle proprie relazioni personali.

 

Elio Menzione

«La sfida di New York»

Rubbettino

pag. 316, euro 19

New York. 1993-1998. Menzione (Alassio, 1949) è oggi un ambasciatore in pensione. Iniziò la carriera diplomatica nel 1975 e, dopo sedi asiatiche e sudamericane, operò alla Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite dal 1991 al 1996. Qui contribuì in modo determinante al primo tentativo di riforma (1993-1998) del Consiglio di Sicurezza, successivo alla fine della guerra fredda. Giappone e Germania elaborarono una strategia per passare da 5 a 7 membri permanenti, ottenendo un certo sostegno da Usa, Francia, Gran Bretagna. Promossa dall’ambasciatore Fulci, per difendere l’interesse nazionale, mantenere aperta la strada al seggio europeo e non aggravare il deficit di democrazia Onu, l’Italia sostenne una diversa strategia. Non prevalse ma impose una diga procedurale che da quasi vent’anni ancora vale. Oggi Elio Menzione, con competenza, garbo e ricco apparato documentale, racconta tutto ne “La sfida di New York”, avvincente e interessante reportage storico.

Loredana Lipperini

«L’arrivo di Saturno»

Bompiani

pag. 424, euro 19

Roma e molti altri luoghi. 1980, prima e dopo. Graziella De Palo (Roma, 17 giugno 1956) scomparve a Beirut il 2 settembre 1980 insieme al meno giovane collega Italo Toni (Sassoferrato, 31 gennaio 1930), il suo ex-compagno col quale continuava a collaborare (fra l’altro un libro insieme sul Che) entrambi giornalisti. Lei aveva scritto coraggiosi articoli per Paese Sera sulla vendita di armi italiane in Medio Oriente. Stavano seguendo la pista che collegava i servizi segreti nostrani e l’OLP, forse imperniata sul cosiddetto eventuale “lodo” Moro degli anni settanta (“noi chiudiamo gli occhi sul traffico d’armi, voi non fate attentati in Italia”) messo in crisi dal rapimento/esecuzione dello stesso Moro e da successivi omicidi e stragi. Graziella era stata per oltre un decennio la legatissima più cara amica della coetanea Dora, avevano rotto da poco più di un anno (futili motivi, piccole gelosie, competizione vitale). Giunta quasi a sessant’anni Dora cerca di dar conto del loro legame e della misteriosa vicenda, riprendendo in mano foto e taccuini, leggendo e studiando tanto, contattando parenti e amici, ripercorrendo le svolte personali e politiche prima (comuni) e dopo la scomparsa, segnalando quanto è stato volutamente occultato e falsato nel caso Toni-De Palo, utilizzando infine la finzione letteraria per narrare. “Non c’è verità negli artisti, non c’è nei cantastorie” si dice il pittore Han Van Meegeren, personaggio chiave del romanzo, falsario incaricato decenni fa da un vecchio ricchissimo di riprodurre in un santuario sperso sui monti marchigiani un Giudizio Universale di Vermeer. “Immagina che solo raccontando menzogne si possa arrivare a raccontare la verità. Immagina che sia tutto un inganno. Immagina di raccontare quell’inganno, per nascondere altro, che infine si risveglierà… per riprendersi la storia… Prova a fallire”. Abracadabra.

Gran bel romanzo della brillante giornalista, scrittrice e operatrice (agitatrice) culturale Loredana Lipperini (Roma, 1956) che alterna terza e seconda persona perché spiega quasi all’inizio: “Dora sei tu. Non ti chiami così. Ma Dora è un nome da romanzo e questo è un romanzo: dunque ti chiamerai Dora per raccontare la lunga vibrazione durata quasi una vita, e rimasta silenziosa prima di esplodere”. Dopo una lunga gestazione (covato per decenni, scritto in 4 anni), da uno stimolo di autofiction vien fuori un meticciato degli ibridi generi letterari: fiction storica e sentimentale (concentrata sugli anni 1978-81), no fiction generazionale e investigativa (prima e dopo). Una volta spiegato perché “mentire è creare”, corrono alternati l’introspezione di Dora e la pittura di Han, con svariate vibrazioni. Da una parte, mescolando realtà e creazione, i sentimenti dell’amicizia e l’intensa storia fra Dora e Graziella fino alle scelte adulte, l’incrocio con grandi personaggi e i clamorosi eventi degli anni settanta, elementi sulla sparizione dei due amici e sui segreti politici (di Stato e no), spunti autobiografici e riflessioni su Dora Loredana anche successivi; dall’altra, pure mescolando inganni e verità, il progredire del quadro, il contesto delle relazioni montane del pittore fra Serravalle e Muccia (“luoghi” dell’autrice e recentemente del terremoto), cenni su Vermeer e sul suo falsario olandese ex-alcolizzato (la storia è inventata ma Han è esistito, 1889-1947), richiami a tanti veri falsari della storia nelle arti visive e nei conflitti istituzionali. Essendo finzione non c’è l’indice dei nomi (tanti celebri) ma solo una nota sulla gestazione. Il lento Saturno ci mette quasi trent’anni a entrare in Scorpione. Pur forse a tratti ridondante e di lettura impegnativa, il testo scorre unitario e interessante. Lipperini è una personalità importante della cultura italiana dell’ultimo quarantennio, da quando lavorava a Notizie radicali (con Graziella, giovanissime), entrando anche nella segreteria nazionale del Partito Radicale, fino alle coraggiose scelte dalla parte delle bambine e dei più socialmente deboli (sul territorio come nei media). Cibi locali e passioni musicali.

Redazione
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