Carbone: le donne di Tamnar hanno vinto un round

di Marina Forti (*)

Un piccolo gruppo di villaggi “tribali” dell’India profonda contro due potenti compagnie minerarie, una privata e una statale. La sproporzione delle forze è schiacciante, eppure i villaggi nativi hanno vinto un round. Per otto giorni e notti consecutivi hanno bloccato l’accesso alle miniere di carbone, finché l’amministrazione ha accettato di rispondere alle loro richieste: lavoro, risarcimenti, giustizia.

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Questa storia si svolge in Chhattisgarh, Stato dell’India settentrionale. Tamnar, distretto di Raigarh, è una remota località tra le montagne non lontano dal confine con il Jharkhand a nord e l’Orissa a est: siamo nel cuore della regione chiamata mineral belt, perché racchiude enormi giacimenti minerari. Questi tre Stati da soli fanno il 70 per cento dei giacimenti di carbone dell’India, il 56 per cento del ferro, il 60 per cento della bauxite, materie prime che fanno funzionare l’industria moderna.

 

La protesta di Tamnar sotto la pioggia monsonica

 

Da anni però la regione è attraversata da conflitti: perché miniere e fabbriche hanno costretto molti a sfollare, e perché aziende e notabili esercitano un potere arrogante. Questa è anche la regione dove vive gran parte della popolazione nativa indiana, gli adivasi, “tribali”, che di tanto “sviluppo” hanno visto solo requisizioni di terre, inquinamento e repressione.

Per questo la vicenda di questo piccolo municipio rurale allude a una storia più generale.

 

La battaglia di Tamnar è stata guidata dalle donne (riprendo il racconto dei fatti da Scroll.in). Sono loro che hanno cominciato l’11 luglio bloccando la strada principale, che dà accesso alle miniere Gare Palma IV/2 e IV/3 gestite dalla compagnia statale South Eastern Coalfield Limited. Decine di persone sono rimaste là giorno e notte, incuranti dei continui acquazzoni (in India questa è la stagione delle piogge monsoniche).

Poco a poco le miniere si sono fermate: non passava nulla, non un camion, non un solo carico di carbone. Gli abitanti chiedevano lavoro e risarcimenti per le terre incamerate dalle compagnie minerarie. Tamnar comprende diversi villaggi ed è circondata da miniere di carbone: oltre a quelle di Gare Palma IV/2 e IV/3 ci sono quelle in concessione a Jindal Power e a Hindalco (gruppo Aditya Birla).

 

Miniera di Gare a Tamnar, Chhattisgarh, India

 

L’intero paesaggio è fatto di miniere – sotterranee e a cielo aperto, enormi buchi scavati nella montagna, gran via vai di camion e polvere nera che vola ovunque. Tutti i villaggi qui sono toccati da almeno una miniera o una centrale termica.

Dunque quando il primo gruppo di villaggi ha bloccato l’accesso alle miniere di Gare Palma IV/2 e IV/3, gli altri villaggi si sono uniti a loro: l’interesse comune era chiaro. Tanto più che altre miniere sono in espansione nella zona. La Gare Palma IV/4, in concessione a Hidalco, ha suscitato proteste e fatto altri sfollati, denuncia Amnesty International. Ora il consiglio di villaggio (l’organo di governo locale, elettivo) chiede una moratoria.

La gente di Tamnar accusa le compagnie di aver occupato le loro terre senza cercare il “previo consenso informato” del consiglio municipale, come vuole la legge, e senza riguardo per chi ha perso di colpo la terra da coltivare. Chiede che siano rispettate la Forest Rights Act, legge che tutela i diritti consuetudinari delle popolazioni delle regioni forestali, e la legge chiamata Pesa, che rende in teoria inalienabile la terra dei municipi (panchayat) abitati da popolazioni native: come Tamnar, appunto.

