Carceri: ancora un suicidio, stavolta a Reggio Emilia

Per la prevenzione si fa sempre troppo poco: basta!

di Vito Totire

Il suicidio consumatosi nelle carceri di Reggio Emilia ripropone questioni più volte denunciate e ormai incancrenite; è morto un giovane detenuto tunisino di 28 anni. Le reazioni soggettive a questo evento possono essere le più diverse; oggettivo è che questa morte, ancora una volta, evidenzia il fallimento dell’obiettivo che al carcere e alla privazione della libertà la Costituzione italiana ha affidato.

Con il luttuoso evento di Reggio Emilia arriviamo ormai, nelle carceri italiane – per il 2017 – a 28 suicidi e 61 morti.

Dopo il “suicidio” (per come è stato riferito) di Marco Prato nel carcere di Velletri ci eravamo posti alcuni interrogativi anche alla luce del fatto che quel rischio era stato molto chiaramente segnalato dall’ufficio del Garante nazionale delle persone detenute eppure “non visto” o non valutato realisticamente dagli addetti istituzionali. Uno degli interrogativi era: nelle carceri italiane si continuerà a distribuire bombolette di gas come “rimedio” alla incapacità di gestire il vitto in condizioni igienicamente e umanamente accettabili?

A Reggio Emilia il mezzo usato non è stato il gas però rimangono numerosi interrogativi se vogliamo non trattare la vicenda come un episodio di “cronaca nera”:

  1. il gesto si poteva prevenire con una maggiore vigilanza o evitando la disponibilità dei mezzi abitualmente utilizzati per il suicidio ?
  2. si poteva gestire, con supporto psicologico e di mediazione culturale, la rabbia connessa all’attesa e alla esecuzione delle prevedibili sanzioni dopo le proteste dei giorni precedenti ? Si poteva cioè organizzare una sorta di camera di decompressione psicologica?
  3. le sanzioni messe in atto o previste per il futuro cosa comportavano per i reclusi soggetti a trasferimento? Una persona può avere familiari in quella città e immaginarsi trasferito a 1000 km. di distanza; bisogna essere umani e previdenti anche nella gestione delle sanzioni!
  4. ma soprattutto: cosa ha indotto o facilitato l’aggressività alla fonte della protesta poi sedata? Tutti gli studi di prossemica e di psicologia sociale (ma servono a qualcosa questi studi o vengono buttati nel cestino?) mostrano che in condizioni di sovraffollamento e di regimi particolarmente restrittivi l’aggressività umana può aumentare;
  5. è evidente la necessità di superare questa “foglia di fico” dei tre metri quadrati come cut-off tra il trattamento disumano e degradante e quello accettabile; se quel cut-off può essere usato agli occhi dell’Europa per evitare sanzioni ciò non significa affatto che sia una cosa seria ! Appunto psicologia sociale e prossemica forse servono solo per fare pubblicazioni e magari carriere universitarie (ovviamente siamo comunque grati a chi ha fatto questi studi; non siamo grati a chi fa finta di non conoscerli)
  6. esiste nel carcere di Reggio Emilia un piano di prevenzione?

Siamo convinti che per le carceri servano provvedimenti radicali di riforma ma poniamo un problema esplicito: come mai per i luoghi di lavoro il legislatore è giunto alla fine a definire l’obbligo di redigere un documento compiuto per la valutazione dei rischi (compreso quello di distress) e per le carceri no? LA RISPOSTA E’ OVVIA: perché per le carceri il dettato costituzionale circa la finalità riabilitativa è rimasto solo sulla carta e le persone detenute (responsabili o no dei reati loro addebitati) sono cittadini di seconda classe, insomma paria senza veri diritti.

Nel frattempo ogni interessamento dall’esterno sulle condizioni di vita e ogni apporto critico anche se propositivo viene visto con fastidio e intolleranza.

Ancora una volta (il primo luglio) abbiamo chiesto alla Ausl di Bologna il rapporto semestrale e, ancora una volta, non lo riceviamo… e siamo al 28 luglio. Istituzioni interessate alla partecipazione e al miglioramento delle relazioni fra interno ed esterno del carcere dovrebbero essere più tempestive e più collaborative.

Basta con i suicidi, basta con “queste carceri”.

Bologna, 28.7.20187

(*) Vito Totire è psichiatra oltrechè portavoce del circolo “Chico” Mendes e del Centro per l’alternativa alla medicina e alla psichiatria “Francesco Lorusso”

LA VIGNETTA – scelta dalla redazione della “bottega” – è di Mauro Biani.

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2 commenti

  • Giuseppe Lodoli

    Grazie di aver pubblicato quest’ottimo articolo su un argomento cruciale di civiltà

  • In verità , quasi nelle stesse ore, si è verificato un altro suicidio nel carcere di Parma; un uomo di 42 anni; risulta in carcere anche il figlio com coimputato; le cronache dicono che la situazione era stata presa in esame daun perito che avrebbe concluso che non esisteva rischio suicidario;
    vorrei leggere questa perizia; sbagliare può capitare a tutti ma è necessaria la massima trasparenza ; forse dovremmo tentare di saperne di più; il figlio potrebbe costituirsi pare civile perché sia valutato il problema della prevedibilità?

    Possiamo avviare una controinchiesta?
    La prevenzione è una cosa non facile; anche Franco Basaglia ebbe a constatare che ci sono dei margini di imprevedibilità e, peraltro, i suicidi avvengono anche fuori dal carcere;

    ciononostante che la prevenzione del suicidio nel carcere sia quasi a zero è evidente;
    non sarà con i garanti, che stanno diventadi gaanti dei cisigli comunali, che farà qualche paso in avanti nè per le pesone detenute né per i lavoratori del carcere che, come è noto, manifestano un rischio suicidario, anche loro, ben superiore a quello della popolazione;

    ma visto che i decisori politici se ne fregano e gli operatori della informazione spesso pure…
    troppo facile parlere genericamente di stress del eprsonale e poi evitare di dare spazio a proposte di miglioramento…

    Comunque continuiamo a nuotare controcorrente anche perché non vogliamo essere spettatori inermi nè comlici.

    Vito Totire

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