Bussi sul Tirino: l’ingiustizia trionfa

di Sergio Mambrini (*)

Lo so che non è normale valutare un’ingiustizia come fosse una giustizia. Lo so. Se devo essere sincero,

lo sanno tutti. Anche le pietre lo sanno. Allora, spiegatemi com’è possibile che nel tribunale, l’organo giuridico per eccellenza dove «la Legge è uguale per Tutti», si affermi il contrario.

L’ultimo esempio è quello del 19 dicembre 2014 di Bussi sul Tirino in Abruzzo. A rigirare la frittata, diceva mia nonna, si rischia di romperla. Allora, in questo caso, dopo aver accertato il disastro ambientale, per girare la frittata, da doloso è diventato colposo, così il crimine, seppur grave, è stato prescritto. Cioè, è diventato un reato commesso non raggirando il prossimo e non intenzionale (??!!) ma semplicemente compiuto operando negligentemente con imprudenza, imperizia o inosservanza delle leggi.

Chiedo: i dirigenti e gli amministratori della Montedison non sapevano di inquinare in maniera grave la falda acquifera con il loro modo di fare? Ma dai! Non sapevano o gli è stato permesso?

Devo fare una premessa: anche se il magistrato avesse condannato i responsabili, il suo intervento sarebbe in ogni caso tardivo. Infatti, la popolazione si era rifornita per molti anni di acqua pericolosamente contaminata con sostanze micidiali. Il tempo della giustizia era ormai scaduto. I malfattori avevano agito indisturbati. I danni erano già stati prodotti. La devastazione portata a quelle persone e a quei luoghi ormai non è più emendabile. Oltretutto, adesso, non ci sono più nemmeno i colpevoli.

I rifiuti tossici sono micidiali anche se sono coperti con la terra! Una superficie di duecentocinquantamila metri quadrati non è mica insignificante. Sono una buca di duecento metri di larghezza per oltre un chilometro di lunghezza, una fossa di 185 mila metri cubi di cloroformio, tetracloruro di carbonio, esacloroetano, tricloroetilene, triclorobenzene e metalli pesanti (mercurio, cromo, nichel, piombo, arsenico?). Queste sostanze viaggiano nelle falde, nei fiumi e nei mari, senza rispettare nessun confine. Gli amministratori e il ceto politico non sono stati bravi a difenderci o non hanno voluto. Oggi, addirittura, si dice che emanare delle regole severe in campo ambientale scoraggerebbe gli investimenti. La magistratura, quando interviene, balbetta e i cittadini meno virtuosi, che sembrano la maggioranza, paiono infischiarsene di tutto questo, che è avvertito come frutto del fanatismo ambientalista.

Vorrei ricordarvi la logica esemplare con cui sono stati gestiti gli stabilimenti di questo genere, prendendo come modello il petrolchimico di Mantova. Esiste una circolare del 1974 con la quale questa direzione disponeva esplicitamente che il proprio scopo non era quello di svolgere una corretta, continua e onerosa manutenzione. Piuttosto era di risparmiare, poiché il loro obiettivo era il profitto e non la sostenibilità ambientale e la sicurezza dei lavoratori. Questo e molti altri documenti sono atti del processo che si è svolto a Mantova per la morte di settantadue operai. Qui l’inceneritore bruciava di tutto, compresi i rifiuti tossici di altri stabilimenti del gruppo e, probabilmente, anche i materiali contenenti diossina della bonifica di Seveso, dispersi nell’atmosfera, quindi nel sangue dei mantovani, soprattutto quelli di città. Concentrazioni di sarcomi come a Mantova non ce ne sono da nessuna parte, Seveso compresa. La percentuale dei decessi per tutte le cause e il numero delle neoplasie maligne sono stati oltre il doppio rispetto a Marghera, le malattie cardiovascolari quattro volte, i linfomi Non Hodgkin dieci volte.

L’occupazione era garantita, ma chiedeva un tributo di vite. Tempi d’oro per Montedison.

Solo pochi spudorati rompiballe protestavano, anzi c’era la fila per lavorare lì. Anche i sindacati si erano distratti (?!), inorgogliti dalla crescita occupazionale, dai nuovi diritti civili conquistati (ricordate l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori?), dal forte movimento unitario, dalla crescita civile del Paese. Furono anni importanti, ma comunque difficili.

Passo dopo passo è stato costruito un labirinto perfetto dal quale, oggi, diventa difficile trovare la via d’uscita. Il modello della nostra società è stato definito liquido da Zygmunt Bauman ed è stato travolto anche il senso del limite (concetto ben raccontato da Marc Augé). Anche il sistema sanitario è stato allineato a questi parametri. Oggi si cercano disperatamente vaccini anticancro, si trapianta quasi ogni parte del corpo, si brevettano farmaci moderni che paiono frutto di una ricerca connivente, legata agli interessi economici delle stesse industrie mortifere. Non si è mai percorsa una politica di prevenzione primaria, poco remunerativa e, soprattutto, vicina alla dignità umana e alla libertà dell’individuo.

In definitiva, la schiavitù non è ancora stata abolita. Zitti e pedalare.

(*) Il mantovano Sergio Mambrini ha lavorato in Montedison e ha narrato questa esperienza e la sua presa di coscienza in un libro, fortemente autobiografico, pubblicato nel 2012, «Fango nero» (Iacobelli). Mambrini racconta le più scomode verità e si schiera, fin dall’inizio di «Fango nero» spiegando il motivato soprannome, o meglio l’acronimo, con il quale Cefis – allora padrone Montedison – era noto fra gli operai più coscienti: Cancro Enfisema Fumo Intossicazione Silicosi; cinque regali che Montedison ha elargito a dipendenti e popolazioni delle zone intorno agli impianti. A proposito di soprannomi, gli operai di Marghera in un famoso corteo-funerale sostituendo una sola lettera ribattezzarono Mortedison il loro datore di lavoro (ma anche prenditore di salute e di vita). La mia recensione al libro di Mambrini è qui Cancro enfisema fumo intossicazione silicosi ma vi consiglio di trovare il tempo per leggere tutto il libro: racconta molte storie (non solo di fabbrica) ma la parte sulla Montedison è una testimonianza quasi unica… visto che la stragrande maggioranza dell’attuale sistema informativo preferisce censurare ogni notizia che nuoccia al prestigio, cioè al profitto, dei padroni. (db)

 

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