 

La protesta di Tamnar contro le miniere di carbone, luglio 2016

 

Qui tutti hanno storie di terre sottratte più o meno a forza. Qualche tempo fa un inviato del Hindustan Times ha descritto un landgrab sistematico. Le compagnie hanno spesso comprato terre attraverso prestanome che si sono dovuti prestare volenti o nolenti: così hanno aggirato la legge secondo cui solo adivasi possono acquistare terre adivasi. Le compagnie minerarie hanno preso per pochi spiccioli terre che valevano milioni.

Non solo. Le miniere hanno devastato le loro terre, aggiungono, e fatto crollare le falde idriche. Il fiume Kelo, che attraversa la zona, riceve tutti i reflui. L’inquinamento dell’aria è impressionante. Anni fa un’autorevole organizzazione ambientale indiana aveva analizzato l’impatto delle miniere di Gare Palma IV/2 e 3, allora in progetto, arrivando a conclusioni allarmanti: le miniere avrebbero occupato oltre due terzi del terreno agricolo e un terzo di quello forestale di Tamnar.

Insomma, il risentimento si è accumulato per anni. Ed è esploso in questo luglio nella protesta delle donne di Tamnar, che sono riuscite a trascinarsi dietro tutta la popolazione. C’erano state altre proteste in passato. La notizia, questa volta, è che le donne di Tamnar hanno vinto.

 

Il blocco è durato otto giorni, abbastanza da mettere in grande agitazione la compagnia mineraria. Le due miniere bloccate producono 6,9 milioni di tonnellate di carbone all’anno. Durante la protesta South Eastern Coalfield ha dichiarato che la produzione è crollata da 18mila tonnellate a zero, con perdite tra 40 e 50 milioni di rupie (circa 675 mila euro). La compagnia voleva chiudere la faccenda al più presto: «Ma vogliamo che sia coinvolta anche l’amministrazione distrettuale» diceva il portavoce aziendale.

Infatti la compagnia carbonifera statale è solo “custode ad interim” delle miniere Gare Palma IV/2 e IV/3. Prima la concessionaria era Jindal Power Limited. Nel 2014 però la Corte suprema aveva revocato la concessione nell’ambito della sentenza sullo “scandalo del carbone”, 204 giacimenti (“blocchi”) assegnati senza rispettare le procedure, sottocosto, ai danni delle casse dello Stato. Il gruppo Jindal non è uscito di scena; nel febbraio 2015 ha nuovamente vinto la concessione di quei due “blocchi”; il governo ha poi bloccato l’assegnazione perché sostiene che non rispecchia il valore di mercato delle miniere, e la compagnia ha fatto ricorso. Una battaglia legale è in corso, le miniere potrebbero di nuovo passare di mano.

Alla fine gli abitanti di Tamnar hanno ottenuto ascolto. Hanno ottenuto, a esempio, la promessa che Jindal ritirerà tutte le denunce fatte negli anni scorsi contro gli abitanti che protestavano. Sulla base di quelle denunce la polizia spara imputazioni gravissime e costruisce casi giudiziari – i difensori dei diritti umani parlano di “falsi casi”, imputazioni per reati immaginari che però servono a intimidire e sbattere in galera chi organizza rivendicazioni o proteste.

L’amministrazione inoltre ha accettato di rivedere le denunce di acquisti illegali di terre da parte di Jindal power, e aggiornerà ogni 15 giorni il consiglio di villaggio sui progressi dell’indagine. South Eastern Coalfield infine ha promesso di dare lavoro alle famiglie danneggiate.

Vittoria? Sì, per ora. La storia delle promesse tradite è lunga nella grande tribal belt indiana. A Tamnar lo sanno: dicono che sono pronte a tornare in strada.

(*) Ripreso, con le foto, dal bel blog di Marina Forti: www.terraterraonline.org/blog/ ovvero «Terra Terra – cronache da un pianeta in bilico» dove molto si parla di India, di carbonee di quello che i presunti grandi media omettono di raccontare… le rare volte che guardano fuori dal loro orticello. (db)

 

Redazione
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