Capitana, mia capitana

 di Ann Lopez per «The World» (1 giugno) 2012; traduzione di Maria G. Di Rienzo (*)

L’evento sportivo a cui ho partecipato non avrebbe mai dovuto aver luogo. Era una partita di calcio. Una squadra aveva magliette di un giallo brillante e pantaloncini azzurri, l’altra era tutta in blu scuro. Ai lati del campo, familiari e amici sedevano su sedie di plastica da giardino, facendo il tifo per la loro squadra. Una tifosa si era dipinta interamente il viso di blu e batteva su un tamburo di metallo per incoraggiare i suoi giocatori favoriti.

In ogni altro Paese, questa sarebbe stata una normale partita di calcio fra due squadre universitarie. Ma i giocatori sono donne. E la partita si giocava a Riyadh, Arabia Saudita. Ufficialmente le donne non giocano a pallone, a Riyadh. La città è assai conservatrice. Se le autorità avessero avuto sentore della gara di calcio l’avrebbero molto probabilmente impedita. Perciò, dove è stata giocata a Riyadh deve restare un mistero. Non vi dirò i nomi delle squadre o i nomi delle giocatrici. Non ho potuto registrare le loro voci, ma farò in modo che voi udiate le loro parole.

La capitana della squadra Blu ha 23 anni e si è appena laureata. Ha fondato la sua squadra durante il primo anno di frequenza universitaria, assieme a un’amica. Avevano notato che molte studentesse erano interessate al calcio per cui chiesero all’amministrazione scolastica di poter organizzare un campionato. «Ho pensato che, se riuscivamo a ottenere il sostegno dell’università, i talenti che vedevo non sarebbero stati sprecati». Ottenuta l’approvazione, si misero subito al lavoro. La capitana dice che si è istruita su come allenare le altre comprando dvd su Amazon e guardando video su YouTube. L’accesso ai campi e ai fondi era limitatissimo, ma questo non ha impedito alle ragazze di giocare.

A vedere la partita c’erano due donne d’affari. Nemmeno di loro saprete i nomi. Hanno appena dato inizio a un programma che si rivolge alle ragazze dai sette ai diciotto anni e insegna loro varie discipline sportive. Le ragazze che hanno più di 18 anni sono addestrate come allenatrici. Il programma ha solo tre mesi, ma le due donne dicono che sta attirando molto interesse: «Non possiamo farci pubblicità apertamente, così è tutto basato sul passaparola, su Twitter e Blackberry».

Fino ad ora hanno trenta partecipanti. Fuori dalle scuole private è difficile organizzare sport per ragazze e il programma intende riempire questo vuoto. La prima donna d’affari è interessata al fatto che le ragazze facciano esercizio: «Le voglio fuori di casa, hanno bisogno di correre»; la seconda sottolinea che i genitori vedono la differenza nelle ragazze che si esercitano: «Cambia il loro modo di pensare. I genitori notano che le loro figlie sono meno “selvatiche”, meno nervose».

Il programma è anche una risposta a un problema serio in Arabia Saudita: secondo il ministero per la Salute il tasso di obesità nazionale è del 25% e quello del diabete dell’età adulta è del 17%. Le donne hanno in mente di integrare uno stile di vita più salutare nel loro programma: «Non facciamo pressione sulla perdita di peso. Facciamo prima di tutto divertire le ragazze e l’anno prossimo cominceremo a farle riflettere sulla nutrizione e su una dieta sana» dice la seconda donna d’affari.

Creare una fondazione per le ragazze è quello che anche la capitana della squadra Blu ha in mente: «La nostra generazione ha dato inizio alle partite, al campionato, alla struttura. La prossima generazione avrà questo su un piatto d’argento. Noi non giocheremo probabilmente mai in una squadra nazionale ma stiamo gettando le fondamenta affinché essa esista». Chi lo sa. Magari fra dieci anni l’Arabia Saudita avrà una formidabile squadra nazionale femminile di calcio.

Oh, e in caso ve lo foste chiesto: la squadra Blu ha battuto la squadra Gialla 3 a 2.

(*) Gli articoli di Maria G. Di Rienzo sono ripresi – come le sue traduzioni – dal bellissimo blog lunanuvola.wordpress.com/

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